Chi è più alto?
Monte Pastonico
Superbo e silenzioso, verso il cielo
mi levo nella mole;
a chi vive nel basso stendo un velo
fra la sua vista e il sole…
Pure, una muta rabbia mi tormenta,
felicità mi leva:
se dietro guardo, un altro si presenta.
Più in alto si solleva!
Monte Mutria
Solo, ad Oriente, mi ergo maestoso!
Intorno a me son prone
montagne umiliate che, sdegnoso,
calpesto con passione…
Pur non son pago, no. Verso Occidente
sta chi m’avanza, e roso
di rabbia che si cova internamente,
vivo, ed invidioso…
Monte Gallinola
Un lago azzurro e un verdeggiante piano,
valli e monti selvosi
tengo intorno, mi guardano, ed invano
s’inarcan dispettosi.
Com’è bello sentirsi invidiato,
e non aver rivale!…
Ma intanto, a lato sta chi al ciel lanciato,
spavaldamente sale…
Monte Esere (Miletto)
Lo so, sono il gigante. E in neve avvolto,
o dal sole indorato,
mi levo nell’azzurro. Intorno un folto
armento disprezzato
di gobbe vedo, la cui rabbia duole
per la ridotta mole.
Sono più alto e godo. E pure… il sole
Vedo più alto ancora.
Per una cartolina di saluti
Risposta alle amiche della montagna
Canto di morte appassionato e lugubre,
udiasi in una scuola, di quand’Ettore
dinanzi al fiero Achille, supplicavalo
e una ripulsa aveane.
Fredda parola in altro luogo udivasi
parlar d’inconscia volontà d’esistere,
da cui il dolore della vita… Un tedio
nero aleggiava ed orrido…
Quando, a vivificar gli spirti languidi
di quei che innanzi a giovinezza attonita,
di cose lacrimevoli parlavano,
e tristezza subivano,
come raggio di sole in fosca nuvola,
come trillo d’uccello in selva tacita,
giunse un saluto inaspettato e fervido
di fanciulle nostalgiche.
Giunse splendente, giunse carezzevole,
e all’alme addolorate che penavano,
la vita ridestava, e i giorni fulgidi
svegliò ne la memoria.
Videro allora un’alta cima nivea,
un prato verde che ampio stendevasi.
Apparve un focolare ed una candida
mensa che accoglievali.
Videro occhi femminili splendere,
udiron flebili canti virginei,
rivissero commossi i lieti attimi
di quella gioia semplice,
libera vita sui monti sognarono,
la scuola parve ad essi un nero carcere.
L’azzurro, il sole, quei fiori sognarono
che languono nell’aule…
Or grazie e auguri alle fanciulle inviano,
ed un saluto all’altre firme incognite,
e insiem l’invito che ancora s’incontrino
sulle montagne roride…
Fugge la vita, e il tempo inesorabile
cammina verso mete imprevedibili…
Viva immortal la giovinezza florida,
che del suo amore affascina!
Giugno nuvoloso
(strofe alcaica)
Freddo sole che, dietro alle nuvole
t’ascondi, forse sei malinconico?
o sei corrucciato col mondo?
o sei stanco dell’eterno volo?…
Perché di Giugno ancor non ti liberi
dei grigi ammassi d’immani nuvole?
Tutto è freddo senza il tuo fuoco,
e tenebroso senza il tuo raggio.
Quando tu manchi languono gli uomini,
quando scompari le cose soffrono,
e di fredda malinconia
si veste il mondo, e triste sospira.
Oppur sei corrucciato? tu fulgido,
di così puro candore splendido?
di fronte all’infame bassezza
dell’agire egoistico umano?…
Da quando voli nell’aer cerulo?
forse sei stanco, ma sei tu memore
che un mondo ghiacciato è la morte?
che un mondo tenebroso è la fine?…
L’anima in petto triste mi palpita,
sola si sente, languida e misera…
Che venga inondata di luce
prima che la tenebra l’uccida!
A Giordano Bruno
Nascesti per volere di Minerva
e di Apollo congiunti, e nel tuo cuore
vissero fusi ragione e furore,
sprazzi di luce in tenebra serva.
Tu guardasti lontan nell’Infinito,
e in immensa Unità lo palesasti,
il genio tuo ad essa curvasti,
le favole dell’uom calcasti ardito.
Tu vedesti rotare negli immensi
stellari ammassi, l’universa vita,
svelasti del progresso i veri sensi.
Vittima del pensiero, quella mente
che il rogo consumò ma non distrusse,
rivive sacra in chi libertà sente!
Gioia di che?
(strofe saffica minore)
Cuor che t’inebri d’un tramonto estivo,
mentre splendendo s’inabissa Febo,
sento che godi, sento che ti preme
trepida gioia!
Ma quale gioia? tu ottenesti grandi
doni da Pluto, ed or quell’oro guardi?
o a te fu largo de l’Olimpo il padre,
d’invidi onori?…
Alme vittorie con trionfi alteri
forse tu avesti sull’avverse sorti?…
Nulla di questo tu ottenesti, a cui
naviga l’uomo!
Ma qual è allora la serena gioia
che in te s’accoglie, che ti fa contento?
non hai ricchezze, te nessuno cura,
vanti non senti…
Oh ti comprendo! tu me stesso sei,
e solo a me tu ti confidi appieno.
Basta che guardi ne l’azzurro cielo
gli astri splendenti,
basta che l’alma dal tormento fugga
del nero dubbio che affatica e preme,
basta che vita solitaria meni,
lieto tu sei!
È la bellezza d’una vita sola
che ti rapisce, come fior nascosto,
non ammirato, mai guardato, ignoto,
che tu ricerchi!
Chiudi geloso l’estasi che vivi,
mena una vita intima e sognante,
fin che la Parca, la tua ombra nuda
lanci nel vuoto!…
La festa di mia madre
Nell’alba luminosa
di questo giorno atteso,
il cuor non si riposa,
e di letizia è acceso.
Perché gioisce tanto,
e scioglie al cielo un canto?
Che è questa che sento
dolce commozione?
e quale sentimento
è al trepidar cagione?…
Tu agiti il mio core,
perché ti esprima amore.
Un carme studiato
non è di gesta o ebbrezza,
è canto appassionato
di tenera dolcezza.
Freno al cuor si può dare,
se canta per amare?
Ne l’onda dell’affetto
di te che dirò mai?
tanto sgorga dal petto:
Tu la mia vita sai,
Tu mi riempi il core,
mi riempi la mente,
d’affettuoso amore,
di tenerezza ardente,
ché sempre al fianco mio,
angelo fosti, pio.
Alla mia culla fosti,
me amorosa allevasti;
quante fatiche, costi,
maternità mostrasti.
Tu a Minerva donare
mi volesti, e sacrare.
Quando fui minacciato
di notte senza stelle,
quando fui deportato
qual prigione e ribelle…
quanto acuto dolore
ti lacerava il core!
Ricordo di una scalata
a G. e L. T. che scalarono monte Miletto il 22 Agosto 1948
Da Napoli baciato dal suo mare
che un cielo azzurro sempre ricoprì,
fervente d’opre e di bellezze rare,
che una natura splendida le offrì,
veniste sul Matese alto e deserto,
dove i belati sol rompon l’orror,
e dove intorno un grandioso serto
di monti s’erge, e genera stupor…
Fieri saliste. Il muscoloso e nero
corpo mostraste ai forti rai del sol.
Vinceste ogni fatica, ché un sincero
desio di ascesa ai corpi diede il vol.
Premeva il piede le schegge taglienti,
o si posava sull’erbe e sui fior;
pulsava il core, ed a salir gl’intenti
muscoli in alto spingea con ardor.
Sulla vetta arrivati contemplaste
l’immensa scena di montagne d’or,
lo sguardo acuto lungi saettaste,
di nuvole e di nebbie nell’albor.
Parea che il monte riguardasse altero,
gli agili e arditi giovani salir,
ma ne gioiva, pur nell’austero
aspetto con cui ama comparir…
Ora tornati a Napoli incantata,
alternerete studi, giochi e amor…
Ricorderete più quella scalata,
che pur vi mise vanto e orgoglio in cuor?
Ricorderete più chi vi guidava?
chi conosceste al ripiegar del vol?
Le cime, i prati, il lago che brillava,
azzurro e calmo al folgorante sol?…
Oh tornate di nuovo, ed il fiorente
volto che in me la simpatia destò,
e il riso, e quel parlar tanto piacente,
ch’io vegga e senta, qual mi si mostrò!
Oh se tornaste nell’inverno cupo!
altro Matese io vi farei veder:
candide nevi, venti urlanti, il lupo…
nordico sogno di strano piacer!
Solo me n’ vado su quel monte aprico,
ma non è perché abbia un chiuso cor.
Ecco… proprio lassù sento l’amico,
se provo sulla vetta un muto orror!
Tormento
I sogni, il silenzio, il mistero,
il triste abbandono cantavo,
allor che d’estate guardavo
le stelle tremanti nel ciel,
allor che al calore gioivo
di torrido sole radioso,
allor che con cuore animoso
usavo le vette scalar!
Se l’alma era triste in quei giorni,
tristezza era calma e sognante:
non reca una vita vibrante
ed attiva, dolore e mister.
Novembre, in un velo di nebbia
nascosto quel sole splendente,
col funebre manto coprente
le cose, mi porta un languor.
Mi porta l’insonne tormento
di nera e piovosa nottata,
riporta una cura obliata,
più acuta la mente a ferir…
E penso che manca al mio cuore
qualcosa che stento a sognare,
che forse non posso sperare
che venga raggiunta da me.
Di viver desio non avevo
allora che libera vita
vivevo, nel sogno rapita,
nel bacio infocato del sol…
ma or che silenzio e languore
m’avvolser d’ignota paura,
io temo la morte e l’oscura
vicenda dell’alma al morir.
No! Vivere voglio, sognare,
cantare, sentire la gioia,
cacciare quell’orrida noia
che oppresso mi tiene in timor!
E fremere voglio d’amore,
nel riso di donna gioire
e voglio in ebbrezza sopire
il cuore, e ‘l pensiero annebbiar.
Momenti di calma e di pace
avrò, da poter ignorare
che un vuoto infinito m’appare,
e tenebra, e freddo, ed orror…
Ode all’amico laureato
(strofe saffica minore)
Ad Alfredo Perrotti nel giorno della sua laurea, 12 Agosto 1948
Nel giorno radiante in cui di lauro
una corona alle tue tempie avvolgesi,
ed il tuo cuor di calmi sogni palpita
e di piacer s’inebria,
quanta stima di te nella mia anima
coltivi, voglio dirti, e quel che dettano
gli spirti del mio cuore, a te che intrepida
vita vivesti e assidua.
Quando nel mio paese avesti nascita
e fanciullezza spensierata ed ilare,
destino vario e giovinezza ardua
l’oscuro fato davati.
Vivesti l’avventura già nell’arida
terra dei Faraoni, allor che fervida
adolescenza e avventuroso animo
i sogni ti destavano.
Ricordi poi quando passasti, agile
e forte efebo, alla palestra ginnica?
grato ricordo di passata epoca,
grato ricordo e fulgido!
e quando, sotto all’Appennino, a Spezia,
dal cielo udivi e dalle onde fluide,
occulta voce e di quell’arti magiche,
le cause recondite!
Quanto t’ammiro, e come sembro misero,
pur coi miei libri a te paragonandomi!
non ti bastava l’onda, nelle liquide
t’inabissasti tenebre!
Venne la lotta immane, e tu nel Nautilo,
sotto i marosi ardui celandoti,
passasti le colonne antiche d’Ercole,
e nell’azzurro Atlantico,
da l’onda immensa, l’ira ed il pericolo
sfidando del nemico, fino all’ultima
nebbiosa Tule ed alle verdi Esperidi,
tu ti spingevi impavido.
Che pensi? e dentro il cuore tuo qual fremito
ti si volvea, e quale calma l’animo
nutria quando passasti per le floride
germane terre e galliche!
Italia serva dispogliata e lacera,
restò alla guerra, e negli agoni insipidi
gettata, e senza regio serto aureo…
Tal la trovasti, e trovasi.
Ansia e bisogno te al lavoro spinsero
ed a Minerva. Nei severi studii
il farmaco cercasti alla tua anima,
d’ansie future trepida!
Poi quando Febo di fulgore splendido
entrò nel Toro, a te mostrò una tenera
feminea creatura, quasi fulgida
gemma della tua laurea.
Or calmo vivi, e puoi sognare placido,
assai lottasti, in un amore vivido
con lei per lunghi anni resta, tenero
amico e sposo provvido.
La vita è lotta faticosa e lubrica,
la morte è abisso nero e spaventevole…
vivi operando e nell’amore languido
ignora l’Ade orribile!
24 Dicembre 1949
Risposta a un augurio
Vigilia di Natale! Un freddo vento
soffia su Piedimonte, ed io leggendo
passo il meriggio in triste calma, avendo
estraneo il mondo e assente ogni tormento.
M’arriva oggi la tua cartolina,
coi tuoi “affettuosi auguri e saluti”.
Guardo la firma, e in petto vengon muti
ricordi di quand’eri a noi vicina.
Ricordi di stellate sere estive,
di scherzi e canti, gite e allegre cene…
Tutto passato!… penso con dolore.
Io ti ricambio gli auguri di cuore.
Che nel nuov’anno tu abbia ogni bene,
e chi partì ritorni a queste rive.
L’usignuolo nel giardino
(2° strofa asclepiadea)
Trillo che vivido squilla in un rapido
Gorgheggio, o languido sospira e tenue,
tintinna tremulo, forte si slancïa,
poi nel silenzio avvolgesi,
io sento estatico, in un nostalgico
desio stringendomi di notti fulgide,
di melanconici canti, di spasimi,
di visioni e palpiti!
È un trillo agile, un canto trepido
che in un dolcissimo suono melodico
s’ode in un piccolo bosco recondito…
si sente, ed è invisibile!
S’è tanto giovane il cuor che palpita,
come può i fremiti d’amore cogliere?…
come puoi piangere, se triste levasi
un canto in notte tacita?…
Fantasma incognito, t’impone gelidi
fremiti ed ansie incomprensibili…
Rivivi l’arduo sogno del musico
cigno, solenne e splendido!
Canto nostalgico, pieno di fascino,
è il tuo che, attonito, ammiro e plaudo.
Salve, o poetica voce, te agita
il divo arciero delfico!
Solitudine
(frammento)
La stanza di libri ripiena
è freddo rifugio al mio cuore.
Io dentro vi serro l’amore
mio stanco, che ad altro non do.
Dai libri fuoriescon fantasmi
di grandi, che dicono all’alma:
sol noi ti daremo la calma,
lasciandoti dimenticar.
I monti solenni e severi,
che guardano silenziose
pianure, che al cuore ansiose
parole d’orrore san dir,
son altro rifugio al mio cuore.
Il loro segreto linguaggio
Illumina il petto di un raggio
d’inconscia felicità…