Giovanni Petella

Date e ricordi

L’anno scorso, ricevuto dal Vescovo di Alife, l’onorevole incarico di scrivere sul Prof. Vitale, avvertivo il lettore della difficoltà che incontravo nel penetrare in un’anima profonda ed interiore, ricca di emotività, e perciò inafferrabile.

Stavolta prevengo il lettore di un’altra difficoltà. Lo spirito e la mente di Giovanni Petella sono in linea di massima più accessibili, perché si sono oggettivati quasi negli studi, e perché si specchiano negli scritti, ma è proprio la vastità di questi che intimorisce.

La varietà delle discipline coltivate, il numero rilevante di pubblicazioni, lo spiraglio di una cultura estesissima che se ne intuisce, di una mente profonda di cui lo scritto è parziale rivelatore, ostacolano ugualmente l’indagine perfetta. In sostanza, l’anno scorso si era nel pericolo di falsare, e stavolta si può ingiustamente restringere, ridurre, rimpicciolire.

Ma il compito è accettato. Ho ricercato in biblioteche, ho domandato a persone, in prima linea ai familiari, ho letto le opere e ci ho riflettuto. Basandomi sulla sua parola, principalmente, e sul ricordo fedele di chi gli fu vicino, non potrò sbagliare nell’indagine e nella valutazione.

Alcuni ricordi della sua vita e della sua famiglia ci prepareranno a conoscere l’uomo.

La personalità che ricordiamo è nata a Piedimonte il 10 Aprile 1857. Il padre Pasquale, di Giovanni ed Emanuela Ragucci, era notaro. La madre era Maddalena Meola di Felice e di Vincenza Santagata, tutte famiglie molto distinte della locale borghesia.

Il primogenito fu seguito da Giuseppe, Nicola, Elvira accasata in Amodio, e Vincenzo.

Soddisfatta l’anagrafe, passiamo all’anamnesi.

Il padre era un liberale, di vecchia data, e al ’48 a Napoli s’era trovato sulle barricate al Largo Carità, e al ’60 aveva aderito al Comitato insurrezionale. È questo l’ambiente ideologico e politico di famiglia, e bisogna tenerne conto. Darà impressioni che, pur nella loro evoluzione durante la vita adulta, resteranno radicate nell’anima e intramontabili.

Le prime impressioni di quanto avviene al mondo Giovannino le ebbe a tre anni, al ’60, l’anno della rivoluzione. Mentre annottava – era il Lunedì 24 Settembre – le famiglie liberali di Piedimonte, e perciò seriamente compromesse, si allontanavano di nascosto, e i Petella con altri salivano sulla collina dell’Olmito (Aulemiti), verso una loro casetta fra gli ulivi. Cinquant’anni dopo, Don Giovanni così scriveva “Conservo memoria non solo delle persone ma anche dei luoghi, tanto forte fu l’impressione provata in quei primordi della mia vita mentale, da averne durevolmente fissate le immagini”.

Gli anni volano. Il piccolo Giovanni è iniziato alla vita dell’intelletto dai sacerdoti Giribono e d’Orsi; poi frequenta il seminario locale, dove il Vescovo Di Giacomo che suscitò sempre le sue simpatie, lo interroga, e dove valenti insegnanti lo indirizzano. Passa poi a Napoli, al collegio dei Padri Barnabiti (Bianchi), e di lì all’università.

Da una prima attenzione verso un oggetto nasceva in lui dopo anni, una preferenza e uno studio. L’ava materna gli mostra spesso un album a colori di animali e piante del Buffon, più tardi gli accendono la fantasia i meravigliosi romanzi del Verne, e i viaggi di Livingstone, Stanley, Burton. Ormai adolescente rivisse il Thélémaque di Fénelon, Ovidio fu “un po’ il tormento ginnasiale, ma anche la delizia della nostra adolescente fantasia”. Il gusto per Omero gli venne più tardi. A queste impressioni se ne aggiungono altre, e sono decisive: la visita da collegiale, nel ’70 a Napoli, ad una corazzata turca, e l’entusiasmo con cui il 14 Febbraio 1880 Napoli studentesca accoglie Giacomo Bove sulla baleniera Vega, lui che aveva partecipato con Nordenskjöld ad esplorazioni polari, navigando sulle coste siberiane dall’Atlantico al Pacifico.

In quel suo animo che nascose sempre il sentimento sotto l’intellettualità, un’altra impressione infantile, paurosa, lo spingerò all’Oculistica. “Riandando colla memoria gli anni più remoti d’infanzia… mi si parano dinanzi… come fiammanti visioni lontane, le camicie rosse dei Garibaldini… ma s’erge pure spaurevole, in quei lunedì d’ogni settimana, l’immagine di un povero cieco, storpio per di più ma non vecchio, dalla voce lamentosa e supplichevole che, accompagnato da un ragazzino, andava in giro di porta in porta accattando il pane quotidiano”. Influì anche la tradizione familiare – l’avo paterno era medico – ma la scelta gli fu dettata dal cuore. Per lui la medicina non era soltanto una pratica, era un’idea, l’idea di lenire il dolore. Era sacerdozio ed insegnamento. Tanti anni dopo scriverà: “…scorrendo la storia della Filantropia a pro dei diseredati della vista e dell’udito, medici, sacerdoti e pedagogisti s’incontrano sempre stretti ad un patto, in un comune spirito di carità”.

Goliardo ventenne, alternava le lezioni con le letture e le conferenze al Circolo filologico; leggeva in tedesco Haeckel e Goethe, poneva fiori innanzi al ritratto materno, e così da fanciullo a vegliardo, non fu mai abbandonato dal gusto congiunto del bello e del vero. Ma era serietà in lui non pesantezza. Non aveva avuto uno sviluppo psichico unilaterale. Era armonico.

Fu allievo del Cantani, del Tommasi, ed ebbe il primo indirizzo di clinica oculistica da Del Monte. Dopo la laurea passò a Torino, allievo del celebre Reymond, vi assistette alle più svariate operazioni di plastica, diresse subito una Sezione dell’infermeria alla clinica oftalmologica, e maturò così l’agire tipico del medico di valore (stando all’aforisma di Celso): cito, tuto et jucunde: sveltezza, sicurezza, senza oppressione.

Il carattere era quello dello studioso.

In casa e con gli intimi parlava e destava sempre interesse. A volte ricordava viaggi. Era facile e suadente nelle spiegazioni, rapido nelle osservazioni, e trovava sempre qualcosa di fine, gustoso, intelligente che poteva servire al momento. Fu affabile con tutti, sensibile all’amicizia, pronto a giustificare. Non gli mancarono delusioni, e specie nell’unica volta in cui a Piedimonte si trovò per poco nella politica. Ma seppe incassare senza vendetta e senza strepito.

Un idealismo il suo non disgiunto da realismo. Ricavava l’autorità dalla superiorità non dal comando. Quanto importanza riconoscesse al matriarcato, al dominio morale della donna nella casa, appariva dal suo ragionamento. Il nucleo familiare diceva, è un complesso armonico. Il buon marito fa la buona moglie, questa fa i buoni figli, e tutti la buona casa. Il fatto è (e nella sua bontà non se ne accorgeva), che egli era capace di quel “complesso armonico”.

L’oculista Petella visitava e, di fronte all’indigente, metteva mano alla tasca. Curò con ansia una bambina di S. Gregorio caduta sul fuoco. La medicò quattro volte al giorno, con la febbre addosso, e quando constatò che la vista di lei era salva, s’illuminò nel volto, ed ebbe lacrime di gioia.

Questo da vecchio, ma il bene l’aveva fatto sempre, anche giovanissimo, come quando a Pozzuoli curò 60 soldati tifosi (uno per sei mesi) che lasciava di visitare anche dopo la mezzanotte. E quante volte si interessò per ragazzi del popolo presso l’Opera Maternità e Infanzia di Benevento! Quante volte fu chiamato a soccorrere infortunati del cotonificio di Piedimonte! In lui confluivano chiaramente la passione per la scienza e il gusto di far bene. Non vedeva solo il difetto e la malattia del corpo, vedeva le limitatezze e le perversioni dello spirito. E additava nella cultura popolare un primo rimedio alla visione ristretta, al conseguente egoismo, alla corruzione latente… “Da noi si legge poco…”. Che bisogna fare per istruire?

Patriota nell’animo, nazionalista convinto, fu rigorosamente apolitico, perché militare. “L’unica mia passione politica nella vita è stato il Nazionalismo. Tutto e tutti per la Nazione. Niente e nessuno per sé stesso”. Nel ’21 ebbe dal Comitato centrale Nazionalista la tessera n. 13.137. E sebbene inizialmente avesse visto nel Fascismo un governo rivalutatore del nome italiano, rinunziò subito a qualche carica locale offertagli con premura. Don Giovanni era innamorato dell’Italia, non dei partiti, perché non aveva interessi suoi. In quante pubblicazioni, accennando a conquiste scientifiche italiane, non parla di “legittimo nostro orgoglio nazionale”. Né il suo era fanatismo. Competente perché serio, serio perché intelligente, il Petella era patriota nel suo campo. Ad esempio deplorava solo che “in Italia si arriva sempre un po’ tardi, e si agisce a rilento in varie imprese come la pubblicazione di monografie per l’istruzione…”. Non deplorava tutto, come gli intelligentoni che sanno tutto. Ma poi, anche in lui sotto la sovrastruttura cerebrale, si attestava impetuosa la struttura emotiva: “Chi non è mai partito per lontani lidi non può intendere l’emozione di quel giorno soavemente triste, né la forte stretta al cuore che si prova nel separarsi dalla patria diletta”.

La fede religiosa dello scienziato?

Lo studio della religione era stato continuo, sistematico, ordinato. Basterebbero le numerose, esatte, appropriate citazioni bibliche. Conosceva profondamente il Cattolicesimo. E durante la mia adolescenza, ricordo di averlo visto tante volte al rito sacro in S. Maria Maggiore a Piedimonte. Ricordo quanto sentiti fossero i suoi rapporti coi vescovi Del Sordo e Noviello. E quale fosse la sua convinzione nell’opera della Chiesa, si può desumere da quanto scrisse visitando l’Esposizione missionaria del ’25: “…da Roma, centro dell’Unità cristiana, si espande su tutta l’Africa la parola di amore, che è quella di Dio”. Ma il suo pensiero era fisso alla via che preferiva per arrivare a Dio: la conoscenza scientifica della Natura. Parlando dell’America scriveva: “…quel colosso fra i continenti al quale il Sommo Architetto ha voluto imprimere nella grandiosità l’orma della sua potenza creatrice”. Più incolto è l’uomo, meno riconosce la Divinità (variante intellettuale del motivo morale: più malvagio e corrotto è, meno riconosce Dio). “La conoscenza è la via che riconduce l’Umanità a Dio” scriveva in Divagazioni paleogeografiche. E nei contrasti tra fede e scienza? Così spinti, quand’era giovane, dal Positivismo evoluzionista? Nelle dispute fra concordisti e anticoncordisti (che nella Bibbia vedono o meno l’accordo con la scienza moderna), “…venne in buon punto l’enciclica Providentissimus Deus del dotto e saggio papa Leone XIII, che mirò appunto a conciliare la scienza con la religione… L’ebreo yôm = giorno, può quindi esser preso liberamente in discussione dagli esegeti come “spazio di tempo” (in Un’escursione all’Atlantide,pagina 2).

Qual era per lui il valore della fede in Dio? Eccolo, ben rapportato con la visione scientifica dell’esistenza: “Certo è che la vita è energia, sia pur elettronica, e che la nostra non è antropocentrica, collegata com’è invece con l’intero mondo planetario, ma quando con David l’Autore magnifica il cielo stellato… è sempre il sentimento emotivo che egli rievoca per l’indistruttibilità e sopravvivenza del proprio essere, quel sentimento che … abbellisce ogni idea, allevia ogni dolore, incita alla virtù e rende lieta la vita”. (in Recensione ad Angelucci, pag. 2). Il bisogno di Dio è il titolo di nobiltà dell’uomo.

Accentuò quest’attitudine religiosa intima, contemplante, negli ultimi tempi, costretto a letto. Il mesto declino che attende tutti. Il 14 Febbraio ’35, assistito dal vescovo Noviello, morì come visse, serenamente, di una serenità che non è svagatezza, ma coscienza calma, soddisfatta di sapere che si è compiuto bene un dovere. “Per me” scrisse nel suo testamento “nessuna pompa vana, e voi devolverete ogni spesa non necessaria a beneficio di persone bisognose… Miei carissimi, seguendo alla lettera queste mie disposizioni, vi benedirò ancora una volta dal mondo migliore in cui sono passato”.

Comitato per le civiche onoranze

Il “Comitato per le civiche onoranze”, proseguendo nell’intento di ricordare gli illustri di Piedimonte e del Medio Volturno con un monumento ed una pubblicazione, vuole quest’anno onorare la memoria del piedimontese Generale GIOVANNI PETELLA, insigne medico ed umanista. Col suo ricordo vuol mostrare alle giovani generazioni che cosa sia una vita integra e studiosa, e quanto di utile e di bello possa produrre chi trova il suo pane quotidiano nell’amore allo studio, nella coscienza del dovere.

La Presidenza stabiliva che la forma delle onoranze fosse in tutto simile a quelle compiute l’anno scorso per il prof. Vitale.

Il Vescovo di Alife Con-Presidente del Comitato, ha affidato al Prof. Dante Marrocco l’incarico di scrivere sull’illustre studioso.

Nella seduta del 21 Maggio 1965, il Comitato, dopo aver valutato proposte e modelli presentati, a gran maggioranza dava l’incarico di eseguire il busto in bronzo allo scultore Prof. Eugenio de Courten di Roma.

La data della cerimonia venifa fissata dal Sindaco di Piedimonte per il 5 Settembre 1965. Oratore ufficiale, su invito del Vescovo di Alife, era prescelto l’On. Senatore Stefano Riccio Sottosegretario alla Marina Mercantile.

I L C O M I T A T O

PRESIDENZA

S. E. Mons. Dott. Raffaele Pellecchia Vescovo di Alife.

S. E. On. Senatore Prof. Avv. Giacinto Bosco.

Dott. Prof. Gennaro Sorgente Sindaco di Piedimonte.

MEMBRI:

Amodio Colonnello Ugo – Baffigo Ammiraglio Roberto – Biondi Ing. Adolfo – Cappello On. Dott. Dante Deputato al Parlamento – Cervo Dott. Raffaele Presidente dell’Amministrazione Provinciale di Caserta – D’Amore Catello Sig.ra Franca – De Francesco Gr. Uff. Avv. Domenico Presidente della Soc. di Storia Patria di Terra di Lavoro – Del Vecchio Dott. Fernando 1° Segretario della Provincia di Napoli – Filangieri di Candida Conte Ing. Roberto – Fragola Prof. Avv. Giuseppe dell’Università di Napoli – Gaetani d’Aragona Conte Ing. Ugo – Giuriati Ammiraglio Ernesto Capo di Stato Maggiore della Marina – Iadevaia Generale Prof. Francesco dell’Università di Roma Direttore Generale della Sanità Militare – Laurenza Dott. Paolo Presidente dell’Amministrazione dell’Ospedale Civile di Piedimonte – Marsella Dr. Domenico Capo dell’Ispettorato Agrario di Cagliari – Monti Comm. Avv. Francesco Presidente dell’E.P.T. di Caserta – Pezzi Generale Prof. Giuseppe dell’Università di Napoli Direttore Generale della Sanità Militare Marittima – Piazza Prof. Don Francesco Preposto della Basilica di S. Maria Maggiore di Piedimonte – Piazza Consigliere Provinciale Marcellino – Petella Dott. Corrado – Romagnoli Petella Sig.ra Diana – Rossini Viceprefetto Dott. Roberto – Scorciarini Coppola prof. Angelo dell’Università di Bologna, Presidente del Consorzio di Bonifica del Sannio Alifano – Simoncini Prof. Ing. Federico dell’Università di Roma.

Perrotti Merolla Sig.ra Bianca – Tesoriere.

Marrocco Prof. Dante – Segretario.

Piedimonte, 15 Settembre 1964

Il Vescovo di Alife su Giovanni Petella

Il Comitato per le civiche onoranze, si accinge a rievocare, dopo il Prof. D. Giacomo Vitale, un altro nobilissimo figlio di Piedimonte, il Generale Giovanni Petella, che ha lasciato in Italia e fuori d’Italia, larga memoria di sé e devota ammirazione per la sua opera.

Lo scopo che si propone il Prof. Marrocco con questa pubblicazione, non si esaurisce in una rievocazione semplicemente illustrativa dell’uomo, del militare, dello scienziato per rendere un doveroso omaggio e rinverdirne il ricordo. Il Prof. Marrocco, nella sua sensibilità di educatore propone all’uomo di oggi, specialmente alle giovanissime generazioni, l’esempio di una forte personalità che, accettando responsabilità e onori, non si disperse né si sgretolò nell’incontro di realtà affascinanti o dolorose, ma si costruì lentamente e faticosamente nell’accettazione lieta del dovere quotidiano.

Il Generale Petella infatti, rifiutando ogni forma di compromesso derivante da una concezione borghese della vita, assai cara a molti aristocratici del suo tempo, fece della sua esistenza una missione, donando agli altri tutte quelle ricchezze di ingegno e di cuore che la Provvidenza aveva messo a sua disposizione.

Fu medico per vocazione; e si chinò sul fratello malato con la delicatezza del buon Samaritano per far rifiorire in quell’anima il sorriso della speranza.

La vita militare, nella quale fu sempre esempio di lealtà, disciplina e amor patrio, aprì vasti orizzonti dinanzi a lui; ed egli ne profittò per i suoi studi e per le sue ricerche scientifiche, che favorirono largamente il progresso dell’oculistica e delle conoscenze geografiche.

Naturalmente, raccolse elogi, ricompense, onori; ma tutto questo non alterò il suo carattere, non sminuì il suo slancio né offuscò la sua naturale modestia.

Nella sua anima profondamente cristiana il Gen. Petella riuscì a trovare l’equilibrio, l’umiltà, il senso della vita.

Qui, credo, sta il segreto del suo successo, e l’aspetto più importante della sua personalità.

La fede, succhiata sulle ginocchia materne, non fu per lui passiva accettazione di un dato tradizionale, ma dovette essere tormento giovanile, e poi conquista definitiva. Difatti, nonostante il clima arroventato creato dal positivismo razionalista negli ambienti universitari e da radicalismo massonico nella vita politica del suo tempo, egli seppe conservare sempre inalterata l’armonia tra scienza e fede nella concretezza di una filiale devozione alla Chiesa e ai suoi rappresentanti.

Amò certamente, e molto, la sua Patria, di cui conosceva la storia, le sofferenze, la grandezza. Ma non fu nazionalista, o per lo meno non lo fu fino all’esasperazione, come lo si voleva imporre in quel particolare momento storico. Anche qui, la sua coscienza cristiana, alimentata dalla charitas, gli suggerì una visione più ampia della storia che, sottraendolo ad avvilenti rinunzie, gli permise di comporre in sintesi i più alti valori della vita, e di levarsi con dignitosa fermezza a vindice della libertà umana.

† Raffaele Pellecchia – Vescovo di Alife

Medico e studioso dell’occhio

Cominciamo ora a guardare nel suo orizzonte culturale.

E teniamo presente che la personalità di uno scrittore appare da due elementi. Primo, l’argomento, la capacità di trattarlo, sviluppandolo, affiancandolo, opponendolo, inquadrandolo (più vasta è la cultura, maggiori sono queste possibilità). Secondo: l’azione del subcosciente che interviene nella trattazione dottrinale modificandola in parte, e rendendola tipicamente personale. Vedremo così accanto alla cultura impersonale scientifica anche quanto (scelte, gusti, stile) è irriducibilmente suo, del suo sentimento. Lasciamo i dati, le notizie, guardiamo al pensiero. Troveremo la mente vasta e profonda dell’uomo interiore.

La mente acuta del Petella trovò nella Medicina Oculistica l’applicazione principale fra le varie branche del spere, quella per cui anche oggi è ricordato dal popolo di Piedimonte, ben lontano però dall’immaginare che cosa racchiudesse la mente del vecchio dottore. Già dal primo capitolo s’è visto dove tendesse la sua specializzazione. Vediamo ora quanto realizzò.

In questo lavoretto di divulgazione non vi sarà che un cenno per ogni suo lavoro. La sua opera è imponente. Seguiamola nello svolgimento cronologico.

Molti studi gli furono richiesti da colleghi e da giovani medici. Contentarli era per lui un dovere. E così la cultura diveniva missione, perché era partecipazione ad altri, non isolamento.

Il medico Petella si annunzia col suo lavoro nel 1890: Insolazione e colpo di sole (Giornale medico del R. Esercito).

Lo studio minuzioso mostra già la vastità della cultura. “…il colpo di calore è il tipo classico di malattia climatica, essenzialmente legata all’azione di un elemento cosmico: il calore; l’insolazione ne è una forma clinica… anello di congiunzione fra le malattie funzionali ed qpiretiche del cervello e quelle organiche febbrili”.

L’anno dopo per incarico del Ministero – a soli 34 anni – compila una Relazione sanitaria dei Corpi della R. Marina durante il triennio 1887-89; e una seconda Relazine medico-statistica dall’83 al ’92, pubblica nel volume “L’Armata e l’Accademia navale; nel 1902 un Resoconto clinico-statistico del Reparto oftalmico dell’Ospedale di Marina di Napoli (Annali), ricco di ricerche oftalmometriche, di malattie oculari ed annotazioni cliniche. Nel ’98, al XV Congresso dell’Associazione oftalmologica italiana è presentata una sua terza Relazione sulle variazioni delle curve corneali.

I suoi periodi di servizio in Eritrea lo vedono subito applicato alla medicina coloniale. Scrive Le febbri climatiche di Massaua. Studio etiologico e critico (Giornale medico del R. Esercito 1892). Contraddicendo a valenti clinici, osserva che esse non vengono da paludismo. Agente sovran febbrigeno lì è il calore. Massaua ha un clima che impone variazioni fisio-patologiche all’organismo europeo. Febbri climatiche, tifoidi ed “effimere” derivano da autointossicazione.

Il valore dello studio sta nel rapporto fra clima, fisiopatologia e biochimica. Nel ’94 in collaborazione coi Generali Rho e Pasquale, fa uscire Massaua. Clima e Malattie.

È del ’93 L’ittiolo e i suoi usi terapeutici. L’indagine sul ricavato per distillazione da certi schisti bituminosi (con opportuni trattamenti a base di zolfo), passa da chimico-farmaceutica a fisiologica, a clinico-terapeutica. Per opera del Petella l’ittiolo fu accolto nella Farmacopea ufficiale del Regno d’Italia.

Primo lavoro di oculistica fu Sulla schiascopia (Annali 1897). Schia in greco dice ombra, e S. è processo di manovra, è osservazione dell’ombra, per cui, dopo il riconoscimento della direzione in cui questa si muove, si porta all’occhio una lente correttiva, e si fa invertire il movimento. La trattazione è svolta nell’uso pratico, nelle osservazioni di rifrazione statica, nella spiegazione fisica dei fenomeni schiascopici. Un’estesa bibliografia la conclude.

È del ’99 un’indagine sul terribile glaucoma: Le variazioni delle curve corneali negli aumenti glaucomatosi della pressione interoculare, misurate coll’oftalmometro tascabile del Reid. Sono note cliniche, e in esse si parla dei vantaggi che dà un apparecchio allora poco noto. Vi aggiunse: Descrizione di un sostegno aggiustabile per l’oftalmometro del Reid (Annali ’99), e nel ‘902 una Istruzione pratica per servizi dell’astigmometro del Javal e Schiotz. Lo descrive, e risale al principio di Helmotz (1854): misurare un’immagine col metodo dello sdoppiamento.

Non si ferma mai. Nello stesso anno tratta: Sul valore terapeutico delle iniezioni associate, intravenose e sottocongiuntivali, di sublimato nella sifilide oculare (Annali ’99), un trattato presentato al XV Congresso oftalmico italiano, ed ammirato per la sua accuratezza. Il metodo intravenoso, da solo o associato al sottocongiuntivale, è indiscutibilmente il più razionale nella cura delle iriditi e irido-cicliti papulose. Termina con molta bibliografia.

Siamo al ‘900. Sugli Annali Don Giovanni pubblica le sue osservazioni e la cura di un caso rarissimo di Perioftalmite sierosa a dacrioadenite palpebrale suppurata.

Uscendo dallo stretto campo medico, fa seguire Sulla controversa questione del dilatatore della pupilla nei mammiferi e nell’uomo (Annali 1901). Sono ricerche istologiche, ed iniziano da questioni dibattute nell’800, se esista un muscolo dilatatore della pupilla. Le personali esperienze del Petella sull’occhio umano e su quelli del gatto e del coniglio, gli fanno concludere che il muscolo dilatatore è di origine epiteliale posteriore della pupilla ha finora occultato il vero stato delle cose.

Interessante memoria con tavole illustrative è Sullo stato attuale delle nostre conoscenze intorno alla funzione visiva retinica e cerebrale (Annali 1901). C’è un’interessante storia dell’Oculistica (vi si insiste sul valore degli italiani Maurolico e Della Porta), e in ispecie della retina (così chiamata da Gerardo da Cremona), e si va dall’antica Grecia a tutto l’800.

Lo studio sistematico gli ha dato tale competenza che ormai le pubblicazioni si seguono sempre più interessanti e numerose.

Sempre nel 1902 si ha il suo contributo alla casistica clinica Sopra un caso di oftalmoplegia recidivante del 3° paio, una forma morbosa, spesso a un solo occhio, della quale dai profani si parla come di malattia nervosa, ma che attraverso personale studio del Petella su un’operaria, egli costatò di derivazione non ereditaria, causata da disturbi sessuali, e di cui intravide la possibile concomitanza della paralisi del 4° e 6° paio col 3°: il veder doppio causava accesso isterico.

Segue subito Embolia dell’arteria centrale della retina (Annali 1902) causa di cecità repentina. Stabilita la differenza fra stravaso intervaginale dell’ottico ed embolia retinica, si esclude lo stravao. Pure in Settembre pubblica: Blefaroplastica in un caso di ectropio cicatriziale (Annali). Parla di una riuscita operazione, assistito dai medici Paterno e D’Amore, su un ragazzetto di Piedimonte, deturpato da scottatura. Espone varie forme d’innesto, e preferisce il processo per cui, trapiantato il lembo, non rimane di lato allo stesso alcuna perdita di sostanza.

Due mesi dopo eccolo trattare al XVI Congresso oculistico di Firenze Sull’oftalmia simpatica e sui criteri che ne stabiliscono l’origine e la natura per gli effetti medico legali (La Clinica oculistica). Alla teoria infettiva è seguita l’idea tossica. In questo lavoro ci si spinge dalla medicina pura a benefiche applicazioni sociali. Abbiamo così idea delle irrisorie pensioni di allora (90 centesimi al giorno), ma anzitutto atterrisce il fatto che una lesione di un occhio agisce sull’altro.

Ormai medico capo, scrive su I sintoni oculari della neurastenia (Bollettino di Oculistica). L’occhio è “specchio dell’anima”, e il Petella, corredando lo studio di ricca bibliografia, asserisce che l’astenopìa muscolare accomodativa e nervosa, costituisce la base più salda per il giudizio medico-legale. Che ogni medico sia in grado di fare l’esame oculare come diagnostica generale.

Contemporaneamente ha preparato Sull’impulso accomodativo consensuale (Bollettino di Oculistica 1902). Osserva che non è sicuro un nucleo centrale unico per due muscoli di accomodazione; sono due nuclei, uno per ciascun sfintere, associati fra loro. Per l’Archivio di Oftalmologia ha preparato intanto Emianopsia bilaterale omonima destra e cecità verbale; e per lo stesso periodico Una centuria di malattie oculari a fondo scrofoloso trattate colle iniezioni ipodermiche jodo-jodurate. Vi analizza 100 casi, e addita nello jodo intus et extra il rimedio sovrano antiscrofoloso. Col mercurio e la chinina, dice, lo jodo forma la triade redentrice dell’umanità sofferente. Dalla scrofola fa derivare la congiuntivite fittenulare e la cheratite. Segue un’interessante storia clinica in Morbo di Pott guarito colle iniezioni jodo-jodurate (Policlinico). Così si chiude il fecondo 1902.

La dotta lezione pratica per la Libera Docenza, svolta il 25 Aprile 1903, innanzi alla Facoltà medico-chirurgica di Torino Terapia delle affezioni delle vie lagrimali, raccoglie tutta la storia della terapia da Galeno ai giorni nostri. Al XVIII Congresso della Società oftalmologica a Roma tornerà sull’argomento con Sull’estensione e sul valore clinico del metodo conservativo nella cura delle dacriocistiti, ed esporrà i metodi di cura o distruttivi o conservativi (che egli preferisce). Al tempo stesso, al XVI Congresso oculistico di Firenze tratta Sulla tubercolosi della congiuntiva oculo-palpebrale. All’intervento chirurgico radicale egli preferisce una “parziale e graduale distruzione delle parti infiltrate”.

C’è una sosta, e nel ‘906, dopo il XVIII Congresso oculistico di Napoli, pubblica Sull’opportunità di una intesa comune circa il trattamento delle malattie delle vie lagrimali. Vi propugna anzitutto di modificare lo stato patologico, e poi agire colle sonde cave del Bowman, o meglio coll’irrigazione. Medicina migliore è il tachiolo.

Ed eccolo al tracoma.

C’era stato il I Congresso a Palerno per la lotta contro “questo vero flagello delle classi povere”, e il Petella vi aveva esposto una distinzione d’interesse anche sociale per operai ed emigranti. Trattando Sulla importanza clinica e sociale della diagnosi differenziale fra le granulazioni tracomatose vere e le false (Annali), fece distinguere la forma di congiuntivite granulosa dall’altra follicolare linfatica, le cui granulazioni, vere istologicamente, sono da ritenersi false nel senso clinico. Ritornò sull’argomento con lo studio Sulle indicazioni dell’intervento chirurgico (raschiamento e forcipressione) nella cura del tracoma (Annali). Petella preferisce il raschiamento mite associato alla spremitura e seguita da applicazioni medicamentose. La pinzetta di Knapp (roller forceps) perfezionata, è lo strumento più adatto, e il metodo migliore è quello “combinato” chirurgico-medicamentoso.

Per alcuni anni Don Giovanni si dedicò alla storia delle scienze e alla medicina generale e, com’era sua abitudine, pubblicò studi ed esperimenti: Sul trattamento dei nefritici cronici (The American Journal of the Medical Sciences ‘916); Considerazioni etiologiche e critiche su vari casi di ascesso pararenale (Annali), Etiologia e profilassi del tifo petecchiale (Annali 1916). La puntura del “terribile esapodo succhiatore” dei 100.000 russi nella guerra con la Turchia (1878), e dei 30.000 serbi (1915), è studiata nella trasmissione del germe e nella profilassi adatta. Pure su Annali, nel ’16 tratta A proposito di alcuni casi di meningite cerebro-spinale.

Il Maggior Gen. Petella è ormai Direttore degli Annali di Medicina Navale e Coloniale (1916-22), e si dedica specialmente al cuore. È del ’17 il bel lavoro: I nuovi orizzonti della fisiopatologia del cuore: tutta la rassegna degli studi, e un’amplissima bibliografia. Non si ferma lì. Tutto quello che studiò sul cuore, l’illustre clinico sintetizzò nel ’21 in Le malattie del cuore secondo le vedute moderne, Napoli 1° edizione 1921, 2° edizione 1922. In 340 pagine, “frutto di alcuni anni di studio”, tratta di fisiopatologia del cuore, di terapia di malattie cardiovascolari; segnala i più sicuri rimedi, dichiarando “troppi” quelli apprestati dalla Chimica industriale. Dichiara di preferire le cure fisiche che, ben applicate, valgono a scongiurare l’insorgenza dello scompenso cardiaco. Dà importanza all’alimentazione “la chiave di volta di tutta la cardioterapia, ancor più delle complicazioni renali, parte integrante dell’igiene…”. “La disintossicazione dell’organismo… sta a caposaldo di tutte le cure… è anzi una cura per sé sola”. E altrove: “Disintossicare, significa curare il sangue… perché è esso che guarisce ogni malattia col rifornimento delle sostanze nutritive, organiche ed inorganiche…”. Certo la miglior dieta è quella vegetariana, ma è difficile applicarla. “La civiltà dei secoli in noi accumulata, ci ha creato un ambiente, artefatto colle nostre mani, denaturando l’organismo umano dalle sue origini” (pag. 336). Il famoso prof. Cardarelli, dopo letto con grande ammirazione il libro, augurava che fosse letto non solo dagli studenti, ma “anche dai medici pratici che vogliono aver conoscenza perfetta della nosologia cardiaca, e saper curare le forme diverse delle cardiopatie”.

Insistendo sull’alimentazione, il Petella, cultore di scienze biologiche, pubblicava Cereali e vitamine (Roma 1922), circa 200 pagine di argomentazioni sintetiche, precise, esaurienti. Localizzava “il combustibile della macchina umana” non tanto nell’alimento quanto nei sali minerali vitalizzati. E partiva dalla struttura, dalla macinazione, dalla preferenza del pane nero sul bianco (sconosciuto agli antichi). “La civiltà ha invertito i bisogni, ma anche pervertito i gusti del genere umano” (pag. 26). “L’uomo è ciò che mangia, ma non sa alimentarsi”. E così, trascorrendo dall’analisi dei cereali a certe patologie ad es. la pellagra, ed alle cause avitaminiche (vastissima bibliografia), conclude con la necessità del nutrimento vario, con la dottrina delle vitamine, e sul regime monofagico con le sue conseguenze. Scopo del libro? “Le lavorazioni industriali depauperano l’alimentazione umana” e qui il medico s’innesta al biologo: “Il problema della vita è in fondo un problema di biologia cellulare, e i problemi biologici sono della più alta importanza per la fisiopatologia umana”, (pag. 185).

Gli anni passano, Don Giovanni incanutisce. E per riflesso i suoi studi, più che indagare, ricordano. Piglia il sopravvento la storia delle scienze.

Ultimi lavori d’indagine e di laboratorio sono: La microspia dell’occhio vivente (Annali 1923), e c’è l’opinione sua personale sulla lampada a fessura (Spaltlampe), con cui si vedono le alterazioni patologiche dell’iride. Un apparecchio utile per scoprire la cecità dei colori in rapporto alle strade ferrate e alla marina. Scrive pure: “La diagnosi delle malattie interne desunta dagli occhi (Annali 1924). “Vi sono in Biologia fenomeni meravigliosi ed enigmi profondi che la scienza non sa spiegare: l’iridoscopia è uno di questi problemi”.

Tratteggia così la diagnosi dei colori più o meno cangianti dell’iride, e dello spessore e dei segni naturali (linee bianche, nubecule, sfumature, macchie nere…). L’anno dopo in Questioni oculistiche approfondisce l’argomento: e nel ’33, con La Neosolfoterapia (Annali), partendo da un papiro egiziano della XII Dinastia – 21 secoli a. C. – “antico sempre nuovo”, insiste sulle moderne terapie a base di zolfo.

È questo l’ultimo lavoro.

Un giudizio sulla sua opera di medico dell’occhio?

L’analisi di tanti aspetti della patologia e della terapia oculare, l’indagine su tanti casi particolari, lo studio e il confronto di centinaia di opere, sono lì a testimoniare acume, competenza, approfondimento, revisione, sistematicità.

Sappiamo che ogni scienza non è ferma, che la medicina rinnova metodi, e muta balsami e prassi operatorie, man non siamo qui per i confronti. L’opera dell’illustre clinico e scrittore, membro della Società oftalmologica italiana, rimarrà intramontabilmente la manifestazione di un’intelligenza fuori del comune, di una cultura vastissima, di una serietà scientifica, tali da ammirare semplicemente, e rimarrà apporto notevole, indagatore e soprattutto didattico, nella conoscenza di quanto la meravigliosa macchina (ma anche fragile) della visione, inesauribilmente manifesta e richiede.

Il cultore di geografia

La passione dei viaggi, irrefrenabile nel Petella, si calmò in parte con la parziale realizzazione di essi. Nell’80 naviga per l’Egeo, con la giovane mente piena di ricordi classici, l’anno dopo a Tunisi visita le imponenti rovine di quell’angolo di Africa romana, dall’83 all’86 circumnaviga l’America del Sud, nell’87 è nel Mar Rosso, nel ‘901 sulla “Sicilia” si affaccia in Libia, a Creta, nella Troade, nel ‘902 va a Costantinopoli, e sosta a Smirne, Efeso, Atene ove s’incanta nella sala micenea del museo nazionale dell’Ellade. E poi gira l’Europa di cui conosce le lingue.

Nella mente ordinata del Generale non poteva mancare uno studio sul patrio Matese: Il Matese nel passato e nel presente. Sia per il Giornale d’Italia, sia per il X Congresso Nazionale di Geografia, egli aveva preparato i suoi studi sull’imponente massiccio che studiò da medico e da innamorato, identificando anzitutto Piedimonte alle sue montagne. “Chi dice Matese dice Piedimonte che ne è la via maestra di accesso la più rapida e fra poco la più agevole” (manoscritto, pag. 3). E anticipando i “Pionieri” che verranno nel 1923, diceva: “Piedimonte ha il vantaggio di tanti climi sovrapposti, per quanti l’igiene terapeutica ne consigli a seconda dei casi: l’altopiano del Matese potrebbe divenire la nostra Vallombrosa, e San Gregorio più che il Quisisana di queste contrade”.

Ma guardiamo al giovane ufficiale sulle navi d’Italia, attraverso gli oceani. Come viaggiava? Ci si preparava anzitutto studiando quanto poi avrebbe incontrato. Dovunque osservava, studiava, scriveva. Seguiamolo in un viaggio che è un romanzo: La natura e la vita nell’America del Sud, (Roma 1889), opera tipica dello studioso giovanissimo, e ci si vedrà la differenza con le altre dell’uomo maturo. Trenta mesi di viaggio sulla Flavio Gioia, dall’83 all’86, veleggiando a vapore.

Dopo 7000 miglia di mare, da Pozzuoli eccolo a Montevideo, “mezza delusione”. Le città d’America gli appaiono come “innesti di città europee”. E che dolce illusione a Buenos Aires sentir l’italiano! E restar di stucco innanzi a un halmacen su cui è scritto Lago del Matez! Il suo spirito di ventiseienne oscilla fra le osservazioni della scienza e le impressioni mondane, ad esempio dei costumi da bagno a sacco, e dei camerini casillas. Quanto desiderio di visitare l’interno favoloso! Ma, niente pampas sterminate, niente gauchos col poncho, e coi saporiti arrosti asados con cuero!

Il 6 Marzo ’84 la prua volge a Sud, ed ecco il viento pampero passare da sucho a limpio (da sporco a pulito), e un uragano pauroso. Erano “sotto la nera volta di una cupola ciclopica”. Dopo sette giorni di furia, ecco la Patagonia “muta e deserta”. L’ancora scende all’entrata dello stretto di Magellano. Si esce dallo stretto, dopo aver incontrato ricordi della R. Pirocorvetta Magenta durante la circumnavigazione del globo. Ed una notte c’è l’incontro coi fuegini Pecheray semiselvaggi… “Quante riflessioni filosofiche sulla sorte meschina dell’Umanità bruta”; due piroghe zeppe di genterella nuda, strida scimmiesche, monosillabiche, latrati, vagiti…

Attraverso i canali araucani, dal golfo di Peñas escono nel Pacifico senza confini, e la Flavio Gioia attracca alle banchine di Valparaiso, e in cinque ore di treno gli ufficiali sono a Santiago capitale. Lontano è la gigantesca Aconcagua (circa 7000 m). Vita italiana fin nei teatri, e fra le tante impressioni quella dell’abito delle santiagneñas. Si prosegue, a Nord per Coquimbo e Iquique “vero deserto d’Africa”, ma che ha il salnitro esportato nel mondo.

Siamo nel Perù. Visita del giovane Petella a Lima, al naturalista milanese Raimondi, che ai suoi begli anni s’era trovato alle Cinque giornate, ed è in Perù da trent’anni. Gli fa omaggio dei primi tre volumi di Il Perù, l’opera in cui descrive il paese in tutti gli aspetti, e di una collana formata di 600 minerali peruviani, giù esposta all’Esposizione universale di Parigi nel ’78. Nessun particolare di Lima sfugge, dall’urbanistica alle tentatrici limeñas agli usi strani. Ad es. le percosse alla moglie, anche a spezzarle un braccio, son sintomo di affetto: mucho me quiere (ama), porque mucho me pega (percuote). E qui segue la cucina basata sul peperone ajì e la chincha, e la difficile danza zamacueca, e il carnaval pazzo e plebeo…

Ma il 1° Dicembre ’85 ecco visioni ben diverse: scoppia il sanguinoso pronunciamiento del Generale Càceres, barricate, mitraglie e… 200 morti. Il dottor Petella si prodiga per i feriti all’Ospedale S. Bartolomeo.

Le escursioni si succedono: da quella alle acque terapeutiche di Huacachina all’altra nel ferrocarril transandino tra le gole profonde delle Ande. E giù osservazioni di flora, fauna, malattie e, finalmente Chiclas con le sue miniere, i suoi baratri, i suoi armenti di llamas…Niente resta inosservato dalla costa alla montagna e così, dopo la conoscenza del pulbero italiano, si passa a Guayaquil nell’Equador, alla vela, sfruttando la corrente di Humboldt. Anche lì impressioni varie: da quelle antropologiche a quelle di due fanciulle vestite di bianco e coi capelli nerissimi disciolti, “dondolarsi lentamente nella stessa amaca, e cantar sottovoce una di quelle habaneras che vanno diritto al cuore”. E quanti cuori piagati fra i guardiamarina a bordo! Si risale il Guayas in gite meravigliose: cacce al caimano, scenari mai visti nell’inestricabile labirinto della foresta, cascate, fruscii, sospetti, gorgheggi, orchidee… ed ecco il Chimborazo, il vulcano colossale (m 6530) “maestoso in lontananza come sfondo del quadro, ed a superba sfida del cielo”.

In Columbia il genio moderno è alle prese con la selvaggia natura (siamo nell’85). Dalla storia all’economia, alla corografia, l’estuario di Buenaventura ci si svela. L’etnologo Petella tocca una delle teste recise dagli indios, seccata e “ridotta al volume di un pugno”.

Ultima puntata a Nord è Panama. Qui le Ande maestose sono collinette. Si era allora ai tentativi poi falliti del conte di Lesseps. Il clima micidiale ostacolava i lavori. Quante vittime specie fra i cinesi! In attesa del canale giù si traversava in treno l’istmo in tre ore. Il biglietto però costa terribilmente: 100 lire, ma gli ufficiali fanno il percorso gratis, e ammirano i lavori imponenti della Compagnie Universelle (ma i cui capitali sono per 11/12 francesi). Appare l’Atlantico “calmo e scintillante come lastra d’un immenso specchio”.

Si ritorna. Niente traversata del Pacifico che faranno i suoi amici Cagni e Rho… Il 26 Aprile ’86, il ventinovenne Petella è a Genova, dopo 30.000 miglia di mare e dopo tanto studio.

Passando dagli immensi oceani al Mar Rosso assolato, il Petella trova nello studio applicato ai luoghi sia una distrazione da nostalgie accidiose sia concentrazione feconda per prodotti intellettuali.

Così nel ’94 vede la luce Massaua e Assab, saggio di topoidrografia e climatologia comparate, con carte, quadri e specchietti. Un lavoro che sarà premiato dal Ministero e presentato all’XI Congresso medico internazionale (19° sezione: climatologia). La cultura già vastissima del Petella vi permette l’integrazione delle scienze: “Prima di sentenziare sulle malattie di un dato paese occorre studiare l’aria, l’acqua e il luogo. Il calore torrido di Massaua è agente febbrigeno sovrano, mentre quello secco di Assab (a causa dei monsoni) rispetta la salute”.

Totalmente preso dagli studi medici, Don Giovanni ripigliò quelli geografici dopo trent’anni, visitando nel ’25 la esposizione missionaria del Vaticano, tanto ricca ed istruttiva che Papa Pio XI la definì “un gran libro e una grande scuola”. Si fermò anzitutto nel padiglione di Medicina e Igiene, ordinato da P. Gemelli. Vi studiò la diffusione delle malattie in Africa e in America, e delle quali trovava la causa nella Parassitologia. Passò al Padiglione dell’Etnologia ordinato da P. Schimdt dell’Università di Vienna, e si soffer,ò a lungo sulle collezioni etnologiche del missionario P. Huguenot, che egli raggruppò in tre cicli culturali: protopaleolitico, paleolitico progredito, e di cultura pigmoide. Passò al reparto di Propagande Fide, e rimase estatico innanzi alle rarità etnografiche, allo slancio delle congregazioni missionarie, alla bibliografia. Mai visitatore fu forse il più attento e fecondo. Rivide i suoi giorni sul continente nero, i suoi studi, e pubblicò Visioni d’Africa (Annali 1925 e ’26).

Seguirono: I Tuaregh nell’Oggar (1926); La conquista del deserto sahariano (1927); Nuove e vecchie spedizioni d’Africa tutti sull’Idea coloniale.

Socio della R. Società geografica italiana, Don Giovanni era un africanista fervoroso, e s’entusiasmava, s’illuminava al solo nominare il continente nero, alpunto da interessarsi giovanilmente perfino al romanzo sull’Africa perfino all’opera musicale che riguardasse l’Africa. Passione dunque, ma come la viveva lui, senza fantasticare, indagando.

Lo storico delle scienze

Lo studioso comune, che studia forzatamente solo per ottenere il diploma, non spazia oltre il programma assegnatogli, fosse pur quello dell’Università.

Sintomo di pensiero non ristretto, non dimensionato, è invece, fra l’altro, l’indagine spontanea, su ciò che ci si propone, e su quel che ne è la causa. Ne deriva la visione storica dei fatti, senza di che la cultura non è completa.

Gli studi medico-oculistici del Petella trovano il completamento in quelli di storia della medicina, e sono la prova della sua ampiezza mentale.

Guardiamoli brevemente.

Prima figura di oculista avant-lettre, che interessò molto Don Giovanni, fu Papa Giovanni XXI. Ne studiò l’opera, e risalì alla persona, dato che c’erano dei dubbi d’identificazione.

I versi di Dante: “…e Pietro Ispano – lo qual giù luce in dodici libelli” (Paradiso XII, 135), ci introducono alla questione. Questo illustre portoghese, da Salimbene e da Tolomeo da Lucca è discusso variamente. Morì a Viterbo, dopo otto mesi di pontificato, sotto le macerie della sua camera crollata.

Su Janus (Archives internationales pour l’histoire de la Médicine et la Géographie médicale) di Amsterdam, fin dal ’97 Don Giovanni scrisse : Les connaissances oculistiques d’un médicin philosophe devenue pape. Il giudizio sul valore medico di Pietro Ispano è strettamente obbiettivo, in quanto è figlio del tempo. “Pierre d’Espagne eu tous les defauts de l’age médical dans lequel il a véçut, se servant de la méthode sillogistique pour discuter en matière de sciences naturelles”. Due anni dopo scrisse : Sull’identità di Pietro Ispano medico di Siena e papa col filosofo dantesco (Bollettino senese di storia patria). L’autore delle Summulae logicales in 12 libretti, del Thesaurus pauperum (ricettario ad uso dei poveri) e di 21 opere mediche, magister Petrus de Hispania, proveniente dallo studio di Parigi, clericus generalis (dotto in tutto), et precipue in medicinis, è proprio il papa che Dante colloca nello splendore del sole. Ancora nel ’99 tornò sull’argomento con la Recensione sul Liber de oculo di Pietro Ispano edito in Baviera (Annali di Oftalmologia), e vi compì una precisa indagine sulle varie compilazioni dell’opera, e ancora vi insistette nel ’22 con Un medico filosofo del secolo XIII divenuto papa (Il Policlinico).

Benvenuto Gradeo da Jerusalem del sec. XII, fu un altro oculista che attrasse il Petella.

Su di lui iniziò recensendo l’edizione critica del codice Ampliniano di Erfurt sull’opera di Benvenuto: Practica oculorum, e sul Collyrium Hyerosolimitanum nella Pratica oculare (Policlinico 1899), e nel ’23 stampò Le malattie e le cure oculari nella Pratica di Benvenuto (Annali). Particolare interesse ha l’analisi e la cura della cataratta. La patologia di Benvenuto si basa sulla teoria degli umori di Ippocrate, ed è serena e obbiettiva. Nella storia dell’Oculistica Benvenuto ci appare “come quegli che oggi diremmo un galantuomo”.

Fece seguire un approfondimento della questione con Un oculista del sec. XII alla scuola medica di Salerno (Annali di Oftalmologia 1925). Benvenuto non è arabista, deriva da Ippocrate e Galeno. Sono acute le sue analisi dell’occhio e dei colori, le teorie sulla visione, la cura della cataratta, “scabbia oculare” (tracoma), caligine oculare, “ungula in oculo” (prerigio), apostema (ascesso), fungo (caruncula lagrimale) e vari traumi.

Terza personalità medica medioevale studiata dal prof. Petella è stato Taddeo Alderotti di Firenze.

In Les consultations oculistiques d’un maitre italien du XIII siecle (Janus 1901) dimostra che i libri commentati da lui (sono elencati nel testamento) testimoniano la strana “rétinite par ébluouissement”, abbagliamento durante il giorno, emeralopia. Il fondo del suo sapere è nella scuola medica salernitana. Istruttivi i 180 argomenti trattati in Consilia medicalia e in De debilitate visus.

Sulla celebre scuola meridionale scrisse parecchio. La scuola medica di Salerno (Policlinico 1922) e La sede dello studio e la vita scolastica dell’almo collegio medico di Salerno (Annali 1922). L’istituto, soppresso nel 1812, er prope templum cathedralis sancti Mathei, nella cappella superiore di S. Caterina. Ci appare l’organizzazione del Corpo accademico, e le cerimonie della professione di fede e del conferimento delle lauree.

Da qualche notizia di Svetonio si ricavò che Nerone era miope. Guardava da “…parvis foraminibus” per il vantaggio che il foro stenopeico arreca alla miopia, riducendo i circoli di diffusione. Fra tanti, anche il nostro studioso si ferma sulla notizia interpretandola. Ne parò in Sulla pretesa miopia di Nerone e sul suo smeraldo (Annali 1901, e su Atene e Roma – Bollettino della Società di studi classici 1901, su Annali di Oftalmia e Clinica oculistica 1927, e anche sul Giornale d’Italia, 27 Marzo ’28). Analizzando il testo “ad prope admota hebetes” di vista debole per le cose vicine, Nerone era ipermetrope, e abitualmente ammiccava “palpebras contrahebat”. Quanto allo smeraldo che usava, era forse uno specchio piano conservativo che fungeva d lente ottica concava?…

E sugli occhiali?

L’oculista Petella ci ha meditato assai. Quando sono stati inventati? Per lui le ricerche polarizzano sul Salvino degli Armati di Firenze, del primo ‘300 (Sull’invenzione degli occhiali, Annali 1901), più sicuro di Rogero Bacone e di el Alhazen, e forse del domenicano Alessandro della Spina. Sulla sua rivista (Annali ’22) ritornò sull’argomento: Chi è l’inventore degli occhiali? Con tutte le notizie riguardanti Salvino e della Spina. Per queste ricerche il Gen. Rho gli scrisse (16 Dicembre ’33): “Nella storiografia dell’invenzione degli occhiali tu brilli come stella di prima grandezza”.

Ma la sua indagine storico-scientifica non si fermò al Medio Evo medico.

Si spinse dall’800 alla preistoria.

In La découverte du centre visuel cortical revendiquéè pour un anatomiste italien (Janus 1901), dice di B. Panizza dell’Università di Pavia †1867, “le premier qui ait dècouvert, par ses admirabiles recherches, sur les origines centrales du nerf aptique, les relations qui passent entre la vision d’un oeil et le lobe occipital d’un autre coté ”. Opere straniere attibuivano ad altri la scoperta, ma la comunicazione del Panizza all’Istituto lombardo è del 19 Aprile 1855.

La spedizione archeologica in Egitto, voluta dal Granduca di Toscana nel 1828-29, è vanto della scienza italiana. Il Petella la ricordò con gusto in Su e giù per i Nilo in compagnia di Rosellini (Annali 1927).

Né l’indagine sulla medicina attraverso i tempi sosta al Rinascimento, su Telesio: Note su di un libro di Biologia (Annali 1923), essa raggiunge Omero: La sanità militare in Omero e la medicina egea (Annali 1927). Vi sono tutti i passi di Omero in cui si accenna a medicina e chirurgia, che all’alba della civiltà sapevano di miracoloso.

Ecco quanto il Petella, lasciando il laboratorio per la biblioteca, ha pubblicato dei suoi studi di storia della medicina. Come tutti i veri studiosi, egli non si fermò a un certo programma, alla conoscenza scientifica attuale, quella che materialmente serve. Egli risalì alle cause, volle vedere influenze e derivazioni, volle spontaneamente approfondire qualsiasi studio. Volle riflettere sul mutare della cultura umana attraverso i millenni, per giustificare il presente, e per penetrare la natura mentale dell’uomo nel suo evolversi. Una mente filosofica, dunque.

L’indagine sull’uomo: Antropologia e teosofia

La sfinge di Tebe simboleggiava l’Umanità nella sua evoluzione, il che è a dire nella sua essenza. Il corpo di belva da cui si levava la testa umana e su cui si aprivano le ali, la capacità di pensare, e la possibilità di volare nei campi dello spirito, una metamorfosi che si attua nei millenni. Due scienze fra le tante studiano questi “momenti” dello spirito: l’antropologia, scienza dell’uomo all’aurora, nella costituzione somatica, materiale, nelle sue manifestazioni primitive, e la teosofia che lo studia nelle sue manifestazioni non materiali, spiraglio di quel che potrà essere al meriggio supremo.

Solo superiori personalità, e fra esse è il nostro illustre studioso, giungono al nesso fra due indagini tanto diverse, tanto lontane. Perché generalmente, o si accetta solo la prima, e spesso si finisce nel materialismo evoluzionista, o solo l’altra, e c’è il pericolo di sogni metafisici.

Stando solo alle pubblicazioni, Giovanni Petella in questo campo sconfinato non ha voluto far voli. Ha studiato, ha riflettuto, ed ha concepito conclusioni sue. Tanto ci basta per ricordarne lo sforzo d’indagine e di sintesi, rivelazione di una mente equilibrata, umile, profonda.

In antropologia, egli s’è fermato su due problemi. Il primo riguarda la diffusione dell’uomo sulla terra.

Da dove è arrivato l’uomo in America? Le teorie ci dice, sono tre. La prima è per la derivazione dall’Asia, attraverso lo stretto di Beherin, e non sarebbe neanche tanto lontana (pare non vada oltre il Neolitico). Passando alla paleografia, e a connessioni di terre poi separate, alla zoogeografia, e alla craniologia, una volta visti i caratteri simili fra crani della Terra del fuoco, del Perù, del Mississipi e dell’Alasca con quelli melanesiani, è stata intuita una seconda possibilità di popolamento: quello oceanico. Il Sergi è passato a una terza teoria, spostandosi dal Notanthropus (= uomo del Sud) tasmano alla immigrazione dall’Africa, secondo lui culla dell’Umanità. Il Petella riflette che se si parte dalla lingua, si accetta l’origine asiatica, ed è cosa recente e palpabile, se dal cranio “lofocefalo” (= a cresta, con eminenza fronto-sagittale) e dalla faccia, l’hesperanthropus (= uomo americano) molto più antico, verrebbe dal Sud (Il problema delle origini americane, Annali 1928). Tra i lofocefali di America e d’Oceania egli costatò una “evidente somiglianza” A traverso il grande Oceano alla ricerca degli indigeni americani (Annali 1928).

Problema non meno affascinante è quello dell’Atlantide, che in Platone assurge a filosofia della Natura. Sembra di sentirla la voce quasi ispirata del Timeo: “…molte e grandi distruzioni di uomin avvennero in passato, e avverranno in avvenire… A larghi intervalli di tempo quanto è sulla terra perisce…”.

Il problema, antropologico in senso largo, se sia esistita un’isola grandissima, che abbia fatto da ponte fra l’Africa ed America, si affaccia al suo pensiero: L’Atlantide, ultima manifestazione dei fenomeni tettonici di assestamento della crosta terrestre. Ma Petella non è romanziere, non sogna, indaga (Una escursione a l’Atlantide, da Platone a Schliemann, Annali 1925; Il problema dell’Atlantide, Annali 1926; Divagazioni paleografiche su terre sommerse ed uomini arcaici viventi, 1930; L’isola e il mare dell’Atlantide, 1931; L’Atlantide studiata in Italia, 1932. Eliminati i sogni degli iniziati moderni, non resta che applicare alla grande Sommersa, al sesto continente, il “criterio del residuo identico” che genera induzione da quanto avanza dal passato. È, secondo il Klee, spostamento dell’asse terrestre con conseguenti mutamenti tettonici ed ecologici? O è lo scorrimento delle piattaforme continentali formate di silicio-alluminio su un basamento di silicio-magnesio? (teoria di Wegener). L’ultimo sprofondamento, per aver lasciato ricordo, sarà avvenuto all’alba del Quaternario, ma già lo spezzettamento era iniziato dal Miocene. L’isola sarebbe servita all’espansione umana e, prima ancora, a quanto la Geografia antica e l’Oceanografia trovano nella connecting ridge,nella catena montagnosa ad arco nell’Atlantico, sul cui fondo la Geologia prevede altri sconvolgimenti, la Petrografia mostra lava vitrea nei fondali (dunque erano emersi) la tradizione egizio-greca e maya, parla di antico cataclisma, la Paletnologia antepone ad un’invasione dal Nord, una meridionale, atlantica, la Linguistica comparata trova affinità fra greco e maya, perfino tra ebraico e chiapanec, e lo stesso assicura l’Archeologia con le piramidi, l’imbalsamazione e il calendario, e anche la Botanica e la Zoologia mostrano specie affini fra le due sponde… Ecco gli elementi antichi e recenti che ci mostrano una connessione orizzontale fra i continenti, poi rotta dallo spacco dell’Atlantico progressivamente attuato.

Per i suoi studi, il Petella a Parigi fu nominato membro straniero della Società di studi atlantini.

Meno noto ma non meno interessante l’altro probabile continente, Gondwana o Lemuria fra l’Asia, l’Africa e l’Australia, che anch’esso fa riflettere il nostro studioso per l’affinità tra la flora e la fauna, e la conformazione dei fondi marini fra terre emerse, oggi tanto distanti.

Il Sergi, “al limite della vita” scriveva nel ’34 lettere affettuose al “molto amato amico”, ma la stima del Petella per lui, facendone parecchie volte accettare metodi d’indagine e conclusioni, non ne aveva fatto un materialista. Il tenore di studio applicato, sperimentale, non ne aveva chiuso l’animo nel laboratorio e in uno schema. Il suo pensiero mobile ed acuto risaliva per indagine ed induzione al regno dell’ultrasensibile, e giungeva “molto più in là dell’ultravioletto, delle forze ascose invisibili, dell’animismo e dello spiritismo, della medianità, delle luminosità medianiche dell’energia magnetica sprigionantesi dai centri nervosi ed attraente la limatura di ferro, nel regno della telepatia, della lettura del pensiero, delle radiazioni psichiche, delle emanazioni fluidiche, della rabdomanzia, tutti fenomeni bene accertati, dei quali chi oggidì seguita a dubitare, dimostra di non aver compreso la grandiosità della concezione universale della vita fisica e psichica…” (in Recensione ad Angelucci: La visione nell’arte).

La metapsichica era dunque da lui studiata ed ammessa nei fenomeni, ma egli si guardava bene dallo spostarla da esperimento a sogno. Era induzione verso un mondo che non è esteso, inerte, pesante, palpabile, ma fluido, impalpabile, dinamico, antesignano di orizzonti supremi, vestibolo del Soprannaturale.

Verso chi arbitrariamente confondeva sogno e realtà, Don Giovanni era severo e, pur nella sua signorilità, usava parole forti. “Il colmo del visionario è di supporre che l’Atlantide fosse stata la culla dell’Umanità, come farebbe credere la tradizione esoterica sostenuta dai teosofi (Scott Elliot, Manzi…).

“Lasciamo quindi da parte la rivelazione iniziatica che fa lavorar di fantasia, e manteniamoci nel campo del metodo induttivo”. Ed a proposito della Blavatsky, “I teosofi” disse, “dovrebbero provare i loro asserti con metodi più seri”.

Lo scienziato Petella vede dunque un limite nella materia, intravede una continuazione nell’invisibile dei sensi, constata apporti, influenze, presenze, ma l’anelito del suo animo retto ed intelligente si ferma allo studio, sosta sulla visione dell’universo, unico-tutto, del quale noi, come ogni altra cosa siamo parte indissolubile, pur nella nostra attuazione particolare ed effimera.

La cultura varia di Giovanni Petella

di Dante Marrocco – Piedimonte, 1 Settembre 1964

Una mente per natura capace di tanto sviluppo, allenata da uno studio che durava quanto la vita, mentre polarizzava logicamente su una consuetudine di studi, non si chiudeva ai variati orizzonti delle cultura.Ciò sarebbe impossibile anche per un mediocre. Accanto al Petella clinico, c’è dunque lo studioso di tante altre discipline, studiate anche attraverso opere straniere, nelle lingue originarie.

La cultura vasta lo portava ormai a evidenti rapporti – sintesi fra le scienze. Evidenti logicamente per lui. Fu così, ad esempio, che nel ’98 si occupò come oculista di Psicopatologia del linguaggio, per un caso di cecità verbale con relativa agrafia, in persona divenuta afasica[1].

Gli studi storici, quelli di pedagogia emendativa, e quelli su Goethe completeranno la sua interessante figura, aperta a conoscenze le più disparate e lontane.

è del ’91 la traduzione dal tedesco di una conferenza del Gen. Wenzel su Le navi-ospedale nella guerra marittima, sul loro scopo, l’allestimento e l’equipaggio (Giornale medico del R. Esercito).

Fu anche oratore. Nel ’99, inaugurandosi a Piedimonte il monumento a Ercole d’Agnese, pronunziò, dopo la parola violenta dell’On. Rosano, un discorso storico, calmo e ricco di notizie. Altro discorso pronunziò nel ’10 pure a Piedimonte, nel cinquantenario della Indipendenza, e in tale occasione si scoprirono due lapidi dettate da lui. E commemorò il giovane medico Smuraglia, caduto in Somalia in un’imboscata (Rinnovamento medico 1913, e Giornale d’Italia).

Nelle recensioni fu illustratore obbiettivo e profondo.

In “La visione nell’arte e l’arte nel meccanismo della vita” del prof. Angelucci (Annali 1923) il Petella sintetizza un argomento vastissimo che va dalla riflessione storica all’ultrasensibile; e un quadro, come se fosse odierno fa di “Italia antica sul mare” di E. A. Stella. Su Riforma medica scrisse con gusto su Axel Munthe e la storia di S. Michele, il libro ricco di umanità e di pittura ambientale del neuropatologo svedese che si augurava di morire, lui protestante e razionalista, “col capo abbandonato sulla spalla di S. Francesco, il santo cattolico da lui preferito”.

L’ingegno versatile dello studioso piedimontese non tralasciò la storia.

O sui posti dove viveva, o dove si recava in crociera, o dalla sola lettura storica nasceva in lui la visione e la reviviscenza di un avvenimento, il risorgere di un tenore di vita, di una mentalità svanita.

I fantasmi palpitanti del passato sono già vivi in I bagni di Diana e il Melete di Omero,una corrispondenza archeologica di Smirne (Vita italiana 1897), e si manifestarono nel suo principale lavoro storico La legione del Matese durante e dopo l’epopea garibaldina (Agosto 1860 – Marzo 1861), pubblicato nel 1910.

È lavoro ampio, di ben 330 pagine, in cui la ricerca meticolosa si amalgama col sentimento. L’ampiezza stessa del libro è dovuta al riferirsi costante ad avvenimenti importanti che fanno da sfondo. Figlio di un garibaldino, il Petella è nel libro un entusiasta, e basta leggere la prefazione, l’ottavo rigo, per restare un po’ meravigliati. Il lavoro vale senz’altro, soprattutto come nostalgica ed istruttiva visuale locale di avvenimenti su scala nazionale, e come cronistoria di Piedimonte e del suo distretto. Episodi della vita di Garibaldi fra il 1849 e il ’55 sono pure in Da Porto Venere alle isole della Maddalena e Caprera. I due lavori furono onorevolmente recensiti sulla rivista “Garibaldi e i Garibaldini”, e La legione ebbe il premio Vittorio Emanuele (1913).

Socio affezionato dell’Associazione storica del Sannio Alifano in Piedimonte, collaborò a quell’Archivio storico con la ricerca Per un’epigrafe di Casa Gaetani in Roma (1916). Il Petella era affezionato alla storica famiglia, ed esaminò due lapidi che nel ‘700, un principe di Piedimonte dedica in Santa Maria in Cosmedin a un cardinale di famiglia, e ad uno dei due papi Gaetani, Gelasio II.

Dai suoi viaggi nel Levante quanta resurrezione di mondo classico!

Leggende tebane e preistoria egea, genealogie omeriche, ubicazione di Troia, relazioni con l’Egitto, i colori in Omero… passano innanzi a noi in rapida rassegna in Ricordi di studi classici e preistorici navigando per l’Egeo (Annali 1917), e (Atene e Roma). Ed ecco seguire Problemi di civiltà antiche e vetustà di un medico egizio (Annali 1927). Veloci ed acuti sguardi sulle talassocrazie cretese e fenicia, e sulla presenza fenicia nell’Odissea. In quest’ambiente, lontano 32 secoli, appare Imhotep, sacerdote egiziano medico ed architetto, simbolo della medicina egizia che passa in Grecia (Epidauro), e giunge a Roma. Le navigazioni di Ulisse (Annali 1931) sono altro saggio dell’erudizione impressionante di Don Giovanni. L’itinerario di Ulisse gli appare saltuario, ed egli pensa ad una relativa possibilità di interpretazione dei luoghi.

Ma dove l’erudizione diventa comunione di spiriti è riguardo a Goethe.

Il Generale studiò Goethe con trasporto intenso. È questione di affinità elettive, dicono gli psicologi. Più che per Dante, poeta-teologo e passionale, egli provò entusiasmo per Wolfango, poeta-scienziato. E logicamente è tutta la scienza di lui, e l’anelito alla perfezione, adombrato nello splendido mito di Faust, che lo attrasse. E su quella parte pubblicò: Piante e colori negli scritti scientifici di Goethe (Annali 1933).

Vi tocca le scoperte scientifiche del grande poeta e filosofo della Natura, tratta della concezione unitaria che aveva, del dualismo del suo spirito espresso in Faust e Mefistofele, di come nacque la passione di lui per la Botanica, e di quanto vi scoprì: “Alles ist Blatt”, tutto è foglia (e sua metamorfosi). Ma lo scienziato era anche poeta e pittore, e l’Italia, e Roma in particolare gli fornirono materiale. Nella Farbenlhere tratta della dottrina dei colori e del fenomeno primordiale della luce. Urphänomen, del senso cromatico dell’occhio, fino alla figurazione dell’uomo completo innanzi alla Natura “sensibile e spirituale”.

L’indagine sul grande germanico inizia con Goethe filosofo e scienziato (Annali 1932). Vi tocca anzitutto l’evoluzionismo del Goethe, che è variazione non trasformazione. Ma poi si chiede, come nacque Faust, un personaggio del teatro tedesco dei burattini, Puppenspielfabel? Come nacque in Goethe? Come divenne ricerca inappagata dell’anima della Natura?… Ed ecco l’analisi del poema, una Divina Commedia in cui si cerca Dio ma senza trovarlo, e in cui confluiscono religiosità e mito, sentimento e scienza. Come penetrare nella sua anima di genio? Il Petella, vecchio ormai come il Goethe quando terminava il poema, si ferma su un’espressione, quella del coro finale degli Angeli: Alles Vergängliche Ist nur ein Gleichnis! = Tutto il caduco è solo un simbolo! Il Faust va studiato così: un tormento di inappagamento, un processo soltanto umano di continua penetrazione del mistero, e che si arresta (perché è privo di Soprannaturale vero) alla misteriosa: “Mehr Licht!” più luce! del poeta morente.

Ma il Goethe aveva una religione? Certo. Si dichiarò theissimus e christianissimus, ma intanto si sdoppiava, e non riusciva a unificare l’Universo nella fede. Come uomo era monoteista (avendo cara la Bibbia), come poeta, politeista (avendo cantato gli Dei), come scienziato, panteista (perché in ogni essere vedeva la Vita universale).

Terzo lavoro del Petella su Goethe fu Littoria al centro del regno sognato da Faust (Annali 1933). Il plauso del malariologo Senatore Marchiafava apre lo scritto, e un volo pindarico ci porta sulle bonifiche di Faust nelle lande del Nord.

Goethe aveva concepito il monologo di Faust durante il viaggio in Italia, sull’Appia, nel 1787. I primi versi furon fatti presentare dal Petella a Mussolini che li lesse “sorpreso e commosso per il parallelo che ne scaturiva”. Tradotti dicono:

Una palude si tende lungo il monte,

e appesta tutto il già conquistato;

tòr di mezzo la putrida maremma

sarebbe alfin la più grande conquista.

L’uomo della riflessione e dell’esperimento, come non rinnegò un subcosciente atavico che lo portò all’entusiasmo per Garibaldi, così non fece tacere la bontà innata. Trovò perciò inclinazione per gli studi di Pedagogia emendativa, quelli che dalla scienza passano alla sociologia ed alla morale.

C’è modo di riscattare alla società i minorati psichici, gli anormali, affinché non restino, pietosa zavorra, legati a chi per varie ragioni deve curarli? Don Giovanni pigliava ad un certo momento una passione intensa per uno studio, l’approfondiva, ci scriveva su, poi una nuova serie d’interessi lo spingeva ad altro. Questo per le discipline non professionali.

È così che tra il 1906-08, tre pubblicazioni c’indicano precedenti indagini. Nel Dicembre 1906 a Roma, al quinto Congresso nazionale Pro Ciechi, presentò una dotta memoria poi pubblicata dalla Rivista di Tiflologia (tiflos in greco vale cieco): Da Alessandro Rodenbach ad Elena Keller. Sono cinquant’anni di scuola per i ciechi. E quanta tristezza egli prova, paragonando quanto poco si faccia per essi in Italia di fronte a quanto si attua negli Stati Uniti! E dove possono arrivare, se si pensa al cieco Rodenbach scrittore e deputato belga, se si pensa alla Keller che “tenebre e silenzio” avvolsero a diciotto mesi, e cioè fu cieca e sordomuta e poi, solo col tatto, scrittrice! Il lavoro si chiude con l’analisi di varie forme e sistemi di dattilologia.

Seguì L’ottimismo di una sordomuta cieca (L’educazione dei sordomuti 1907), commovente perché inneggia alla vita, alla bontà, all’affetto, proprio la Keller che non aveva mai visto e sentito alcuno. Don Giovanni si sofferma commosso sulle parole di lei: “Cristo propugnò un messaggio di pace e di amore in terra, propugnò la fede in un’idea… Il giorno di Natale è perciò il festival dell’ottimismo. Paolo si fece di quel Vangelo apostolo fra le genti, predicando che anche i ciechi nati possono cercar tesori nell’oscurità”. La Keller dall’America ringraziò commossa il Petella, e fra le centinaia di lettere di dotti ed autorevoli amici, quella della mirabile sordomuta fu forse la più gradita al suo animo sensibile.

In Precursori italiani di Tiflopedagogia (1908) ricordò infine G. Cardano, padre Lana S. J. E padre Armanni, autentiche glorie d’Italia nell’insegnamento ai ciechi.

Conclusione.

Dopo questa frettolosa rassegna di quanto la cultura di Giovanni Petella ha prodotto, dopo aver tentato qua e là di abbozzare un’indagine sul suo animo superiore, vogliamo concludere, giustificando la ragione delle onoranze.

La grandezza del Generale Petella si fa ammirare solo guardando le sue pubblicazioni. Solo scorrendole, per il fatto che son tante e così speciali, ne scaturisce l’ammirazione per l’uomo di studio.

E noi sappiamo che il pensiero chiuso in un libro è solo una parte del nostro animo mobile e creatore, dato che sulla carta appare come mummificato. Comunque, quando in uno scritto si constata convergenza precisa di ragionamento, intelligente scelta di elementi, accenni ad una cultura enciclopedica, si ha la prova che il pensiero atto a produr ciò, risulta ben più vasto di quel che appare. Ora giudichi il lettore. Gli scritti esaminati, per le analisi approfondite ed estese e per le sintesi proprie, quante conoscenze comportano! E conoscenze così estese quanti anni di studio richiedono! E una vita intera di studio, da quale carattere, da quale volontà, da quale intellettualità deriva!… Anche se non ha edificato opere materiali nel proprio paese, le sue benemerenze vanno molto più in là: attraverso le pubblicazioni vanno verso l’Umanità sofferente.

Sta qui la ragione delle civiche onoranze a Giovanni Petella. È l’omaggio che Piedimonte e il Medio Volturno doverosamente tributano ad una personalità integra e studiosa che fa onore alla terra che la generò, e che ora ne custodisce le spoglie. L’omaggio a Giovanni Petella indica la civiltà del popolo che lo sente e lo compie, perché è il riconoscimento che gli onesti e desiderosi di elevazione tributano in lui all’onore ed alla cultura.

 

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