Gli Alcidi bronzei di Alife nel contesto del culto erculeo in Campania e nel Sannio

di Mario Nassa

‘HraklhV, popolarissimo eroe greco, dotato di una forza sovrumana, universalmente noto per i trionfi riportati nelle dodici fatiche, compiute al servizio di suo cugino Euristeo, mostrò, fin dai primi mesi di vita, i segni del suo straordinario vigore, strozzando con le mani due serpenti.

Denominato in etrusco Hercle e in latino, solitamente, Hercules, l’Alcide appare nell’epigrafia cultuale sannitica con gli epiteti di Hereklúí Kerriiúí nella tavola di Agnone e di Herclo Iovio nell’iscrizione osco-latina di Navelli (AQ).

All’itinerante protagonista di tante avventure, onorato di un notevole culto presso gli antichi, furono dedicate, ovunque, città e pagi, santuari ed aedes vie e stationes. Rilevanti, in area sannitica, sono il tempio italico di Civitella di Campochiaro, “con ragionevole certezza” attribuitogli dagli archeologi, il santuario sabellico tra Nola ed Avella e quello molto più tardivo, erettogli dai coloni beneventani presso il fiume Calore pro salute imperatoris Marci Aurelii Commodi, come fu inciso su una lapide ritrovata nelle vicinanze.

Il suo mito, spesso, si sovrappose ad analoghe divinità indigene tanto che è, ancora oggi, motivo di controversia se la sua presenza nel Pantheon romano sia dovuta ad una originaria figura italica o ad una localizzazione, anche su territorio latino, di gesta attribuite al nume straniero.

Soggetto molto ricorrente in arte, ha ispirato, in ogni tempo artisti, scrittori, musicisti, e poeti. Per la scultura, giova certamente ricordare la monumentale statua rinvenuta trent’anni fa ad Alba Fucens, come pure degne di menzione sono, invece per il Sannio, la metope del complesso cultuale del Sele con Eracle ed Euristeo, la piccola statua in pietra trovata a monte Vairano, presso Campobasso, e quella in marmo, di Sepino, mancante di varie parti che ricorda vagamente nella posa, il celebre esemplare “Farnesiano”. Vari sono i capolavori pervenutici, in Campania, anche dalla pittura a cominciare dal dipinto trovato in Ercolano nel 1761 di Ercole che strangola un leone fino a quelli, più numerosi, di Pompei che lo ritraggono o in compagnia di Iole, sua prigioniera, o del figlio Tèlefo o mentre salva la moglie Dejanira dal centauro Nesso etc., ma le sue imprese hanno adornato anche i modesti oggetti della suppellettile privata, come gli specchi, o i bei vasi fittili, presenti in tantissime collezioni museali. A Venafro “un nuovo e bello esemplare dei fondi di tazze calene con decorazione a rilievo” viene descritto da A. Maiuri.

Il suo nome, ripreso da alcuni imperatori (Commodo, Gallieno, Massimiano ed altri), per loro, si trasmise al primo mese autunnale, ad una flotta, a varie legioni e corpi ausiliari quali alae e cohortes, a portici e terme …

In Numismatica, è ovviamente scontata la sua presenza sulle monete delle colonie greche come Arpi, Bruttii, Metapontum, Heraclea, Lucania, Orrra, Tarentum, Uxentum, Locri, Croton, Camarina, Agyrium, Siracusae etc., ma anche a Roma la sua leggenda occupa una notevole presenza, con una multiformità di appellativi e tipi, sui conî, a cominciare dai quadranti repubblicani del III secolo a. Cr. fino alle monete imperiali del IV secolo d. Cr..

In Campania osserviamo che: a Teanum Sidicinum, la sua testa con leonté fa bella mostra sulle didracma d’argento; a Capua, clava e testa imberbe, diademata, compaiono su uncia, biunx e quadrans; a Napoli, la scena della lotta con il leone è sugli oboli d’argento mentre a Suessa, la stessa, è sui bronzi.

Per il Sannio, ricordiamo il sestante librale dell’irpina Meles, la tereuncia unciale, in bronzo, della frentana Larinum, l’obolo d’argento con la dicitura PERIPOLWN PITANATAN e uno dei denari coniati durante la guerra sociale.

Nel Sannio romanizzato, alcune decine di epigrafi concorrono ad affermarne il culto dalla meridionale Abellinum fino a Iuvanum, estremità nordica della nazione, ormai smembrata ed annessa a varie regiones.

Nei territori prossimi al Medio Volturno troviamo lapidi a Sepino, ad Isernia, a Capua e a Benevento, ed internamente ad esso, a Venafro, a Telese e ad Alife.

Testimonianze d’arte plastica di stile ellenico, in area sabellica, sono le svariate immagini di Ercole, sotto forma di piccoli bronzi, rinvenute, spesso casualmente, un po’ dappertutto, e giunte fino a noi dall’antichità. Nel Sannio, particolarmente, esse assommano a svariate decine, conservate nei musei di Pescara, Chieti, Sulmona, Campobasso, Benevento, Avellino, Napoli etc. ma tante anche, purtroppo, in case di privati.

Riguardo al Medio Volturno, conosciamo l’importante bronzetto di Venafro con dedica in osco rozzamente incisa sulla base; le statuette di Telese, Caiazzo e Dragoni; le molte ritrovate in passato, ed anche recentemente, a Compulteria; e, in ultimo, quelle di Alife.

Dal territorio alifano provengono, infatti, almeno tre esemplari raffiguranti il giovane eroe rivestito della invulnerabile pelle del leone di Nemèa, da egli strozzato in Argolide. È, questo, (insieme alla clava ch’era di quercia nodosa e grave) un suo classico attributo molto ricorrente nell’iconografia antica.

Di un primo, rinvenuto in un terreno del duca Onorato Gaetani, vi è questa minuziosa descrizione fatta dalla dott. A. Levi: “…Il bronzetto, è alto mm. 312. La gamba sinistra è stata restaurata; del piede destro manca la parte anteriore; nella mano sinistra semiaperta, che doveva reggere la clava, il pollice e l’indice sono frammentarî. È una aitante e asciutta figura di giovane, che poggia sulla gamba destra; la sinistra è piegata al ginocchio e lievemente scostata; la parte posteriore del piede, non nudo, ma calzato di leggero sandalo, è alquanto sollevata da terra. Nella mano sinistra regge un cantaro a lungo piede, un po’ inclinato, che sta per portare alla bocca, mentre la flessione all’indietro della parte superiore del corpo accompagna quest’atto col gioco di tutti i muscoli. La lavorazione delle forme è secca e nervosa; le proporzioni, dal basso ventre in su, un po’ esagerate rispetto alla lunghezza delle gambe. Una pelle di leone è legata alla vita, il muso cade sul davanti, dietro pende la coda, le zampe aderiscono ai fianchi. La testa, dai capelli corti e ricciuti, è adorna alla sommità d’una foglia d’edera, che sta a rappresentare schematicamente l’intera corona. La fronte, solcata di rughe, dà al volto un’espressione un po’ triste e un po’ dura, ma negli occhi e nella bocca semiaperta, a cui sta per essere accostato il bicchiere, ride la gioia del vino. E’ un Eracle bibace, un altro esempio di quella contaminatio, che avviene dal III secolo in poi, tra il tipo di Dioniso e quello di Eracle, che merita di essere posto accanto a molte altre rappresentazioni simili, e per alcune sue singolarità è forse degno di speciale rilievo …”.

Gli altri due, provenienti da Ailano, località Zappini, furono recuperati, nel 1926, dall’ispettore onorario prof. Enrico Villani e sono stati conservati, presso il museo civico di Piedimonte Matese, fino al Settembre 1973, quando furono trafugati.

Si pensava che non vi fossero illustrazioni delle statuine, ma la descrizione fatta dal Villani, sotto riportata, di una di esse, si identifica perfettamente con la foto che pubblico e che è stata tratta dall’archivio fotografico dell’associazione storica del Medio Volturno: “Linee armoniche e anatomicamente perfette nella tensione muscolare dello sforzo per assestare il colpo di mazza. La coscia sinistra è posta in avanti quasi per accogliere la maggiore elasticità, mentre il corpo posa, con tutto il suo peso, sulla coscia destra con la gamba leggermente piegata. Lo sforzo e la necessità di acquistare la elasticità ostile appaiono dal giro dei muscoli dorsali e dalla posa delle anche. Il braccio destro è sollevato e sul davanti presenta un ottimo sviluppo dei muscoli nello sforzo di lanciare il colpo. La mazza è fissata nel pugno e ribattuta in giù in modo da lasciarla muovere nella mano. Il braccio sinistro, alquanto fuori della linea del corpo, è allargato e pronto per parare il colpo avversario, avvolto com’è nella pelle di leone che ricopre la testa a guisa di elmo e legata al petto con le zampe anteriori. I piedi saldamente posti a terra forniti di peduncoli che servivano a fissare la statuetta su di una base andata perduta. In sostanza si presenta aitante e muscoloso con posa marziale. Tecnicamente perfetto, non ha che qualche sfaldamento sul collo del piede sinistro ed è ricoperto di una bellissima patina. È alto cm. 11,5”.

Nell’altra, simile bensì alquanto mutila, la pelle leonina non è arrotolata sull’avambraccio sinistro ma penzola “in largo svolazzo” in modo del tutto conforme a tante altre conosciute.

Sul monte Cila, nel 1928, fu ritrovato un altro “singolarissimo bronzetto”, celebre con l’appellativo di “Corridore”. Il Soprintendente prof. Amedeo Majuri, che lo studiò, lo descrisse come “…un giovane efebo nudo, baldo e vigoroso nella snella e asciutta magrezza delle membra, sereno e confidente nell’espressione già quasi trionfante del volto e della persona (…) il braccio sinistro con la mano serrata al fianco, mentre il braccio destro sollevato in alto regge, nella mano chiusa, un cerchio di lamina bronzea punzonato, a sbalzo, da minute borchiette puntiformi”.

Viene da pensare alla raffigurazione della celebre fatica nella quale Ercole, per desiderio della figlia di suo cugino, Admeta, sottrasse la mitica cintura di Ares ad Ippolita, regina delle Amazzoni.

Probabilmente era un Ercole anche il “guerriero di bronzo” di Raviscanina, recuperato, alla fine del secolo scorso, da Achille De Cesare nel luogo detto le Grotte.

Repertorio bibliografico del Medio Volturno, integrato con alcune opere nazionali ed estere relative al Sannio. Voce: Ercole.

Categorie

Argomenti

Contenuti correlati

Storia di un Museo

In Solidarietà di Polizia - Mensile di informazioni, attualità e cultura - Organo ufficiale del...