Prefazione
L’attaccamento alla terra dove sono nato e cresciuto e dove ho svolto parte della mia attività di insegnante, mi induce a scrivere queste poche righe per non disperdere la memoria di quelle cose che pure sono state importanti nel passato e che vanno non solo rispettate, ma anche continuate alla stessa maniera dei nostri padri.
La mia carriera scolastica ha avuto inizio nel lontano 1946 proprio nel casale di Casalicchio con una scuola sussidiata dal Comune di Pontelatone, quando l’analfabetismo era veramente a livelli molto bassi.
Né si poteva definire migliore la situazione del locale adibito ad aula scolastica, che era del tutto precaria, con una suppellettile inadeguata, senza arredi e priva di luce elettrica, allora inesistente nell’intera zona.
Alla pulizia dovevamo provvedere di persona assieme agli alunni.
Il disagio, dunque, c’era.
Per il riscaldamento avevamo avuto in dotazione dal Comune un braciere ed una piccola scorta di carboni, che ovviamente era problematico utilizzare.
Il Sindaco pro-tempore era l’indimenticato dott. Francesco Cammuso, al quale stava molto a cuore il problema educativo.
Si era, comunque, nell’epoca della ricostruzione materiale, morale e culturale del nostro Paese e tutto passava in second’ordine.
In noi era preminente la gioia di disporre, comunque, di una scuola, dove ci si poteva incontrare ed imparare a leggere e scrivere.
Le ferite della guerra da poco terminata erano ancora vive, ma urgeva darsi da fare nell’interesse di tutti. Era una scuola senza specifici programmi e orari, ma i progressi si facevano e questo contava.
Si praticava una sorta di mutuo insegnamento come a Port Royal nel XVIII secolo e successivamente al tempo della prima rivoluzione industriale nelle fabbriche inglesi per questione di rapidità ed economia.
L’anno dopo, 1947/48, ebbi a Treglia un corso popolare statale tra quelli creati appositamente per combattere l’analfabetismo, ma anche per alleviare la disoccupazione.
Gli anni successivi mi videro impegnato nei famosi corsi di richiamo scolastico e centri di lettura, che avevano il precipuo scopo di avvicinare la gente alla cultura.
La prima nomina in ruolo mi fu conferita dal Provveditorato agli studi di Caserta all’inizio dell’anno scolastico 1955/56 presso la scuola elementare statale di Savignano, da poco istituita, dipendente dal Circolo di Formicola, sapientemente diretto dal direttore didattico Gaetano Libertino, mio indimenticabile maestro in quinta elementare e successivamente agli esami di ammissione alla scuola media, titolo allora richiesto per l’iscrizione.
Fu lui che qualche giorno dopo l’assunzione di servizio mi fece la prima visita didattica, motivata più da affetto che da altro, poiché abbracciandomi mi volle porgere gli auguri di una brillante carriera.
Per la verità egli è sempre stato il mio modello da seguire, sia come insegnante che come direttore e credo che questo sia stato il segreto per me se sono riuscito a superare indenne tutte le prove legate all’attività docente ed a quella di dirigente.
Successivamente, poi, ho insegnato da titolare a Treglia per diversi anni, prima del trasferimento a Piedimonte Matese, avvenuto il primo di ottobre del 1968.
Questo fugace accenno alla mia attività educativa nella zona trebulana vuole significare che ho avuto modo in tanti anni di capire la spiritualità della gente del luogo a cui del resto ero legato dalle comuni origini.
Parlare di culto, dunque, è impresa ardua, ma alla luce delle mie conoscenze spero di non fallire. Posso dire che i Trebulani hanno avuto sempre vivo il senso della divinità.
Già nella Trebula pagana avevano il culto di Diana, dea cacciatrice, a cui era dedicato un tempio del quale si possono ancora scorgere le rovine, anche se coperte dalla boscaglia, ai piedi del monte Frigento, dove sgorga la sorgente “Ciesco”, che ora alimenta la rete idrica di Treglia.
Significativa l’intestazione a Diana di quel tempio, ambientato forse non a caso in una zona boscosa, una volta certamente ricca di cacciagione.
Con l’avvento del Cristianesimo, poi, i luoghi di culto si moltiplicarono nell’area trebulana.
Nei primi secoli del secondo Millennio era famosa la Chiesa di S. Secondino, parrocchia, di cui è ancora possibile individuare i resti.
Da una verifica fatta nel 1620 delle Chiese della diocesi caiatina risulta che a Treglia esistevano anche le cappelle dell’Assunta, della SS. Trinità e di S. Giovanni Battista, ma col passare dei secoli se ne sono perse le tracce.
La storia di S. Secondino è avvolta un poco nella leggenda.
Si sa che egli è venerato in vari centri di Terra di Lavoro, in particolare a Capua e dintorni. Si può identificare con quel Secondino che figura nel gruppo dei 12 Vescovi africani espulsi nel corso della persecuzione dei Vandali, che stettero in Italia dal 455 al 533, anno in cui furono sconfitti da Belisario.
In sostanza egli è venuto in Italia presumibilmente nella prima metà del 400’ e sarebbe morto a Troia di Puglia, città di cui fu Vescovo e dove nel sec. XI fu rinvenuta la sua tomba che diede il via alla sua venerazione, che evidentemente coinvolse anche Treglia.
Tanto è riportato dalla Enciclopedia dei santi, Città Nuova Ed. Vol. XI pag. 811.
Era anche attiva la Chiesa di S. Andrea a Casalicchio, parrocchia, e la cappella di S. Vito a Savignano, fondata, come si sa, da Francesco Sabino.
La Chiesa del Carmine a Treglia fu eretta nel 1645 da Francesco Parillo.
Da quanto esposto si può comunque desumere che la fede dei Trebulani è stata sempre intensa e rivolta essenzialmente ai principali dogmi, come l’Assunta e la Trinità, oltre che al precursore del Cristianesimo quale era il Battista.
Ritengo che la venerazione per Maria SS. del Monte Carmelo derivi proprio dalla devozione alla Madonna sempre viva nel paese.
E’ stata sempre Lei, infatti, ad essere invocata nei momenti più difficili della vita e le Sue grazie non sono mai mancate.