tratto da L’opera giuridica di Vincenzo de Franchis
in Annuario ASMV 1983, pp. 205-240
di Dante B. Marrocco,
Sull’annuario dell’Associazione storica, fra gli Illustri del Medio Volturno non poteva mancare Vincenzo de Franchis.Ho voluto ricordarlo, pur dovendo cimentarmi in una disciplina non mia, pur dovendolo restringere in un breve studio.
Come per altri lavori lo scopo è di ricordare e di riportare all’ammirazione i nostri illustri, e di riportare l’indagine sul Meridione di oggi, l’antico reame di Napoli e le sue istituzioni, ed anche sulle nazioni che vi ebbero contatto, nel caso in esame la Spagna. Questa irreprensibile figura di magistrato, questa savia figura di uomo incontra la mia reverente simpatia. Non è lo scontento che rimugina mutamenti e rivoluzioni, ma è chi sta fedele alle istituzioni e alle leggi, moderandole con quella mitezza che gli viene da una religiosità sentita, e dalla comprensione dell’umana miseria.
L’ambiente politico. – L’epoca in cui vive ed opera De Franchis è il secolo di Filippo II. Per capirlo in quell’ambiente non farò voli di fantasia assicurando che è storia, né mi esprimerò con giudizi tronfi e astiosamente prevenuti chiamandoli obbiettivi. Dirò che l’impero di Carlo V, anche se decurtato dagli stati austro-boemi e della corona imperiale, continuava ad esistere nella confederazione di stati europei uniti alla Spagna, e nelle immense colonie. Il reame di Napoli era uno di questi stati ereditati da Filippo II. Liberalismo e nazionalismo vedranno in questo legame l’asservimento. Il legittimismo lo ha visto come legame soltanto dinastico, che non asserviva per niente un popolo a un altro, né lo lasciava ingoiare. Nella visione legittimistica, specie se pluristatale, spariva la persona fisica del sovrano, tedesco o spagnolo che fosse, e chi da Vienna o da Madrid regnava sugli stati ereditati, appariva come un poliedro unico per tutti e diverso nei vari stati. Egli era garante dell’esistenza dei popoli ereditati. In questo ambiente ideologico vive De Franchis. L’altezza dell’ingegno lo porta assai in alto, fino a Madrid, e sta a provare che da parte degli stati confederati funzionava una partecipazione responsabile alle direttive centrali.
Un po’ di anamnesi familiare.
La storia documentata dell’illustre famiglia de Franchis, durante quasi un millennio può essere distinta in tre periodi passati a Capua, a Piedimonte e a Napoli.
Le origini sono “franche”, è a dire normanne. A Capua primeggiavano fra le quattro principali famiglie. Granata e Ughelli scrivono [Granata Francesco, Storia della fedelissima città di Capua (Napoli 1752), libro III, p. 38 sgg; Ughelli Ferdinando, Italia sacra (Venezia 1721), vol.] che tenevano la loro cappella al seggio dei cavalieri, e ad essa era annesso il beneficio di s. Maria dei Franchi. Gli Eletti dell’amministrazione cittadina vi ascoltavano la messa prima di cominciare le adunanze. In S. Domenico di Capua possedevano la cappella gentilizia col sepolcreto. Quando si trasferirono a Piedimonte, l’ipogeo restò abbandonato. Poi fu restaurato nel 1618, da Giacomo de Franchis marchese di Taviano.
Durante il regno di Federico II, i de Franchis assursero ad alte cariche. Nel 1230 Guerriero de Franchis ricevette il delicato incarico di Provveditore alle fortezze di Sicilia.
La dinastia muta, ma la fiducia rimane. Nel 1268, Landolfo de Franchis è nominato da Re Carlo I , Viceré di Terra di Bari. L’anno seguente Giovanni de Franchis va ambasciatore in Aragona.
Ma il privilegio più distinto e caratteristico viene conferito a Giovanni divenuto consigliere aulico, da Re Carlo II. A Nizza – la casa di Angiò possedeva anche la contea di Provenza, – il 12 Dicembre 1293, il sovrano, ricordando le benemerenze della famiglia, stabilisce che, quando viene a Capua la prima volta dopo l’incoronazione, il De Franchis regga le briglie del cavallo dalla porta fin dove smonta. Il Re, a questo punto, al De Franchis dona il cavallo e alla consorte un anello [Granata F., op. e luogo citato].
Dopo questo periodo splendido non vi sono altre notizie di grande importanza, e intanto si prepara il trasferimento a Piedimonte sotto il Matese. Ci fanno da guida molti scrittori, e specialmente Ferrante della Marra [Della Marra Ferrante, Discorsi delle famiglie estinte… (Napoli 1641), pp. 118 e sgg.].
I de Franchis a Piedimonte.
Pure da Della Marra sappiamo di Nicolò, vissuto nella prima metà del ‘300. È lui che si trova possessore di un grosso terreno a Piedimonte, e che donò al figlio Tommaso. Fra i debiti dell’università di Piedimonte durante il ‘600, ne risultano tre di 1.600 ducati, che in origine erano un prestito di Tommaso [Marrocco Raffaele, Memorie storiche (Piedimonte 1926), p. 91]. Da Tommaso venne Bartolomeo, e da questo nacque Nicolò che si trasferì a Piedimonte.
La proprietà di Nicolò è detta Parazata, e non corrisponde a nessun toponimo attuale. Non era “feudo” come viene detta, ma proprietà privata di vasta estensione. […]
Ricordiamoli brevemente. Giulio fu dottore in Legge. Jacobuccio fu personalità assai elevata: professore di Diritto civile e feudale, rettore della cattedra dei feudi all’università di Napoli; nato a Piedimonte, verso il 1505 si trovava ambasciatore presso Re Ferdinando il Cattolico; in data imprecisata 8dal 1513) sappiamo di lui ambasciatore straordinario di Papa Leone X presso Carlo V; nel f. 142r delle Decisiones, il pronipote Vincenzo dà la data della morte, 27 Agosto 1517; è autore dei Preludia, pubblicati dopo la prima parte delle Decisiones.
Figli di Giulio furono: Adriano dottore in Legge, Giov. Giacomo, che nel 1567 stava nel Consiglio dell’università di Piedimonte [Marrocco Dante, Atti amministrativi feudali nei secoli XV e XVI in Piedimonte (Capua 1965), p. 29], Ippolito, e forse Melchiore, autore di una commedia “il dottore”.
Segue la terza generazione. Primogenito di Adriano fu Vincenzo il giurista. A lui seguì Giulio dottore in Legge. A Giulio seguì Fulvio, che nel 1567 troviamo arciprete di Piedimonte [Marrocco Dante, Il Vescovato alifano nel Medio Volturno (Napoli 1979), p. 78; Id., Atti amministrativi…, p. 46], poi dal Settembre 1581 sappiamo che fu promosso canonico palatino della cattedrale di Lucera. Forse quartogenito fu Ovidio che troviamo sindaco di Piedimonte nel Settembre 1581 [Manoscritto originale dell’università di Piedimonte presso l’Associazione storica, fogli non numerati].
Notizie sulla vita
Da tutti i biografi sappiamo che Vincenzo nacque a Piedimonte nel 1530. Fin da ragazzo studiò a Napoli, e da studente di Legge ebbe come maestro Tommaso Nauclerio [Decisiones, f. 118].
Fece l’avvocato a Napoli per tredici anni, e gliene venne un gran nome per la preparazione, la serietà e l’eloquenza. Rifiutò cause ingiuste, e spesso patrocinò cause di poveri senza compenso. Fin dal primo momento vedeva tutto quanto riguardava una causa. Quando arringava correvano a sentirlo, e numerosi erano i clienti e gli alunni. Notizia professionale è l’incarico ricevuto dalla contessa di Alife Cornelia Piccolomini; De Franchis, giovane trentenne, dottore in Diritto canonico e civile, viene nominato procuratore della contessa presso il Viceré [Copia di documento presso l’a.s.m.v., dalle schede del notar Pietro Macaro, dell’anno 1560, f. 330].
S’era costruita una villa fuori le mura di Napoli, a S. Maria degli Angeli alle croci, e lì si ritirava quando preparava le Decisiones. Aveva sposato Antonia Celia di Napoli. La prole fu numerosa e degna del genitore: tredici figli. Ricordiamo: Jacopo primogenito, marchese di Taviano; Lorenzo che arrivò a Presidente della Camera Sommaria, la corte dei conti; Andrea arcivescovo di Trani, poi trasferito ad Acerenza e Matera; Luigi religioso teatino, poi vescovo di Nardò; Luca vescovo di Ugento; Geronimo vescovo di Pozzuoli, a morte del fratello trasferito a Nardò; poi arcivescovo di Capua; Francesco Antonio abate di Capi e regio cappellano; Tommaso e Giovan Battista avvocati a Napoli; e Camilla, Fulvia e Lucrezia.
La carriera giudiziaria
La carriera giudiziaria fu quale la meritava l’ingegno e la dirittura.
Il 7 Gennaio 1566 entrò nel Sacro Real Consiglio, la corte suprema. La nomina gli venne dal Viceré Duca di Alcalà. Aveva trentasei anni, e ne fu sorpreso [Decisiones, p. 1 (dedica)]. Nel 1569 fu fatto commissario generale per le contravvenzione ai prezzi. In anno imprecisato lo troviamo commissario generale del S. Monte di Pietà, e dei banchi dei Ravaschieri, Montenero e Cittarella. Nel 1585 fu nominato commissario generale per le cause dell’ospedale di s. Jacopo degli Spagnoli a Napoli. Tanto appare dalla Decisiones [Decisiones, f. 169]. Ed eccoci al biennio culminante. Il 16 Febbraio 1590 diviene vicepresidente del S. R. Consiglio. Il 31 Marzo il Viceré gli comunica riservatamente un dispaccio reale da Madrid: è la nomina a Regente del Supremo Consejo de Italia! De Franchis sta ora a capo del più alto e delicato Consiglio, quello che deve dar pareri a Re Filippo II sulla politica dei quattro stati italiani uniti alla Corona di Spagna: Napoli, Sicilia, Sardegna e Milano. Carica politica non certo giudiziaria. La nomina viene pubblicata il 5 e il 7 Maggio.
Il 14 Luglio si chiude la sessione alla corte suprema, e De Franchis si prepara a partire per Madrid. Ma il Viceré conte di Miranda ferma la partenza. È morto il presidente del S. R. Consiglio: quel posto spetta a lui. L’altissima nomina gli viene comunicata sotto riserva il 23 Aprile ’91, e resta segreta fino al 6 Giugno. Il 20 Giugno, fra toghe ed ermellini, piglia possesso. Alla stessa data è divenuto Viceprotonotario del Regno [Tutto in Decisiones, f. 235 retro].
Mai nessuno si querelò contro le sue giuste sentenze.
A distanza di dieci anni De Franchis moriva fra il compianto di tutti. La lapide in S. Domenico Maggiore di Napoli, nella cappella di patronato della sua stirpe, assicura il 5 Aprile.
La famiglia, ormai napolitana, era ascritta al patriziato dell’antica capitale, nel seggio di Capuana. Vi campeggiava lo scudo con la banda e la mezzaluna di oro in campo rosso.
Le Decisiones
Per il valore pratico che ebbe se ne fecero numerosi edizioni [Le edizioni si susseguirono così: 1580 a Venezia in folio; 1586 in Francia, pare a Lione; 1599 a Colonia; 1607 a Venezia; 1616 pure a Venezia (presso l’Associazione storica); 1618 a Napoli; 1621 a Venezia; 1625 a Venezia; 1626 (?) a Venezia; 1628 a Torino; 1628 a Napoli; 1708 a Venezia. Nelle due edizioni di “Piedimonte Matese” accenno a otto edizioni]. Fu commentata con apposite pubblicazioni da O. Visconti di Giffoni, da G. Novario e da P. Roizio di Torino. Abbiamo analizzato l’edizione di Venezia del 1616, del tipografo Giunta.
L’opera in 4° conta 260 pagine, escluse le aggiunte Additiones composte da Flavio Amendola.
L’opera è dedicata a Re Filippo II. De Franchis ricorda al sovrano l’opera di Parafamus de Ribera Alcalanorum Dux, don Pedro Afàn de Ribera Duca di Alcalà (detto Perafàn), a capo dello stato napolitano dal 1559 al ’71. Segue l’elenco alfabetico dei càpita, ed a questo l’indice assai esteso copiosissimus, di argomenti e parole rerum ac verborum. Ben 64 pagine.
Il riassunto che presento in appendice era necessario per dare un’idea anche sommaria del contenuto dell’opera, in quanto, riportando le prime parole della decisione, non si dà per niente conoscenza di quel che tratta. Logicamente so di non aver sintetizzato in poche parole un complesso e vario argomento. Ho cercato di riflettere l’essenza e qualche aspetto tipico.
Le 530 Decisioni risultano raggruppate in tre parti: la prima da foglio 1 a 224 (Dec. 1-227); seguono i Preludia del prozio Jacobuccio (da f. 122 retro a 142 r.); la seconda parte va da f. 143 a 223 (Dec. 228-434); e la terza da f. 223 a 260 (Dec. 435-530). Concludono l’opera le Additiones aureae. Di F. Amendola di Pietrapagana.
Di ogni causa dà il sommario numerato ed a questo segue una estesa Decisione nella quale viene citata la causa specifica.
Non appare dall’opera al riunione delle Decisioni secondo le varie suddivisioni del Diritto. Perfino nella stessa sentenza si passa da norme di Diritto feudale al Diritto privato o penale. Non è neanche una composizione organica e completa. Appare come un’enciclopedia, i cui articoli non derivano da teorie ma da esigenza pratica del giorno.
Le varie branche del diritto
Esame interno dell’opera. – Prima di esaminare sommariamente le branche giuridiche è necessario dire che lo stile è sobrio e perfetto. Assente la rettorica, rara la persistenza nel termine: Determinatio determinans plura determinabilia, debet ea pariter determinare (D. 468). Curiale nell’anima, curiale nell’espressione. Facciamo l’esame interno seguendo le partizioni del Diritto.
Diritto costituzionale. – Nel caso nostro intendo quelle leggi che De Franchis chiama constitutiones Regni. Esse non riguardano la forma dello Stato. Emanate da Re Ruggero II e dai successori, riguardano Diritto pubblico e privato, ecclesiastico e penale. Sono costituzionali non nel senso moderno, ma perché fondamentali. Per la maggior parte riguardano il demanio e il passaggio delle università ad esso (D. 17), le collette o tasse straordinarie (D. 56), in che consiste il privilegio (D. 192), l’indulto e la grazia (D. 330), l’ordinamento dei tribunali (D. 510), le provvisioni e la giurisdizione che emanano dal Re (D. 511 e D. 517), vari interventi dello Stato. È previsto il giuramento del Viceré ai diritti del reame (D. 393), e le attribuzioni dei Grandi Ufficiali della Corona (e cioè di Stato): il Gran Cancelliere (D. 65), il Gran Siniscalco (D. 458) e il Grande Almirante (D. 142).
Diritto pubblico. – Si aggira sulle quindici sentenze in tutto, visto che molto sta nel Costituzionale. Trattano di utilità pubblica (D. 317), acque pubbliche (D. 1983), maggiore età: 18 anni a Napoli (D. 230), pascoli (D. 489), rapporti fra la legge e le leggi locali (D. 390 e D. 489). C’è altro che sconfina nell’Amministrativo.
Diritto feudale. – Almeno 52 sentenze. Il feudo può essere ereditato o acquisito (D. 1), e condizionato (D. 154); quando può essere acquisito (D. 6) e quando ritenuto ereditario (D. 387 e 525). Da ciò le definizioni: universitas facti e quid universale e perciò non di uno solo, aliquid castrense che presuppone un’organizzazione militare (D. 4 e D. 10), da cui deriva che i baroni sono come funzionari del Re (D. 211). Passa ai limiti di tempo per il riconoscimento (D. 425) e all’obbligo della difesa del Re (D. 425). Continua con la successione, quella maschile (D.7), con la rèfuta e col fedecommesso (D. 519), fatti che hanno interessato molto Piedimonte. Ed ecco i vassalli: a chi spettano i frutti (D. 216); non possono chiedere che il giudice naturale (D. 417). Seguono i funzionari: (D. 274), che non possono essere creati a beneplacito dei baroni (D. 409) né essere stranieri (D. 479), e i castellani (D. 458 e D. 505). Tratta della coesistenza di feudo e di università (D. 78), affronta il settore più discusso dei vassalli: il versamento del paragio e dell’adiutorio (D. 20, D. 42, D. 119 e D. 215). Passa al lato economico: reddito (D. 76), frutti (D. 216), coltivazione diretta dei feudi rustici (D. 128), la decima e la sovvenzione (D. 124, 306), nonché quanto riguarda la retrocessione (D. 126, D. 154, D. 172, D. 192), la taglia (D. 56), la giurisdizione nel limite territoriale (D. 129), l’imperio, è a dire giudizi e condanne dai tribunali baronali (D. 166, D. 434, D. 510, D. 511) e il diritto di appello dei vassalli (D. 529). Tre sentenze anche per i diritti sulle acque, pascoli ed erbatico (D. 183, D. 197, D. 301). Sentenze limitanti i diritti baronali si trovano nelle Decisioni 23, 118, 129, 131. Esse non vengono dettate da astiosa mentalità rivoluzionaria (anche De Franchis, creato marchese di Taviano e duca di Torre Orsaria, apparteneva al baronaggio), ma dalla disciplina dell’arbitrio. E così immette nel Diritto la visione cristiana della vita, per cui il signore feudale deve considerare i vassalli come figli. Più che limite, di legge, pone un autolimite di coscienza. (D. 197): Baro pater dicitur, quia erga suos subtitos gerere se debet sicut pater erga filiosi.
Diritto privato. – Nelle sentenze prevale assai sugli altri campi del Diritto. Si tratta di almeno metà delle Decisioni. Tutto vi si passa in rassegna: proprietà, successione, dote, legati, minorenni e loro procuratori, buona fede, alimenti ai genitori, crediti e debiti, strumenti e garanzie, cauzioni e pegni.
Le più minute e complicate possibilità che gli istituti della famiglia e della proprietà, hanno portato, e tutte le meschinità dell’agire egoistico e avaro dell’uomo, tutto viene analizzato dal colto e comprensivo magistrato, e, viene ridotto a sentenze.
Diritto del lavoro. – Appena qualche sentenza, segno che le cause s’erano fermate ai tribunali minori, e gli appelli nn avevano raggiunto il S. R. Consiglio.
Nella Decisione 152 si tratta del salario al vassallo che lavora per il feudatario coi propri animali, e cioè un grano sia per cavallo pro quodam militare, sia per animali piccoli, asini e muli. Passando dal lavoro rurale a quello artigianale in D. 175 troviamo il caso del solito furbo che esercita l’arte gladiatoria (insegnava a maneggiare armi), e quando si assentava, faceva il tessitore di seta. Arrestato per un delitto, ricorse ai consoli dell’arte della seta per essere rilasciato. Ma il S. R. Consiglio non volle: maestro di scherma e non di tessitura.
In D. 337 viene affrontata la diversità di trattamento fra abitante di città e di campagna. Il campagnolo non ha diritto al congruo. E anche De Franchis ne ammette l’odiosità: continet enim inaequalitasem. Nella causa giudicata il 13 Aprile 1586: rusticus è definito che abita in campagna e nei casali, e non ha a che fare col textor telae. La D. 481 riguarda pure l’arte della lana a Napoli.
Diritto agrario. – Numerose sono le sentenze che riguardano l’enfiteusi (D. 30, D. 267 e molte altre), e quelle sul laudémio buonuscita (D. 201, D. 436, D. 447 e altre). Molti sono gli interventi di legge per i miglioramenti agrari (D. 38, D. 109, D. 112, D. 456). Non manca quanto riguarda il raccolto (D. 117) e perfino l’intervento forestale (D. 390) e i pascoli (D. 489).
Si fa notare ancor più l’intervento per i patti agrari: locazioni (D. 406), sospensione del contratto (D. 451), rispetto dei patti (D. 489), una forma di prelazione, e quanto riguarda il colonato (D. 302, D. 334) per i frutti.
Insomma, mettendo da parte il patrimonio feudale e quello ecclesiastico, praticamente immobili per legge dello Stato e della Chiesa, quanto alla proprietà allodiale e burgenzatica, oggi detta privata, si nota un movimento che viene notato proprio dall’intervento della legge. Un intervento che denota lotta e vitalità, e che in gran parte sarà stato deciso dai tribunali locali di prima e seconda istanza, e solo in minima parte avrà raggiunto la corte suprema, il S. R. Consiglio, e durante sei anni deciso da De Franchis.
Procedura. – Almeno 120 sentenze interessano la procedura civile e penale. E analizzano le prove, gli appelli, i reclami e le clausole, i processi per direttissima e la resistenza in giudizio, la sentenza plurima e la composizione, e la nullità; e riserve ed eccezioni, pregiudiziali ed incidenti. Seguono ingiunzioni, assensi, rifiuti, lettere esecutoriali, citazioni, valore del dubbio, della presunzione giuridica, dell’indizio, dell’accusa e revoca.
Lo studioso di legge può scoprirla nel riassunto in appendice. Le sentenze sono composte, e per tanti elementi rientrano anche nel Penale e nell’Amministrativo. In parecchie di esse De Franchis sembra di oggi.
Diritto amministrativo. – De Franchis distingue un Diritto comune jus commune da cui si distacca la lex municipalis (f. 242, D. 489): quando un certo caso non è contemplato dalla consuetudini, subentra il Diritto comune. Partendo da questo principio, riconosce alle università il diritto di eleggere i propri amministratori (D. 43), sentenzia sull’amministrazione di Napoli, capitale (D. 207), torna sulla norma generale (D. 210), passa alla presenza del capitàneo (giudice criminale e governatore) alle riunioni comunali (D. 388, D. 446). Insiste sulla durata annuale delle cariche (D. 489).
Diritto penale. – Appare molto trattato nelle quasi 60 sentenze che lo riguardano. Si parte dal meretricio (D. 68), si passa attraverso la classifica delle pene (D. 88, D. 324, D. 358, D. 378, D. 507, D. 521) e di condanne (D. 139). Condanna l’azione con denaro di altri (D. 96), la corruzione (D. 98), le truffe nelle vendite (D. 225), il parricidio (D. 230), l’adulterio (D. 184), l’omicidio (D. 176), il sacrilegio (D. 240, D. 402, D. 504), e le colpe degli ecclesiastici nei loro rapporti con la giustizia ordinaria (D. 189), la lesione (D. 247, D. 248). La legge è dura per l’esilio e l’interdizione (D. 116), la tortura (D. 143, D. 459), i pirati e i ladri di strada (D. 142, D. 342, D. 426), i fuorilegge (D. 102, D. 213), e il potere dell’imperio (D. 116, D. 166). Dalla libertà provvisoria (D. 248) trascorre alle punizioni ai funzionari (D. 274) e ai giudici (D. 407) ma anche alle offese ad essi (D. 329), alle espulsioni da Napoli (D. 316) e alle cumulazioni delle pene (D. 317). Non è dimenticato il Diritto penale militare con la sentenza sulla giurisdizione del Grande Almirante (D. 142).
Le sentenze continuano con la pena di morte (D. 324) a chi conia monete false (D. 401, D. 440). Sentenzia contro il delinquente contumace (D. 327, D. 417), sullo stupro (D. 333, D. 378), e sull’incesto (D. 378), sul giuramento falso (D. 366), la diffamazione (D. 385), e la necessità di prove chiare (D. 372), e della punizione al falso notaio (D. 444). Sentenzia sulle pene “liquide” (D. 435) le forme di detenzione: (la galera ad triremes) (D. 442), la relegazione (D. 487), fino alla rappresaglia dell’abbattimento delle case (D. 516) e sentenzia pure sul carcere ingiusto (D. 415), sull’offesa del genitore al figlio (D. 418), e prolunga l’esame sul bando d’indulgenza (D. 468), sui cortei (D. 478), sull’indulgenza per il delinquente che uccide un altro delinquente (D. 499). Come si vede, manca poco a un trattato completo.
Solo qualche riflessione. È magistrato, e non discute sulla legge. Ma la sua indole mite affiora nelle attenuanti che propone: non estremi per far uscire la verità (D. 459), e quando nella Decisione 507 affaccia la norma “chi non espia nella proprietà espii nel corpo” vi pone un’interpretazione restrittiva. Attenuante non è condiscendenza ma valutazione di occasioni determinanti. Di fronte all’immaturo violento guarda alla realtà: rigorose puniendum si valde frequens (D. 52, comma 22).
Diritto ecclesiastico. – Le Decisioni sono 40. Il rispetto di De Franchis per la legge ecclesiastica è tale che mette le decime a livello delle collette, le tasse governative in tempo di necessità. Sentenzia su esse in D. 107 e ancora in D. 114, D. 124, D. 235.
Sui beni ecclesiastici sentenzia in D. 30 e D. 125.
Circa i voti monastici le sentenze sono numerose, dato che numerosi erano i casi nei quali dal voto si poteva passare a questioni economiche (D. 384, D. 385 e altre).
I voti dice De Franchis hanno valore indistruttibile (D. 384). Tanto avviene per chi entra negli ordini religiosi. L’impegno alla povertà comporta una restrizione per legge al diritto di proprietà (D. 14, D. 40, D. 423).
Il sacrilegio era delitto contemplato dalla legge statale, e per questo viene punito in varie Decisioni sia nell’essenza che nella determinazione del luogo.
Dal la completa separazione del foro ecclesiastico da quello civile, numerosi erano i casi misti. Le Decisioni 189, 248, 276, 395, 426, 449, 463 lasciano affiorare la meschinità dell’individuo al quale la formale preparazione non ha tolto la mentalità del delitto.
Nella D. 248, dal tribunale statale viene imposto l’obbligo della restituzione, e nella 376 appare l’ecclesiastico convenuto in giudizio presso il tribunale laico. Ma le esenzioni (volute dalla legge) restano forti: resta il diritto al foro ecclesiastico in funzione del carattere indelebile della consacrazione, anche dopo un delitto, anche se si ammoglia (D. 419 e D. 439): dev’essere giudicato dal vescovo; viene sancito il diritto del privilegio del foro da parte del chierico (D. 426, D. 449, D. 463), e nella D. 234 è sancito il diritto di scelta del foro. Nella D. 411 decide sull’esenzione anche dalla consuetudine di Napoli.
Qualche limite ci sta: quando laico ed ecclesiastico delinquono insieme, il giudice è unico (D. 426), lo stesso riguardo alle esenzioni (D. 209), nei processi contro laici (D. 285), nei processi da ripetere innanzi al giudice laico (D. 349). Ma è quel che impone la legge vigente. Il religioso magistrato non va oltre. E non è tanto l’ossequio alla legge dell’epoca a caratterizzare De Franchis di fronte alla Chiesa. È la fede religiosa sentita che in lui si ammanta di tenerezza familiare quando assicura che donare a un monastero è come donare a un figlio (D. 469). Ma è fede illuminata: nella D. 499 sentenzia, contro ogni pretesa unicamente giuridica, che è la persona consacrata a santificare il luogo e non viceversa.
Lo stesso autolimite morale enunziato ai baroni egli lo reclama per l’altro gruppo dirigente: clericus tenetur uti legibus, statutis et consuetudinibus laicorum contra se, si vult uti pro se (D. 285). Rispettasse anche quando va contro, se vuol usarne quando va a favore. Così parla Socrate nel Fedone, e così parla il Vangelo.
Diritto finanziario e commerciale. – Solo 4 sentenze riguardano il Fisco (D. 132 per la remissione collusione, D. 398 sull’obbligo di sentire il Fisco, D. 467 il fatto che non si appella contro, e D. 470 per le facoltà che tiene), ma indicano un rapporto si può dir ferreo fra Stato e contribuente.
Quanto al Diritto finanziario e commerciale le sentenze sono più di 20.
Nella D. 9, De Franchis afferma il diritto del governo ad abbassare il prezzo del grano in momenti di penuria, e tanto vale anche per il prodotto dei benefici ecclesiastici. Le Decisioni 69 e 524 sono dedicate alla compravendita, ma in funzione del jus creditoris, ed in seguito a una causa. È comunque lo specchio della realtà. Guadagno giornaliero è considerato quanto a Napoli ricavano gli affittacamere (D. 79), e anche se è per periodi di tempo, non vengono posti tra i frutti annuali. L’apocha o fede di credito, sta trattata (D. 95, D. 301, D. 503). Siamo ai primi passi della complessa attività bancaria. Occorrono tre firme per la validità. Entra nella disciplina dei crediti e debiti (D. 12), e nella D. 311 sentenzia sulla clausola a pagamento unico, e nella 227 sull’usura.
Sempre dal punto di vista giudiziario, l’alto magistrato esamina il jus offerendi e il giusto prezzo (D. 224), la truffa nella vendita (D. 225), ed interviene pure riguardo a vendite, contratti e restituzioni (D. 39, D. 97, D. 172).
Entra in pieno (D. 249) in un argomento moderno: lo scioglimento di una società, e sul nome vero della ditta in caso di vendita (D. 427), e tratta pure di annullamento del contratto (D. 496). Argomenti e sentenze si seguono: sui cambiavalute (D. 498), possesso e prezzo (D. 506), e necessità di un deposito da parte del debitore (D. 508).
Passando dal credito privato a quello pubblico si può concludere con la disciplina delle collette (D. 22), e delle taglie e decime (D. 103).
Diritto internazionale. – De Franchis conosce anche le leggi di altri stati. Gli accenni alla legislazione straniera sono pochi ma sufficienti.
Accenna alla legislazione di quasi tutti gli stati italiani (D. 182), parla della Rota bononiensis nello stato pontificio, delle consuetudines Burgundiae il ducato di Borgogna allora sotto la sovranità di Re Filippo II e perciò unito personalmente alla Spagna. Allude al Diritto francese e inglese (D. 4 e D. 286); ancor più caro è l’accenno al Senatus Sabaudiae (D. 434) e al Senatus pedemontanus (D. 435), i consigli di stato del ducato di Savoia e del principato di Piemonte, in quegli anni passati da Emanuele Filiberto a Carlo Emanuele I.
Alle conoscenze delle leggi estere possiamo avvicinare sentenze che decidono questioni internazionali. Tratta così l’emenda o riparazione se un ambasciatore è preso dal nemico (D. 146), le prede di guerra (D. 268), l’esclusione dei non sudditi dal delitto di lesa maestà (D. 440), e i rapporti giuridici col sovrano Ordine di Malta (D. 449).
Diritto consuetudinario locale. – Viene trattato poche volte: per il castello di Belmonte (D. 22), per il valore che hanno le regioni (D. 56), per Salerno e Sorrento (D. 96 e D. 295), per il mulino di Montesano (D. 338), per la bagliva a Capua (D. 397), e per i sindaco di Taranto (D. 438). Superiore alle consuetudini locali, De Franchis riconosce un Diritto regionale: Consuetudo regionis attenditur quando de propria non apparet (D. 56).
Consuetudini e privilegi di Napoli. – Nel Diritto consuetudinario s’impone quanto riguarda Napoli capitale, che usufruisce di una notevole differenziazione nella legge civile rispetto a quella dell’intero regno. Assommando queste norme, dal libro appare (relativamente a Diritto privato e amministrativo), quasi uno stato nello stato. Sembra che quel che conta sia la città coi suoi cittadini viventi in essa, non i Napolitani in quanto tali. Basta che si trasferiscono, nascono le limitazioni (D. 452).
Sono più di 20 Decisioni. Ricordiamo la D. 143: niente tortura a Napoli, D. 57 e D. 307 sulla successione e il trapasso di proprietà, D. 170 sui figli di primo letto, D. 266 il subingresso dei rami laterali, D. 367 la sàllia, D. 486 testamenti, D. 489 gli alimenti alla vedova, D. 503 i doni nuziali. Passando alla procedura, in D. 416 altro privilegio del cittadino di Napoli: i forestieri vanno convenuti in giudizio a Napoli.
Privilegi tipici si notano nell’amministrazione della città capitale: la D. 207 tratta dei seggi di Napoli, la D. 383 dei diritti dell’ospedale dell’Annunziata, la D. 446 sulle riunioni pubbliche.
Qualche limitazione: gli ecclesiastici non sono in tutto compresi nelle consuetudini di Napoli (D. 411), e altrettanto dei possessi fuori Napoli accennati sopra (D. 452), niente funzionari forestieri (D. 479). Anche Terra di Lavoro risente dei benefici della capitale: Napoli ne è capoluogo.
Nessuna volta la consuetudine di Napoli viene corretta dalla legge comune. Quando ha avuto origine? È evidente che la più parte delle norme preesiste all’unificazione monarchica, operata dai Normanni. Ed è altrettanto conseguente che, divenuta capitale con Re Carlo I, abbia conservato tutto questo patrimonio giuridico proprio.
Urbanistica. – Appena due decisioni riguardano una iniziale urbanistica. Nella D. 110 si tratta quando si può abbattere una costruzione, e far che la capitale non dev’essere deformata da edifici, e nel riattare vie (D. 443).
Un quadretto di ambiente. – Colpisce l’importanza del cerimoniale. Nientemeno una sentenza del S. R. Consiglio per le precedenze a processioni (D. 44, D. 62, D. 253, D. 365). Giusto vanto è il diritto di porre le proprie insegne sui lavori pubblici compiuti (D. 443). La D. 85, una sentenza per chi possa dirsi primogenito, non è solo cerimoniale, data l’importanza del maggiorasco. Tipica è la sentenza D. 435, relativa ai matrimoni dei nobili. È questione di carriera non di decorativismo la norma D. 445, e sembra l’unica, come entra nella disciplina la D. 455 sul controllo degli alti funzionari.
Di gran distinzione è ammantata l’alta cultura. Si avverte il distacco fra le varie fasi degli studi (D. 111). Ma l’alone di cui viene circondata la cultura a livello universitario si nota nella D. 115, secondo cui dopo vent’anni d’insegnamento, il professore ottiene il rango di conte, mentre a distanza telescopica appaiono i dottori dell’almo collegio di Napoli (D. 234).
Le fonti del Diritto. – Dopo questo sommario esame ci chiediamo: dove attinge De Franchis le giustificazioni per le sue sentenze?
Premetto gli autori che cita spesso: Menochio, Rochegallus, Napodamo Nauclerius, Paris, Sticho, Pamfilio, Andrea da Isernia, Baldus Novellus, Tiraquello, Didacus… Hanno più o meno influito, ma gli ispiratori, lasciatemi dire, anonimi e collettivi sono stati tre: il Diritto consuetudinario, quello longobardo e quello romano.
Diritto consuetudinario. – La consuetudine è intesa da De Franchis come l’abitudine che diventa necessaria: quando aliquid consuetum est fieri, necessarium esse dicatur (D. 487), ed altrove riferisce la definizione di Napodamo: consueto est altera natura scilicet singularis hominis (D. 384). Più diffusa, s’è visto, nel Diritto privato, specie quello di Napoli.
De Franchis si diffonde su essa. Quelle norme fra esse, fondate sulla clausura aequitatis non devono esser viste con interpretazione odiosa ma piuttosto aequitative e, come le leggi scritte, anch’esse sono di stretto diritto. Da tutto ciò l’illuminato rispetto e l’intelligente utilizzazione che ne fa il presidente De Franchis.
Diritto longobardo. – Le Decisioni che vi si ispirano sono poche.
Si va dalla mephia, dono della verginità (D. 101) e dalla D. 478 sembra proprio che la correzione al senatoconsulto velleiano non abbia origine dal Diritto romano. Questo riguardo al Diritto privato.
Per quello pubblico, il Diritto germanico della proprietà ed uso di terre indivise, appare nella D. 24 che si riferisce al jus protomisquum e nelle DD. 83 e 392 sul congruo e sul protomisco, e in quelle sul valore del giuramento ed altro. Altro si trova nel Diritto feudale. Napoli capitale ne appare quasi immune. Come si sa di uno sviluppo politico di essa nel ducato greco indipendente fino all’unificazione monarchica normanna, così si intravede che questa ha cucito elementi giuridici diversi, e l’elemento greco della capitale si distingue da quello del territorio interno longobardo.
Diritto romano. – Il ricorso è continuo. Sono citate spesse la norma trebellianica e il senatoconsulto velleiano (corretto in D. 478). Sempre nel Diritto privato, ogni tanto vengono ricordati Papiniano e la falcidia, intesa ocme leggittima e quarta parte.
Si può concludere che De Franchis, sempre rispettoso del Diritto conuetudinario, quando deve completar questo, s’ispira senz’altro al Diritto privato romano per le sue norme precise.
Diritto naturale e Filosofia del Diritto. – Già è stato detto che il magistrato De Franchis è un prammatico non un teorico. È logico che nelle sentenze manchi ogni riferimento al Diritto naturale. Fa eccezione la D. 489 (che interessa anche la filosofia): Ratio eadem ubi est, etiam jus statuendum venit. Viene applicata nella D. 500: Legis natura est futuris dare formam negotiis. Nella D. 506 il Presidente mostra la coercizione della norma naturale alle obbligazioni operate dall’uomo. Altrove (D. 432) parla del dono inestimabile della libertà in quanto è espressione della persona libera, non lo è di chi si obbliga.
Le Decisioni sono sentenze non un trattato.
Personalità di De Franchis. – Le Decisioni sono il ritratto del presidente De Franchis. Le sentenze fatte per gli altri lasciano apparire la mente di chi le scriveva.
La sua personalità professionale è lodata dai giuristi gli attribuirono miglior ordine nella forma dei giudizi, estirpazione di molti abusi introdotti, soppressione della calunnia.
Le sentenze sono un richiamo della realtà; ma non bisogna fermarsi a constatar ciò, bisogna rimediare: occasio delinquendi non est danda. Nella severa procedura penale rimane mite: Jura adaptantur ad frequentius accidentia, sub quibus regulantus de raro accidentia (D. 324). Il senso di comprensione e di mitezza non lo abbandona: nel caso di cumulo di pene, il giudice scelga la più mite (D. 271). Dunque l’equità è l’aureola della sua profonda competenza, ma nella religiosità credo di vedere la direttiva dell’equità, com’è espressa nella D. 223: summa est ratio quae pro religione facit.