Memorie Storiche
1926
di Raffaele Marrocco
Cap. II – IL CASTELLO, LA ROCCA E LA TERRA (pp. 22-27)
(le seguenti pagine sono tratte dal lavoro multimediale di Valentino Nassa realizzato nell’estate 2005)
IL CASTELLO E LA ROCCA
Avanti il Sec. XI soltanto, la ritroviamo difesa da vari ordini di fortificazioni. Queste opere – collocate a cavaliere di una rupe quasi inaccessibile, sì da tener soggetto il territorio circostante – erano disposte in modo da poter difendere il terreno palmo a palmo. La rupe, fiancheggiata dalle valli del Torano e del Rivo, è quella ove trovasi addossato il rione S. Giovanni, ed ove, più in alto, s’erge il caseggiato di Castello d’Alife, che, sino al 1752, fu rione di Piedimonte.
Queste fortificazioni consistevano in un castello davanti il borgo (rione S. Giovanni) – quello comunemente chiamato « Palazzo ducale » – e in una rocca nel cennato Comune di Castello. Il primo era semplicemente fortificato, l’altra comprendeva, oltre un gran numero di torri, come appare da avanzi, anche il mastio che serviva da cittadella e da abitazione, e come estremo rifugio e difesa. Al presente sono esistenti colà due torri merlate ed alcuni ruderi di cortine. Come tutte le rocche, anche la nostra aveva le torri poste in ordine di successione, di guisa che, in caso d’invasione, i difensori potevansi ritirare, man mano, dall’una all’altra, sino a fermarsi nel mastio, situato nell’estremo limite.
Il castello davanti al borgo era di forma quadrangolare. Nella sua originaria costruzione era privo dell’attuale secondo piano e delle due terrazze a mezzodì che tanto deturpano il palazzo. Aveva tre torri, anch’esse quadrate, poste – meno a settentrione – ai tre angoli esterni dell’edificio. Esse, merlate e ricche di decorazioni architettoniche, nonché di piombatoie e di altre astuzie castellane, erano rilegate da quattro corpi di fabbrica, anch’essi merlati e corredati di bifore (di cui esistono tre esemplari trecenteschi privi però di colonnine) oggi trasformate a balconi. Gli appartamenti del castellano erano situati dalla parte interna dei corpi di fabbrica rilegati alle torri, cioè in quelli a sud-ovest dell’edificio.
LE MURA
Dalla torre ad oriente (supportico del palazzo) partivano le cortine, cioè le mura di cinta del borgo, anch’esse merlate, che, prolungandosi in linea retta di sotto il palazzo Pierleoni (oggi d’Amore), terminavano fin verso la grotta di S. Arcangelo in via Sorgente. Contrariamente, poi, al sistema in uso, il borgo di Piedimonte era situato, come abbiamo detto, dietro il castello. I vassalli, quindi, in caso d’invasione, potevansi ritirare facilmente e prontamente nella rocca, come si verificò negli assedi del 1229 e 1437.
RESTAURO DELLE MURA
Trentacinque anni dopo il secondo assedio furono restaurate le mura che erano state in gran parte diroccate. Il restauro avvenne non già ad opera del feudatario ma dei preti beneficiati della Chiesa di S. Maria Maggiore situata accosto al castello, laddove nel primo trentennio del Sec. XVIII, i Gaetani fecero sorgere un teatro. Ci racconta il Trutta – in un suo manoscritto conservato nell’Archivio della Chiesa in parola – che Onorato Gaetani, conte di Fondi, e Signore di Piedimonte, adunò un bel giorno quei sacerdoti e fece loro comprendere di voler dare esecuzione al dibattuto « Laudo » del vescovo Sanfelice. Questo laudo consisteva in una convenzione riguardante l’unione del clero, che, causa il numero delle parrocchie, era scisso. Con la convenzione si fissava, invece, la cura delle anime soltanto a quattro chiese: quella di S. Maria Maggiore, di S. Giovanni, dell’antica Annunciata e di S. Croce in Castello.
Il Gaetani pose però loro la condizione che dovessero restaurare a proprie spese le mura diroccate, e ciò anche allo scopo di difendere la Chiesa di S. Maria Maggiore più esposta ad eventuali invasioni. I sacerdoti, riuniti in capitolo, accettarono le condizioni e decisero, onde fornirsi del denaro occorrente, di vendere alcuni terreni incolti che la chiesa possedeva in contrada Escheta (Squedre). Fu tanta, anzi, la loro premura, che non pensarono a far procedere la vendita del prescritto assenso apostolico, come appare dall’istrumento in data 31 marzo 1471, rogato dal Not. Gaspare di Giorgio. Le mura, però, vennero riparate ugualmente, e di esse si serbarono tracce sino a tutto il Sec. XVII, quando scomparvero del tutto.
Cap. XXII – EDILIZIA ED OPERE PUBBLICHE
(le seguenti pp. 200 e sgg. sono tratte dal lavoro multimediale di Valentino Nassa realizzato nell’estate 2005)
SVILUPPO EDILIZIO
Negli edifizi e nelle opere pubbliche ci è dato scorgere non soltanto tracce del nostro passato storico, ma eziandio una prova dell’attività e civiltà della popolazione. La nostra Piedimonte, partendo dall’antico borgo (Rione S. Giovanni) si è andata man mano estendendo, fino a diventare una cittadina moderna. La trasformazione, iniziatasi sul tramonto del Sec. XV, si accentuò successivamente, quando – terminata il castello la sua funzione storica – la popolazione sentì il bisogno di espandersi, di aver aria e luce, muovendosi verso la parte pianeggiante, ove fabbricò nuovi e più comodo edifici, costruì nuove strade e nuove piazze, mutando, così, poco per volta, quella che era l’antica topografia cittadina. E con i nuovi bisogni e con lo sviluppo delle industrie, specie nei Sec. XVII e XVIII, Piedimonte compì il suo ingrandimento.
Sconforta, però, il vedere oggi alcuni antichi edifici o malamente rifatti o ridotti in stato di abbandono. È bene occuparci anche di essi, non per altro, per serbarne il ricordo. Ma sarebbe anche meglio che la Commissione Edilizia ponesse maggiore interesse nella sistemazione ed abbellimento di certe case, specie quelle delle vie principali, per aversi così un tutto armonicamente estetico.
PALAZZO GAETANI
L’antico castello feudale – oggi palazzo Gaetani – munito, un tempo, di torri e di merli, è l’edifizio di più vasta mole che vanti Piedimonte. Su di esso circolano ancora strane e misteriose leggende. Si dice che fu teatro di drammi e di avvenimenti paurosi; che fu alcova di amori violenti; che ivi danze e conviti si svolsero in una regale sontuosità; e che nel trabocchetto, ora murato, finivano i vassalli importuni… Ed è circondato di tante e tante altre leggende, che la fantasia popolare, tramandandole, ha trasformate, ingrandite e rese terrificanti. Oggi l’antico castello, perduta la sua suggestiva caratteristica, è una dimora corredata di tutte le comodità di una vita dilettevole.
Il portale principale, ad oriente, è opera del XVI Sec.; quello secondario, a settentrione, prospiciente nel Largo di S. Maria Vecchia, conserva una magnifica architettura del Sec. XV. Entrambi sono in travertino. Il primo ha delle bugnature quadrate, e negli angoli del frontespizio due grandi rosoni in altorilievo. Sopra il frontespizio campeggia lo scudo, pure in travertino, raffigurante l’arma della Casa, inquartata con quelle delle famiglie dell’Aquila, d’Aragona e Corigliano. L’altro portale, ad arco depresso, ha tutti i caratteri spiccati della scuola napoletana del periodo durazzesco. Negli angoli superiori del frontespizio, tra il riquadro esterno e l’arco, vi sono scolpite due figure, una umana, l’altra di animale. In alto, poi, vi è infisso altro scudo della Casa, senza l’arma di Corigliano.
Dal portale principale si accede nell’atrio, al cui centro s’erge un’artistica fontana in travertino, formata da una vasca, da cui si eleva una colonna con largo bacile in alto, e da un aggruppamento di quattro aquile reali, uscenti dalla vasca medesima. A destra dell’atrio vi è lo scalone a due rampe che immettono in un porticato dal quale si accede al primo piano dal lato destro, e al secondo, dal lato sinistro. Niccolò Gaetani, Principe di Piedimonte, fu quegli che operò numerose trasformazioni al palazzo, distruggendo tutta l’architettura degli antichi tempi.
OPERE D’ARTE
In questo palazzo – trasformato come si è detto nei primi anni del Sec. XVIII, specialmente con la costruzione di tre appartamenti, dal salone principale al giardino, come risulta da un atto in data 26 luglio 1700 per Not. Ciccarelli – convennero, chiamati da Niccolò Gaetani, architetti, scultori e decoratori napoletani, che fecero dei portali interni in alabastro, vôlte di stucco, quadri ed affreschi. Un salone a primo piano contiene, infatti, una serie di ritratti dei più insigni antenati di Casa Gaetani; altre sale, quadri religiosi e profani, affreschi riproducenti episodi storici, mitologici e scene campestri, e tele di fiori, frutta e cacciagione.
Tra gli artisti che qui allora convennero, Francesco Solimene tenne il primato. Il De Matteis, il Loth, il Cusati, il Nani, il Brandi, il Rossi, il Martoriello, il De Dominicis, l’abate Belvedere, e, tra i dilettanti, il Giovo e lo stuccatore Catuogno, gareggiarono ad abbellire la sede del Principe, stimato per uno dei più nobili mecenati dell’arte. Oltre ai ritratti di Niccolò Gaetani e di Aurora Sanseverino, il Solimene dipinse un’Aurora – dal nome della Principessa con gli Amorini che preparano il Carro tra le nubi, con il vecchio Tritone, con la Fatica nuda, in piedi, e col Sonno che cade dal letto; Paolo De Matteis svolse le favole di Apollo e di Dafne, di Pane e di Siringa, intorno alle quali lo stesso Solimene dipinse Amorini ed ornamenti; Onofrio Loth ritrasse indovinati quadri di fiori e frutta, di pesca e cacciagione; Gaetano Cusati quadri di animali e di vasi ripieni di fiori; Gaetano Martoriello svariati paesaggi; Nicola Maria Rossi un Natale, un San Francesco, e la Decollazione di San Gennaro, e infine Giacomo Nani tele di frutta e scene campestri. Di tutte queste opere alcune soltanto esistono al presente, le altre furono trasportate in altre residenze dai vari componenti la famiglia Gaetani.
Dal palazzo si gode un magnifico panorama cui fanno corona i monti Compulterini e Tifatini, il Vesuvio e le montagne del Beneventano, mentre nella vasta pianura scorre lento il Volturno.