Alcune tradizioni popolari in Pietraroja,
in Annuario ASMV 1975
pp. 85-87
di Pasqualina Di Lello Manzelli
Il matrimonio era un avvenimento che si presentava come uno tra i più suggestivi e caratteristici nella piccola comunità montana.
Prima del matrimonio gli tatuni, cioè i nonni o, in loro vece, gli zii dei due giovani si incontravano per dare e ricevere chiarimenti sulla moralità delle rispettive famiglie e sulla dote. Comunicavano quindi i risultati ai genitori i quali, se lo ritenevano opportuno, concedevano il benestare e si accordavano con quelli dell’altra parte sui modi e sui tempi del matrimonio.
Il giorno e l’ora fissati, abitualmente a metà settimana, i parenti della promessa portavano tra suoni e canti e in grossi cesti il corredo a casa del futuro marito. Qui giunti, la mamona, cioè la nonna e le altre donne di casa preparavano il talamo intonando gli accordu:
léttu d’ rose… e chi ci vò durmì
réposu bégliu… e chi gli vò piglià.
Gli accordi erano particolari cantilene nelle quali un verso era ripetuto più volte e, sempre più lentamente, con la stessa musica. Precauzione da non dimenticare: la madre dello sposo poneva di persona nel letto un candido lenzuolo di lino, necessario… per provare l’illibatezza della futura nuora.
Il giorno delle nozze la promessa e le amiche intonavano l’accordo:
‘Do stai ninnigliu miu ca nun mé sénti
‘scolta la voce mia mira ‘do stò
Al suono della campana a gloria il promesso rispondeva con parenti e amici in tono spazientito:
campana d’or’ i argient’ sona sona
nun ci chiamat’ chiù ca mo mnimmu…
e si avviava verso casa dell’amata portandole su una spasa, cioè su una grata rotonda di vimini, l’abito nuziale. Giunto a destinazione faceva sosta, insieme a quelli che l’accompagnavano, sull’uscio perché la giovane, fingendosi risentita, lo accoglieva con dolce rimprovero:
Tu a lu iautu stai, iu a lu vasciu stongu?
Tu t’ cunténi? E i’ maggior m’ tengu!
Finalmente la pace era fatta e il giovane varcava la soglia mentre le parenti e le amiche intime aiutavano nella vestizione colei che di lì a poco sarebbe andata a nozze. Un rintocco di campana, gliu cinnu, e il capo di casa pronunziava un commovente e applaudito sermoncino all’indirizzo della figlia rammentandole, tra l’altro, i doveri coniugali e dicendole di quanta tristezza la sua partenza sarebbe stata causa; al termine tutti si avviavano in corteo verso il sacro luogo.
Dopo il rito lo sposo, accompagnata sua moglie a casa del padre, ritornava con i parenti verso la propria per il banchetto nuziale. Uno dei piatti più caratteristici era, per tale circostanza, la zuppa di lenticchie cotte ‘nt’ la la pignata e condite con costatelle e cotiche di maiale. Durante il pranzo la sposa e i parenti intonavano:
Ninnigliu miu nun t’affliggi tantu
Sénti lu miu cantà, statti cunténtu.
E quello in risposta:
Tu stai arrepusata cu la mente
I sto’ luntanu da te e suspiru tantu.
Al termine del banchetto l’uomo, seguito dai suoi, andava a riprendersi la moglie la quale, ahilui! era scomparsa, ovviamente per finzione, al fine di punirlo per essere stata abbandonata già subito dopo le nozze. Alle doverose ricerche seguivano il ritrovamento, la pace fra i due e quindi, con folta schiera di invitati, il trasferimento, questa volta definitivo, a casa del marito. In tale occasio