Il Consiglio Direttivo l’ha istituito il 6 Dicembre 1982, e ne ha discusso e approvato il regolamento in 18 articoli. Le sezioni sono due, poesia e prosa. L’argomento è libero, ma deve avere un riferimento al Medio Volturno.
Il 26 Settembre 1982 è stato conferito il primo premio letterario del Medio Volturno.
Hanno contribuito l’Associazione Storica e gli Enti Provinciali per il Turismo di Benevento e di Caserta.
Poesie e novelle premiate sono state incluse nella seconda antologia: Flora De Biase, primo premio per il Canto funebre di una mamma del Matese, e al secondo premio ex equo ad Adriano Bucci per Epitaffio per il Sannio, a Marcellino Bottone per Il campanile di monte Muto, a Domenico Longo per ‘A Madonna du Rusitu, e a Benedetto Pistocco per La diga.
Menzione onorevole per tutti gli altri.
Si riportano i testi delle poesie premiate.
Canto funebre di una mamma del Matese
Io non ti conoscevo ma tu sei figlio
E sapevo di te da madre a madre.
Il tuo nome:
sul volto di tua madre e in fondo agli occhi
la gioia la speranza
l’ansia la paura
la volontà il coraggio
di dare spazio alla tua giovinezza.
Mezzanotte.
Ti libri in un battito d’ali
il temporale d’estate
abbatte il tuo ultimo volo.
Mezzogiorno.
Ha inizio il tuo lungo viaggio.
Struggenti parole d’addio
i colorati petali nell’aria
come farfalle impaurite.
Rugiada le lacrime
sui fiori cosparsi
ad attutire i passi pesanti
di dolore e di rabbia.
Ora cammini
Verso astrali spazi siderei silenzi
Dolce quiete ti attende al di là del Lete
senz’ombra di rimpianto
dei giorni felici dei sogni fugaci
in una primavera senza tempo.
Figlio
giunge fin lì a lambirti le mani
il fiume di lacrime
che sgorga dagli occhi fatti sorgente
a tua madre?
Figlio
daranno fiori per tutte le stagioni
irrorati dal pianto
illuminati dai ricordi
iridescenti cristalli:
la tua voce il tuo passo il tuo sorriso
che abitano le lunghe notti insonni
consolano la solitudine
nutrono i pensieri d’amore
di tua madre
brandelli d’anima
restati attaccati al tuo sguardo.
Epitaffio per il Sannio
Ahi, terra dal cuore profondo,
terra di gente altera e taciturna,
dove vivere è camminare senza meta,
dove morire
è deporre il fardello e chinarsi ad aspettare,
senza lamento,
senza rimpianto.
Chi mai ti canterà?
Verrà il crepuscolo
greve fra gli ulivi,
avranno guizzi d’argento
le foglie
e ombre fluttueranno
tra i sepolcri,
per chiamare a raccolta
i sedicimila dagli scudi d’oro:
bagliori d’armi
accendono
gli occhi insonni delle scelte.
La Lupa ritorna alla pianura!
«Spalancate gli alti padiglioni del vento,
disserrate le cateratte del cielo!
Coorti di Boviano e di Esernia,
di Telesia e di Allife,
all’olocausto!»
Come lontana l’epopea di Caudio!
Ormai,
nei meandri di tenebre,
l’ombra sdegnosa di Brudulo[1]
senza fine riposa.
Ormai,
antiche radici di quercia
avvinghiano i polsi di Egnazio[2]
e centurioni di rame si avventano sulle rovine.
Ahi, Mutilo,
grave d’armi e di sventura![3]
Apri diritta una via
al tuo sangue
ché tracci arabeschi vermigli
alla tua porta e arda,
fuoco perenne,
sulla soglia!
Il Sannio è morto!
Ditelo al vento, che accorra
e si porti lontano
quest’urlo immenso d’agonia,
lo porti a frantumare il sipario
dei monti di cristallo,
a straripare
oltre le frontiere grigie del tempo
perché verranno tristi piogge
a brucare le impronte dei calzari,
berranno cavalli d’aria
a un Volturno scarlatto
e monterà la marea nera
a spegnere
i bagliori e il sangue
delle ferite.
Terra mia dimenticata,
serrata nel silenzio e nel dolore,
terra di uomini
dal volto senza tempo
che incedono dritti nel sole
e dicono parole scarne
come sentenze,
chi mai ti canterà?
È la mia voce
Palpito d’ala nel silenzio.
Il mio lamento
È vento che geme basso
nell’uliveto.
Il campanile di monte Muto
Pesaggi a tratti acrilico
nei verdi pennellati delle gole,
la plastica panoramica dello sfondo
che frastaglia l’orizzonte
e si incunea nell’humus
dei lontani focolari.
E nel piatto
di grano e di mediche
l’indelebile impronta di menti,
di falangi e bicipiti rurali
che sezionano e risezionano
un noto composto di terra.
Dentro la foto normale
solo, a margine, un vezzo silente,
un’unica forma assoluta:
quel campanile di pietra
Sacerdote dell’ultimo saluto.
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A Madonna du Rusito
‘Sta muntagna ‘a penso sempe,
puro quanno stu luntano
e m’arricordo tale e quale
come si mo ‘a stess’a guardà.
‘Uard ‘e cime, ‘uard ‘e valli
e dint’e nuotti scure e fredde,
‘uard’a luce d’u cummento.
Cum’a n’uocchio d a’ Madonna
‘sta lucella m’accumpagna,
e si girasse tutt’u munno
ma purtasse semp’appriesso.
Certe bote m’addimanno
Si ce credo a ‘sta Signora:
nun a pigliati pe’ mattia,
ce credo cum’a mamma mia.
La diga
Li ho visti!
Sono gli stessi
che hanno rubato
la sorgente al Torano
e la fertile terra gallese.
Gli uomini d’oggi
sforacchiano montagne,
rubano l’acqua alle sorgenti,
disperdono le popolazioni.
I contadini gallesi
non erano elettrotecnici
per la centrale a perdere
Capriati-Lete-Sava.
Muoiono gli ultimi vecchi
Tra le case di pietra
di Gallo Matese
e i bambini oggi nascono
a Toronto e New Yord.
Sotto il lago
per sempre riposa
la fertile terra di Alzek.
Dormite sonni tranquilli
libertà parola,
pace parola,
lavoro parola,
progresso parola.
Gli uomini d’oggi
Sforacchiano montagne,
rubano l’acqua alle sorgenti,
disperdono le popolazioni.