in Archivio Storico del Sannio Alifano, 1916, nn. 1
di Raffaele Alfonso Ricciardi
Cod. cartaceo del sec. XV, di fogli otto non numerati, di mis. 0,30 x 0,23 e con la seguente intestazione: Jhesus – Assisa seu Statuta Civitatis Thelesiae Copiata in anno domini Millesimo CCCC° XXVJ° quarte Iudicionis per notarium Antenollum de cerreto. Contiene ai fol. 1-4r. ed ai fol. 5v-6 la trascrizione dei detti statuti municipali telesini. La pag. 5r ed i fogli 7-8 sono bianchi. A pag. 4v lasciata in bianco con quella che segue, per errore del copista, si legge la seguente notazione di carattere dello stesso secolo XV:
Anno domini millesimo quatricentesimo quinquecesimo septimo die vicesimo quinque mensis Iulij quinte Indicionis lu Segnore alfonso gaietano e lu Segnore erricho della logonessa venuti in convegnio per evitare li errurj et dannj incursi et che potessero incorrere anno facto quisto capitulo de sopra le cose della corte in quisto modo videlicet che non sia nulla persona che facza danno in nelle terre dello demanio ne in persona ne con vestie et chiuncha lu facesse lu dicto danno stia alla pena de tarì cinco per ciassca una volta et che la dicta pena sia come comone delli capitanei et che li dicti capitanij devono fare ammennare de presente li danni dati che li tolla la pena che se alcunj delli capitanij non facessero la esecucione prescricta nante tanto allo emennare dello danno quanto alla pena sia licita ad piasser uno delli capitanij potere pilliare della roba de chi facesse lu danno dove vuncha la trova tanto della pena quanto delo danno co quisto se ritiene che lo capitanio de lu segniore alfonzo sia licito potere fare la esecutione alli vaxalli dello segniore erricho et che si eo converso lu capitanio dello Segniore errcho pocza fare la esecutione alli vaxallj dello Segniore alfonzo dove vuncha la trova et questo capitolo anno facto fare commonemente per mano de ramundo de curione de sancta agatha.
Il cod. in parola è senza copertina e frontespizio: i fogli che lo compongono sono cucita fra loro e rafforzati nel dorso da due liste di pergamena ritagliate da un’opera giuridica manoscritta dell’epoca del cod. Questo proviene dalla raccolta Migliaccio, in parte da me acquistata parecchi anni or sono.
Come prima fonte di studio, per conoscere e mettere insieme razionalmente il materiale atto a formare quasi il corpus juris dei paesi dell’antico Sannio alifano e delle contrade limitrofe, ad esso congiunte per consuetudini e vicende, pubblico l’inedito statuto municipale della città di Telese, secondo il testo, che ne è rimasto in una trascrizione fatta nel 1426 dal notaio Antonello di Cerreto. Esso, evidentemente mutilo nella fine, nondimeno è notevole per dimostrare come attraverso fortunosi periodi della sua storia, l’antica egemonia, resistita alle frequenti irruzioni ed al servaggio feudale. È notevole bensì per raffrontarlo agli statuti coevi o posteriori di Alife, di Piedimonte e di altre terre della regione, per tutto quanto riguarda il dritto municipale quivi osservato dopo il mille. Imperocché il nostro documento, per la sua forma estrinseca, è l’espressione più antica delle consuetudini locali in quanto furono ridotte in iscritto, mancandovi ogni intromissione, per così dire, del diritto nuovo creato a seconda dei bisogni del tempo, e sancito sotto forma di grazie. E infine, similmente agli statuti di Alife e di Piedimonte, la prova, che rispecchia in tutta la sua ampiezza l’autonomia di cui godeva l’università di Telese anche nel secolo XV, senz’alcuna ombra di concessione signorile o regia.
Tutti i capitoli infatti di questo statuto cominciano con la nota formola statutum est, ovvero imperativamente prescrivono l’una o l’altra disposizione di dritto pubblico e privato. In nessun d’essi si fa menzione della potestà feudale della Casa Sanframondo, che in quel tempo era investita della città, né di altri precedenti baroni. Certo il capitano di Telese era un uffiziale dipendente dal signore della città, ma i giudici, i sindaci, i capitani, i baglivi, i camerarii e gli altri funzionari menzionati nello statuto, erano elettivi e le pene comminate ai trasgressori delle assisie comunali erano devolute ai baglivi ed ai camerari, anziché alla corte locale. La stessa custodia della città era affidata ai suoi naturali. Insomma dal tenore dello statuto si rileva che l’università di Telese, pur nei tempi della maggiore soggezione feudale, esercitava una funzione abbastanza libera, collegando così il proprio diritto municipale alle tradizioni longobarde, in essa osservate nei recedenti secoli e nella vita della vecchia contea. Epperò non è dubbio, pel tenore delle disposizioni dello statuto, che la sua originaria redazione sia di molto anteriore al 1426, allorché fu trascritto, quantunque manchino i dati per determinare l’epoca anche approssimativa della sua formazione. Non a caso, però la sua trascrizione, secondo il testo a noi pervenuto, avvenne nel 1426.
Accennai qui innanzi alla signoria feudale tenuta in Telese dalla famiglia Sanframondo, e per indagare sulla ragione, onde nel suddetto anno un pubblico notaio abbia avuto incarico di trascrivere lo statuto della città, sarà bene ricordare quella signoria nell’epoca che ci occupa. È noto per gli storici che a Nicolò Sanframondo, secondo conte di Cerreto, dopo che fu ribelle al re Ladislao per seguire le ragioni del duca Luigi d’Angiò, fosse restituito lo stato dallo stesso re, cioè Sepino, Telese, Riardo, Monterotaro, Sassinoro e Casa Selvatica. Una pergamena, da me ora donata, col codice del 1426 contenente il testo del nostro statuto, alla nascente Associazione Storica Regionale di Piedimonte d’Alife, prova infatti che il re Ladislao nel 30 agosto 1400 “actendentes fidei sinceritatem obsequendi promptitudinem quam vir magnificus nicolaus de Sancto flaymundo Cerreti Comes dilectus fidelis noster erga celsitudinem nostram gerit atque fervorem quem idem Comes in redducendo se noviter ad obedientiam et cultum nostre fidei prompte et constanter ostendit” glirestituiva la città di Telese ed il castello di Sassinoro, nel Molise, per sé “ac liberis suis heredibus utriusque sexus ex suo corpore legitime descendentibus natis iam et in antea nascituris”. Che la città di Telese ed il castello di Sassinoro lo stesso conte Nicola di Sanframondo, “post exortum hactenus et nunc etiam pullulans scisma in ecclesia sancta dei cepit et acquisivit, necnon tempore capitolorum per nos in dicto Comite seu alio eius nomine superius redductionem ad fidelitatem nostram celebratorum per nos et acceptatorum tenebat et possidebat et nun tenet et possidet”. È noto altresì che Guglielmo di Sanframondo, figliolo ed erede del conte Nicolò, fu ribelle alla regina Giovanna II, ma poscia, nel 1417, fu graziato con i suoi fratelli e nipoti, ottenendo la restituzione di Telese con Cerreto, Guardia Sanframondi, Cusano, Civitella, Ponte, Monterone, Faicchio, la Rocca cui i casali di Massa superiore ed inferiore, Fossaceca, Torella, Collealto e Castelluccio.