1989
Acquannu u gèlu l’òrtule cuprìva,
comm’ a mó jèla e gli uortuli cumòglia,
e tu t’aizàvi prìestu, la matìna,
pe ì sott’ a sciume, a Alife, a faticà,
u fuocu accumpunìvi cu ll’orìve,
sott’ a le léne sulu ddoi pambòglie,
e sùbbitu appicciàvi cu i cirìni
pe fa la vraia pe ci scalentà,
e ci venìi a vasà prima che ‘scìvi,
rentu a chïu lìettu cu i sacconi a sbroglie.
A vòte ïu te facévu gli’ occhiolìnu
e gli uocci tuoi rirévunu, Papà.
1996
Cciù prima, Sì! Parìvi u finamùnnu
quannu currìvi a gèniu tuovu pe i vichi,
mó nun gli abbàgni cciù mancu nu zìcu
ca te se hannu carriàtu a n’atu munnu.
Ra llocu mó ‘n si sulu tu che ‘nfunni.
‘N sannu chi si, ‘n te trèttenu r’amicu,
ccà, te sapéunu puru le lurdrìche.
Finanche u Re venètte a stu sprafùnnu
pe te veré … Mó ci venìmmu nui
ma ciànu, ciànu, a passu re furmìca.
Me piace addimannà, vogliu sapé …
– Mó che Turànu è mupu e cciù nun rùi
sta Valle re ll’Infernu accussì antica
pe chi l’ha vista è mègliu a ‘n ci veré.
1983
– C’è l’uomo!
– L’uomo!
– L’uomo!
– Acerini, perché vi spaventa?
– O ulivo, assonnato dagli anni,
hai sì corta memoria?
Mi ricordi in altezza a te pari? …
Ora giaccio a livello di terra …
– Ceppo irato da triste esperienza,
io ricordo il tuo tronco possente
e gli attrezzi infernali
che tagliano il ventre
ma, ancor prima di simile scempio,
rammenti quel giovane amico
il cui volto era spento? …
Veniva ogni giorno e sedeva,
ora qua, s’era fresco mattino,
ora là, s’era sole ponente.
Gli insegnammo, e capì
ch’era pieno il silenzio
di suoni e colori oltre i sensi,
di messaggi affidati un po’ all’aria,
un po’ all’acqua, un po’ al vento …
– Uomo ad uomo è parente, fratello!
Credi ch’ei sia migliore? …
Sbagliammo …
– No! Non dirlo, infelice.
Egli ti amò, siam testimoni in cento.
Tu eri svenuto e non vedesti
ma, quando seppe che il corpo
tuo, mutilato, era riverso a terra,
venne e pianse con noi la tua sventura.
Poi non è più tornato
proprio per non vederti in tale stato.
Credimi, amico mio, c’è vento e vento!
E tu vuoi maledir la lieve brezza
del male che ti fece la tormenta? …
Lo senti?
Ha salutato il Mirto.
Ora è al Bosso che parla
ed ora al Fico.
Non è cambiato! Non cambierà …
– Salve! Ulivi,
salve! Ceppo,
salute a voi! Polloni.
– Sii benedetto, amico.
Ho tante cose da dirti …
No! Non lì,
siedi sopra di me,
ti prego.
1991
Francesco
Preferisco pensare a un’offerta:
– Non c’è amore più grande …
per salvare un amico –
Domani si dirà:
– Era pur buono …
– Disponibile sempre …
– Un vero uomo …
Nel frattempo, vanamente,
stanotte cerchiamo
le parole per dire a una madre
che il figlio non è …
1981
Ho veduto
e se tremo, lo sento,
è perché sì profondo è l’abisso
negli occhi miei fissi …
Il tremore incostante del chiaro,
l’attesa, non vana, che brilli
da incerte sembianze del piano
riflessa, l’ombrata pupilla …
Solivago l’iride varco,
irreale, febbrile,
mi attardo sgomento,
poi proseguo, mi addentro,
ma la luce ormai bassa
avvicina quel ciglio:
è la fossa dei pazzi,
il mio ultimo appiglio.
1980
Il dito è l’indice, il braccio è teso,
sopra ci passano mille pretese.
Di desideri e di cose allettanti,
inappagati, ne passano tanti.
Passano pure, ma velocemente,
alcune sere le stelle cadenti.
Ci passano donne di malaffare,
un po’ di bene ma tanto più il male,
ed i campioni di questa giornata,
ecco che passano nella sfilata …
Il dito è l’indice, il braccio è teso,
passa la strada che va al mio paese,
dietro le spalle c’è un mondo non mio,
fra pochi istanti ci passerò anch’io.
1984
Il mondo, un dizionario:
persone e, in società,
centomila parole …
Singole, differenti,
da regole precise incatenate.
Termine in voga,
uomo di successo,
ti credi insostituibile,
ti senti inattaccabile
ma, prima o poi, gli altri
faranno a meno di te:
useranno, altre parole,
sinonimi già noti
o inventeranno.
1983
Incredulo il pruno da poco fiorito,
increduli gli Æsculi, il salice, i pini …
incredulo anch’io che ti amai, fortemente,
amico fidato. Addio olmo imponente.
1985
Lottano nebbia e tenebre.
Sparse figure umane
contorti ulivi evocano
e immagini lontane:
contadini di un tempo,
fantasmi di cento anni fa,
anchilotici, ansanti,
il somaro compagno,
la donna ch’esorta
e lavora d’affianco …
Baluginante il fuoco,
nottata allo scoperto,
canti corali e balli,
suoni di un organetto …
Poi, quando tutto tace
E gli occhi spian l’inconscio,
va, sugli addormentati,
a ritemprarli, il sonno.
Agli estenuati, tregua!
Moti di terra, pace!
1982
Momenti di noia,
racconto una storia.
L’apatia si trasforma
e diventa allegria.
Il mago predice
e tu ascolti felice,
ridi forte, mi abbracci,
– Ti piaccio amor mio? –
Non rispondo e tu, seria,
ti imbronci e vai via.
Momenti di gioia,
che bella vittoria,
ti chiamo gridandolo
forte che ti amo,
ma tu lo contesti,
scuotendo la testa.
Rido forte e ti abbraccio,
– Ti piaccio amor mio? –
Tu rinneghi per celia,
io ti prendo: sei mia!
1996
No cciù alla Libia
e mancu a Stalingradu,
a unu a unu, mó,
mòrunu ccà, rent’ au paese,
sti poveri uagliùni sfurtunàti.
Requiem Eternam
a chi n’è cciù turnàtu,
e a vui che giàte
Rechiamatèrna
pe tutti i cunti che m’ète cuntàti.
1990
Non quello meditativo,
altro silenzio.
Ora è il tacere di chi non può parlare.
Vi si cela, tra i ruderi, in agguato,
la vipera sorniona.
Altre entità si aggirano,
sono: l’Ebreo Errante,
il cercator d’asparagi,
il pellegrino stanco …
pornografia, amanti.
La parvenza di un uomo che chiede,
dal dipinto in edicola, a ritmo,
e bisbiglia parole incomprese,
si addensa, vorrebbe consistere
ma non l’aiuto e perciò
corrugando svanisce.
Malgerio Sorel,
cavaliere normanno,
cistercense converso
già avanti con gli anni,
ti prometto verrò
e, se ancora vorrai, potrai farlo,
ora so.
1979
Notte, regalami
discernimenti ambigui,
rassomigliante, d’ombra,
mostrami un volto amico.
Vento perché ora taci?
Recita la tua parte,
tu devi dar la voce
a un corpo che è dell’arte …
Ma perché al mio pregare,
se prima tanto urlava,
è ammutolito il mare,
e voi piante impietrite?
O alberi, che mi dite?
Dato che certo ha un senso,
cos’è questo silenzio? …
Ché non riconoscete in me il compagno
dei mille giuochi fatti in mille sere?
Ed io parlavo a voi di lei com’era,
e voi la inventavate qua ai miei occhi
tutta per me.
– Sì, tutta per te – mi dicevate,
– Patto è che non la tocchi –
– ed io non l’ho toccata,
e lei non viene,
e voi tacete,
ed io sto in pena.
1998
Oh! Ch’io non venga a te lordo di sangue,
carico di bottino o reo d’inganni,
ma tralcio dai racemi appena colti,
frumento ora trebbiato, Olea contorta.
1999
Quam dilexi, cara imago,
veni in somnis, veni, ornata,
cantilenas iterum canere.
Te, enarranti satisfacta,
careo, antiquas narrationes,
et risu tuo loquenti,
careo te, etiam gementi.
1981
Quercia eri un tempo, o roverella,
ed io un fanciullo,
e tu pioppo eri allora, o mia betulla.
Non distinguevo un pino da un cipresso,
né l’iris conoscevo e le ginestre,
ma i convolvoli amavo già allora,
ed amavo l’origano in fiore
e il Ginepro comune e la Malva silvestre,
Raviscanina con le sue foreste:
misto il carpino al frassino
e il corbezzolo al leccio,
e poi il sorbo, e il corniolo,
e poi l’acero e il faggio,
finalmente le felci
e, tra il muschio invadente,
i cantarelli d’oro.
1989
Questo mio corpo,
non più vivibile,
per cui nel mondo
camminai, libero
e direi no! Non lo voglio donare,
se potessi,
al chirurgo che intende salvare
ed al giudice che mi farà sezionare
perché amare, per me, non è questo.
Tuttavia, se lo Stato s’impone
e dissacra le spoglie – per amore –
allora io voglio,
già privo degli occhi,
dei reni e del cuore,
sostare tra i rovi,
esser tana di rettili
e pasto agli insetti,
ed ogni altra creatura affamata
ben venga, è invitata.
Poi se misero è il pasto ch’io dono,
se da solo non basto – Perdono!
1982
Se mi ami perché
mi calpesti germoglio
e, da grande, mi strappi
i rametti e le foglie?
Se mi ami perché
mi detesti lombrico
e non credi che un tasso
possa esserti amico?
Se mi ami perché,
quando sono un uccello,
mi dai caccia spietata
e se sono un coltello
non mi fai tagliar pane,
e ti servo, bastone,
a scacciarmi da cane?
Se mi ami perché
mi facesti esser croce
per chi, ancora, morente,
parlava di pace?
Io non voglio! Non voglio!
Ma tu seguiti ancora
ad appendermi in braccio
chi ti predica amore.
1998
Sémmu fatti accussì,
lóta e brillànti,
frutta alleàta
e scióre che se sfràgna
‘ncopp’ a una pianta,
orìve nére e jànghe
còte re tutti i sànti,
frunnélle appése agli’àrulu
che vòria scutuléa, annu pe annu.
1996
– Ti parleranno male di me
non difendermi! Annuisci!
Tienilo solo per te
ciò che è vero e ci unisce.
– T’amo, maestro, non lo permetterò.
– Mi legheranno gli arti
ma non ti vorrò martire,
non impedir che facciano,
vedrai, mi sputeranno in faccia!
– Prima morrò, maestro, questo non lo vedrò!
– Flagelleranno il corpo,
udrai. Tu stattene nascosto!
Il Padre mio dispose
Lassù ch’io muoia in croce.
– Signore, piccola cosa io sono
Perché vuoi conservarmi? …
– Svegliati, Giovanni!
– Ma il mio nome non è Giova…!
Pietro! Maria! …
Come vuoto? …
Egò eimì e anastasis kai e zoè …
– Che strana lingua, dottore …
– Già! Credo sia il Greco.
Ora però lo lasci riposare.
Vivrà, ma …
Dubito che il merito sia stato solo mio.
1988
Tu, ragazzo delle Shetland
o di qualche altra regione,
morto in terre dove dicono “uaglióne”,
e le nuvole ti piangono
con gli occhi di tua madre,
ed il vento ti accarezza,
è lui! Tuo padre,
e quel penny del re Giorgio,
fuoriuscito alla divisa,
quale prezzo da pagare al paradiso.
Nella Russia sterminata
e straniero a quelle genti,
è riverso a terra, esangue, un mio parente.
Ricoperto avrà qual ghiaccio
lui che amava tanto il sole,
chiacchierone morto senza dir parole.
Non riscaldano le nevi
quei centesimi imperiali,
né l’effigie che vi è impressa
è dei suoi cari.
Non si giudicherà l’uomo
dal colore della pelle,
forse un giorno cesseranno anche le guerre.
Non si morirà più in Libano
o nell’Afghanistan,
in Sud Africa l’apartheid finirà.
Sarà bello tanto vivere,
bambino mio, vedrai,
fino allora però non crescere mai.
Si ricorrerà ai ripari
contro i mali della Terra:
nucleare, consumismo, effetto serra …
Ergeremo un monumento
al contrasto d’opinione,
tutto il mondo sarà un’unica nazione.
1986
Una è la verità,
mille i camuffamenti:
false pluralità,
lacrime, giuramenti,
punti di vista,
frasi stralciate ad arte dal contesto,
parole a doppio senso,
ammiccamenti,
satiriche espressioni
e altri espedienti.
1982
Uomo? Non più ma docile formica
tra gli interstizi e i calli delle dita.
Uomo? Non più ma un odoroso timo
o putrido letame oppure un pino.
Uomo? Non più ma polvere di strada,
cenere sparsa dopo una fiammata.
Uomo? Non più ma ossigeno dell’aria
o il correre dell’acqua sulla ghiaia.