Dissertazioni istoriche delle antichità alifane,
1776 §p. 229)
di Gianfrancesco Trutta
Di un altro appena ne restan gli avenzi fra la Terra di S. Angelo, e quella di Baja, detto perciò il ponte di Baja, e volgarmente il Ponte dell’Inferno. Non è lontano da Alife più di miglia quattro, e si conosce dalle sue rovine, ch’era a due ordini di archi, l’uno sopra dell’altro, cioè uno di essi più basso, sotto di cui la corrente camminava, e l’altro con archi grotteschi, su di cui si passava. Avevano gli antichi in costume di fabbricare i Ponti in tal guisa, come cel dice Sidonio (Epist., I, 5): “Pontes quos Antiquitatis a fundamentis ad aggerem usque, calcbili silice, crustatum, crypticis arcubus fornicavit”. E questo perché oltre le Pile, che si vedon in mezzo del fiume a fior d’acqua, a sinistra di esso sulla ripa resta un ben alto masso, che si conosce essere stato un pilastro del secondo ordine, e sotto l’acqua da’ Nuotatori più volte si son viste alcune concamerazioni colle lor volte, che esser altro non possono che alcuni di essi archi grotteschi cadutivi. E per due ragioni è da dirsi che fu costrutto sì alto, e perché non fusse mai soverchiato dall’ingrossamento del fiume, e perché vi passasse di sopra a livello l’Acquidotto, che altrove si è detto vi passasse per portare a Baja ed alla mirabil Piscina le acque del nostro Torano. Restavi nella ripa a destra un saldissimo sprone di pietre scarpellate, e più sotto un mezzo pilastro caduto con un poco d’incurvatura dell’arco. Nell’altra ripa a sinistra vi rimane una pila, al mezzo della quale essendo mancato il fondamento, vedesi tanto spaccata, che l’acqua vi passa per entro. Da un pilastro rasato a piana terra conoscesi che era egli di larghezza, che potea di sopra passarvi una via di palmi dodici franchi del suddetto canale e ripari. Per questo Ponte non dubito, che andassero sul Contado Falerno quei Sanniti, che ritornando a casa carichi dipreda, sul Volturno attendaronsi, ed ivi fur di notte sorpresi e disfatti dal Consolo Sempronio, e ricuperata la preda…