Cronaca di quattro secoli: XVII

Tratto da Cronaca di quattro secoli 
In Annuario ASMV 1979 pp. 187-203
di Gianfrancesco Trutta

Prima parte

[La Cronaca di quattro secoli di Gianfrancesco Trutta fu pubblicata, relativamente al Quattrocento ed al Cinquecento, dal prof. Dante B. Marrocco, coadiuvato dal dott. Rosario Di Lello e dal prof. Giuliano Palumbo, negli Annuari 1977 (pp. 254-279) e 1979 (pp. 187-203). Seguì un lungo periodo di interruzione fino agli inizi degli anni Novanta quando il professore mi chiese di aiutarlo nella trascrizione di parecchi fogli manoscritti resimi in fotocopia perché si diceva intenzionato a dare alle stampe i restanti due secoli, già da lui trascritti da p. 181 fino a p. 208. Dopo qualche settimana di lavoro potetti perciò consegnargli il lavoro dattiloscritto che egli però, per vari motivi, finora, non ha più ritenuto di pubblicare, nonostante l’interesse manifestato nel tempo da vari studiosi che, prendendone visione, lo sollecitavano a farlo. Ultimamente, nel riordinare alcune cartelle, la casualità ha voluto che il dattiloscritto mi ritornasse fra le mani. A questo punto non ho resistito a riversarlo in formato digitale, in modo da poterne permettere la consultazione a quanti ne sono tuttora interessati. Per correttezza mi esimo dal commentarlo, facendo solo notare che a p. 241 l’autore dà l’indicazione dell’anno in cui sta scrivendo (il 116° dal 1665) ossia il 1781.]

Secolo XVII

Prefazione

Non andarono le onorificenze, a cui salì S. Maria Maggiore di Piedimonte, nell’esser fatta Collegiata, col suo conspicuo Capitolo di dodici canonici, uno dei quali Dignità, e l’acquisto dei beni temporali che per molti legati pii andava di mano in mano giornalmente facendo, senza il solito intoppo degli scogli, nei quali suole inciampare chi corre a spron battuto. Dacché monsignor Giacomo diede l’esempio malvagio di volerla privare del diritto che aveva di eligere i suoi Capitolari nelle mancanze di essi, e fu causa che poi ne rimanesse spogliata per sempre, come si è detto, si le svegliò contro l’invidia e l’emulazione più fiera, di modo che altri incominciarono a contrastarle i suoi possessi e prerogative.

Altri diedero ansa ai malevoli di vessarla con ingiusti litigii nei tribunali della Curia Romana. Altri, appoggiati a false ed apocrife carte, intrapresero a calunniare la sua antichità e maggioranza; sebbene, grazie a Dio, ella trionfò sempre colla schietta verità delle maligne bugie, ed uscì sempre vittoriosa da qualunque più pericoloso cimento. E questi appunto son civili combattimenti, accompagnati da trionfi e vittorie in ogni Tribunale, così ecclesiastico come secolare, che serviranno di materia alle memorie istoriche di S. Maria, che ci apparecchiamo a registrare in questo XVII secolo e in quello che segue.

Capitolo I

Brighe col Vescovo Fra Modesto

Dacché nel 1598 Fra Modesto Gavazio o sia Guazzetto de Ferrara, dell’Ordine dei Conventuali di S. Francesco, fu eletto Vescovo di Alife, e ne venne al possesso, mostrò di essere uomo di cervello torbido ed inquieto, anzi litigioso, contro il precetto dell’Apostolo che dice: “Oportet Episcopum non esse litigiosum”. Lo perché, dopo esser stato per breve tempo in pace con sé stesso, e col Clero e cogli Uomini di Piedimonte, prese con l’uno e con gli altri tante brighe e litigi, che non potendosi per la multiplicità e stravaganza comporre a patto veruno, fu bisogno ai Canonici di S. Maria Maggiore ed alla Università di Piedimonte far capo alla S. Congregazione dei Vescovi e Regolari, esponendo gli aggravi che ricevevano da detto Prelato per le di lui esorbitanti pretensioni, che furono ristrette in non meno di venticinque dubbi seguenti:

Dubbio I. Se dovevano i 12 canonici di S. Maria, quando il Vescovo si portava alla chiesa con la cappa per cantare la Messa pontificale, andar tutti ad accompagnarlo, o per metà, restando gli altri in chiesa?
Risposta: Venisse in tal caso accompagnato da sei canonici, e gli altri sei rimanessero al servizio della chiesa.

Dubbio II. Se la Messa conventuale dovesse cantarsi nei giorni festivi prope meridiem?
Risposta: L’ebdomadario nell’inverno aspetti sino alle 17 ore a cantarla; e nella estate all’ora 12 e mezza italiane.

Dubbio III. Se nelle processioni e nelle esequie, nei tempi cattivi, si potesse far uso di cappella e cappa?
Risposta: Nei tempi cattivi (nevosi, piovosi, ventosi) si potesse far uso di cappello e cappa.

Dubbio IV. Se la cura delle anime dovesse esercitarsi dall’Arciprete?
Risposta: I canonici in ogni principio d’anno deputassero due di loro, da approvarsi dal Vescovo, per amministrar la cura, durando tutto quell’anno, potendo includere anche l’Arciprete.

Dubbio V. Se uno dei dodici canonici fosse obbligato a risiedere nel Casale di San Potito?
Risposta: Vi si poteva deputare un prete curato ogni volta che gli uomini di quel luogo fornissero abitazione, olio per la lampada e tutti i frutti certi ed incerti della chiesa.

Dubbio VI. Se il Vescovo potesse servirsi di carceri senza finestre ed altri comodi?
Risposta: Il Vescovo si servisse del campanile per carcere, e nelle altre facesse finestre e comodi.

Dubbio VII. Se la curia potesse servirsi di tassa propria per gli atti?
Risposta: Si trovasse la tassa antica dell’Attuario e si mandasse copia in Roma con quella della Metropoli di Benevento.

Dubbio VIII. Se i sagrestani potessero essere costretti a fare citazioni?
Risposta: Poteva astringere i sagrestani a farlo, se non vi fossero altri, ma solo quelli ben ordinati in sacris.

Dubbio IX. Se potesse esigere sportula dalla chiesa della SS. Annunziata?
Risposta: Non prendesse nulla, né da essa, né da S. Maria.

Dubbio X. Se potesse esigere due galline da chi contraeva matrimonio?
Risposta: Non potesse farlo se non sponte dantibus.

Dubbio XI. Se potesse esigere oltre il solito da morti ab intestato?
Risposta: Non dovesse prendere più del solito e fosse esortato a dare ai poveri quanto pigliava.

Dubbio XII. Se per la licenza di mercato festivo potesse chiedere diritto?
Risposta: Non potesse chiedere alcun diritto.

Dubbio XIII. Se potesse ingiungere l’osservanza della festa di S. Francesco come precetto?
Risposta: Cessasse da sì strano rigore.

Dubbio XIV. Se potesse scomunicare per non osservanza delle feste?
Risposta: Assolvesse i scomunicati.

Dubbio XV. Se potesse impedire ai congiunti di decidere esequie?
Risposta: Non dovesse impedire; se voleva trattenere il corpo 24 ore, lo facesse restare in chiesa.

Dubbio XVI. Se potesse proibire ai parrochi di pubblicare le denunzie senza sua licenza?
Risposta: I parrochi potessero farlo senza licenza.

Dubbio XVII. Se al Vicario spettasse parte doppia anche senza partecipazione?
Risposta: Nulla spetta se non interviene.

Dubbio XVIII. Se fosse obbligato a tenere il Depositario delle multe e se potesse distribuirle a suo arbitrio?
Risposta: Dovesse farlo e destinare le multe a luoghi pii e poveri.

Dubbio XIX. Se potesse proibire di suonare a morto senza licenza?
Risposta: Non necessaria la sua licenza.

Dubbio XX. Se potesse ridurre tutto il suo grano in farina per venderlo a prezzo maggiore?
Risposta: Lo vendesse senza molirlo.

Dubbio XXI. Se potesse esigere multa pro male ablatis anche da chi non lasciava nulla?
Risposta: Non esigesse nulla se nulla fu lasciato.

Dubbio XXII. Se potesse vietare di dare interrogatori in ripetizione ai testimoni?
Risposta: Lasciasse darli a chi facesse il Fisco, essendo già in spesa.

Dubbio XXIII. Se potesse far franchi i chierici più di quanto spettasse alla loro parte?
Risposta: Non potesse farlo.

Dubbio XXIV. [non specificato nel testo]
Risposta: [non specificata nel testo]

Dubbio XXV. Se potesse abusare della Franchigia della sua Casa?
Risposta: Non potesse farne uso oltre il necessario, né dar occasione a sospetti.

Per queste risoluzioni tutte di dubbi, fatte dalla S. Congregazione contro la mente di Monsignor Gavazio, il quale, indispettito all’estremo, non potendo sfogarsi contro l’Università, si volse contro i Canonici di S. Maria… arrivando a trasmettere in Roma una sua sospetta Visita del Casale di San Potito, da cui faceva risultare un pessimo stato della chiesa e della cura delle anime. E così, nonostante la precedente decisione favorevole a S. Maria sul quinto dubbio, egli ottenne un decreto che confermava il decreto di Visita, privando i Canonici di S. Maria della chiesa di San Potito, che fu eretta in Parrocchia separata, con un proprio parroco, come avveniva prima della sua annessione a S. Maria.

Capitolo II

Smembramento di San Potito da S. Maria, 14 Apr. 1601

Perché recava sommo incomodo ai Canonici di S. Maria dover ciascuno di essi ogni dodici settimane andare ad assistere una in S. Potito a quella cura; pensando al proprio comodo e non al pregiudizio della Chiesa, accettarono il decreto di Roma, e fu eretta di nuovo quella Chiesa in Parrocchia, e provveduta subitamente in persona di D. Pietro Jacobucci, con Bolla di esso Monsignor Fr. Modesto Gavazio in data dei 14 Aprile 1601, come apparisce dall’Istrumento stipulato il dì seguente da Notar Prospero Paterno, che gliene diede il possesso.

Ed ecco uno dei mali effetti dei provvedimenti del Vescovo Angelo, con uno de’ quali, avendo soppresso le Rettorie, o siano Parrocchie di S. Angelo, S. Pietro, S. Benedetto e S. Potito, ed avendolo con dabbenaggine sofferto quei Parrocchiani, e soprattutto quelli del Casale di S. Potito, essendo quei poveri Paesani obbligati a venire a prendere i Sagramenti in S. Maria col sole ardente, colle piogge, colle nevi, coi venti e colle tempeste, per vie disastrose, per lo spazio quasi di due secoli, quanti dal detto anno 1417 ne scorsero sino al 1601; ed essendosi per tanto tempo sagrificati i Preti di S. Maria (poi divenuti Canonici) nel portarsi fin là di notte e di giorno, e farvi dimora ciascuno una settimana, fuori della propria casa, in qualche miserabile tugurio, giacché quei popolani erano sì poveri, che non avevano modo di dar loro abitazione decente, né l’olio per la lampada, e poi dopo undici altre settimane tornarvi da capo. Finalmente fu d’uopo che quella Popolazione venisse dismembrata dalla loro cura, ed erettavi una Parrocchia rurale. Benfatto. E se prima vi accadevano disordini di morirvi alcuni senza ministrarseli i Santi Sagramenti, e prestarseli l’assistenza negli ultimi periodi della vita, oh! quanto stretto conto ne avrà dato a Dio il Vescovo Sanfelice e la dama Sanseverino!

[Nota: la parte seguente del manoscritto contiene numerose cancellature e segmenti illeggibili. I passaggi tra parentesi quadre indicano sezioni non completamente decifrabili o corrotte nel manoscritto originale] [segue cancellatura] “Un paese il più infelice del mondo. Forse così [s.c.] ho avuto in esso [s.c.] lo stento a credere; e con ragione; perché si può chiamare [s.c.] una volta casale di Piedimonte, mentre tiene attorno deliziosi giardini, feraci terre, spaziose campagne? Giudicalo tu stesso, [s.c.] …dia dalla tua [s.c.] tenute dal tuo manomesso [s.c.], e può almen supporsi esser stato una volta [s.c.] potere [s.c.] di S. Maria [s.c.], ed una stilla [s.c.].” È stato antico costume dell’asserto [s.c.] reso [s.c.] di case, [s.c.] allocarle [s.c.] ancorché fossero stati [s.c.], e questo è chiaro segno di [s.c.] “Mi rincresce [s.c.] d’altra [s.c.]”. Non capisco bene forse [s.c.] il canonico ebdomadario, obbligato a fare la sua settimana in S. Potito [s.c.] per la S. Chiesa [s.c.] e quante volte una popolazione deve dotare una chiesa [s.c.]. Se sempre si dasse [s.c.] Dunque debbe darsi [s.c.] se si da a Dio, certamente è niente, perché tutto suo: ma volendosi dare [s.c.] si da, e si debbe dare [s.c.]. Non è così? Dunque [s.c.] …ci di quel tempo a far tanti [s.c.]. Ebbero tutti i beni [s.c.] …chia [s.c.] capisco, capisco bene: i [s.c.] si avrebbero voluto lagnare, perché [s.c.] avessero permesso di godere [s.c.] servire. Oh Dio buono! E avessero detto chiaramente [s.c.] perché forse gli sarebbe stato concesso più di questo. Conchiudiamo questa [s.c.] fatica, [s.c.] difende al fine [s.c.]”

Capitolo III

Delle brighe per la cura delle anime

Avendo la S. Congregazione dei Vescovi e Regolari al IV dubbio propostole nella causa con Monsignor Gavazio, se la cura di S. Maria dovesse esercitarsi dall’Arciprete, giustamente risposto di no, sulla ragione che l’Arciprete era dignità da Capitolo, e non Arciprete curato, e perciò che i Canonici in ogni principio di anno deputassero due di loro (potendo deputare lo stesso Arciprete) da approvarsi dal Vescovo, per amministrare la cura, e questi durassero almeno tutto quell’anno senza mutarli, acciò si sapesse a chi ricorrere nei bisogni.

Si previde da detti Canonici che questa, sebbene pareva vittoria per essi, era perdita, a cagione di quelle parole “da approvarsi dal Vescovo”. Erano essi male avvezzati, perché prima, quando erano rettori delle Parrocchiali, non avevano bisogno di altra licenza del Vescovo per amministrare i Sagramenti; e dal Vescovo Angelo (Reg. 2) era stata riservata al prete, primo beneficiato nella Chiesa, la potestà di ascoltare le confessioni dei Parrocchiani, e conferire loro i Sagramenti della Chiesa. E perché primo beneficiato nella Chiesa, anzi Rettore di S. Maria si reputava l’Arciprete, egli ancora sentiva le confessioni, e gli altri Sacramenti amministrava, senza altra approvazione. (Reg. 3) E perché dal medesimo Monsignor Angelo si era detto che si dovessero stabilire due o tre Patini con la facoltà di ascoltare le confessioni dei Parrocchiani in ogni chiesa, subito che essa fosse vedovata di tutti gli antichi Preti e Cappellani che aveva, ecco fatta, senza approvazione del Vescovo, una turba di curati, come Patini di S. Angelo, S. Pietro, S. Benedetto, S. Potito, S. Giovanni, e S. Maria. (Reg. 6) E perché ancora lo stesso Monsignor Angelo ordinò che i due Procuratori da farsi dal Clero fossero esaminatori degli ordinandi, i medesimi si presero anche la facoltà di dare i Sagramenti. Insomma erano più confessori che Canonici e Preti, e Dio voglia che tutti fossero stati canonici! Ad ogni modo, pensando di deludere quelle parole “da approvarsi dal Vescovo”, a dì 14 Marzo del detto anno 1601, elessero per Curati D. Gio. Battista Scaramuzza e D. Giov. Vincenzo Genovese, Canonici Procuratori ed Economi; e conclusero di eleggere in avvenire nella Cura i Procuratori ed Economi, ita ut la cura predetta vada sempre annessa e connessa nelle persone dei Canonici, e siano persone idonee ed approvate dall’Ordinario, come il tutto apparisce da pubblico Istrumento stipulato lo stesso giorno da Notar Achille de Parrillis.

Credevano con ciò i buoni Canonici gabbare l’accorto Vescovo, l’accorto Frate, ma egli gabbò essi, dissimulando per tutto quell’anno il dispetto che nutriva, perché non si fosse in perpetuo annessata la cura delle anime all’Arciprete. All’incontro, i Canonici di S. Maria, intendendosela ancora con i Canonici dell’Annunziata e di S. Croce, nel primo giorno dell’anno seguente 1602, non fecero elezione di Curati come dal decreto della S. Congregazione ordinato veniva, credendo che potesse aver luogo quel pasticcio di venir eletti in perpetuum i Procuratori ed Economi. Ma non fu pigro il Gavazio, perché a 3 di Gennaio del detto anno 1602 pubblicò l’Editto che, dovendosi secondo l’ordine della S. Congregazione proporre dai Reverendi Canonici dei Capitoli di S. Maria, dell’Annunziata e di S. Croce due sacerdoti particolari, i quali almeno per tutto l’anno avessero a tenere la cura delle anime, acciò sapessero i Parrocchiani a chi ricorrere per l’amministrazione dei Sagramenti, essi Canonici dei tre rispettivi Capitoli gli proponessero nel termine di tre giorni persone atte, idonee e sufficienti per detta Cura; avvertendo i medesimi che, se in detto termine non le avessero presentate, o avessero presentato persone insufficienti o non idonee ad esercitare detta carica, egli avrebbe proceduto a detta elezione, assegnando agli eletti quanto gli paresse conveniente dei comuni frutti di dette Canoniche.

Per la qual cosa, stimando i Canonici di tutti e tre i suddetti Capitoli non esser loro espediente imbarazzarsi in nuove liti, chinarono il collo al nuovo giogo (tanto più che i decreti emanati dal Concilio Tridentino gli erano contrari), e si contentarono di essere spogliati del loro antico possesso, di non esser soggetti ad esame; e così ancora a quella elezione in perpetuum che per la detta cura fatto avevano dei Procuratori del Clero. Sicché, avendo i Canonici di S. Maria eletti canonicamente per Curati per detto anno 1602 due loro Canonici, dottori dell’una e dell’altra legge, cioè D. Torquato Saccente e D. Angelo delle Nozze, e presentatigli al Vescovo, vennero approvati, e furono ammessi dal Vicario generale di Monsignor Gavazio per la qualità delle loro persone senza esame veruno. Non così però fu fatto per D. Nicola Di Grazia e D. Ovidio Nelli, curati eletti dal Capitolo dell’Annunziata e presentati a detto Vicario generale, che pur li ammise: il primo come trovato negli esami satis competenter instructo e come di età matura ed esercitato nella cura delle anime; e il secondo solo come satis competenter instructus. E lo stesso avvenne per D. Bonifacio della Zàzzara e D. Luigi Natalizio, curati eletti dal Capitolo di S. Croce, ammessi come quelli che nell’esame avevano competentemente risposto ai casi loro proposti. Che si vuol fare? Pazienza. Questo sì, che al presente da molto tempo sta in uso: che quando gli eletti curati siano confessori dell’uno e dell’altro sesso, soglionsi approvare dalla Curia Vescovile a vista del solo foglio della loro elezione; quando poi non abbiano tal requisito, sogliono essere esaminati, o, essendovisi cosa in contraria, ordinarsi nuova elezione.

Capitolo IV

Secondo Capitolo generale celebrato in S. Maria Maggiore di Piedimonte

Dopo di che nel 1560, in tempo di Papa Pio IV, per ordine di lui fu carcerato in Roma D. Ferrante Ezgarlor, Conte di Alife, e poi condannato a morte nel 1561, e decapitato coi suoi complici, essendo Alife confiscata per ordine del Re Filippo II. Non vi fu male che non sostenne dai soldati di lui, uniti a quelli del Pontefice, mandati a castigo come città nemica e complice del reato del suo padrone disgraziato. Saccheggiata e desolata, abbandonata dai suoi cittadini che fuggirono altrove, ne lasciò ancora il dominio il Vescovo, che si ritirò in Piedimonte, senza avervi però ancora casa propria, come fecero il Rossi, il Santorio, il Cini ed il Gavazio, il quale, come frate mendicante, stando in estremo spiantato anche perché le rendite della Mensa vescovile erano minorate per la mancanza dei coloni dei terreni e degli inquilini delle case e rispondenti delle enfiteusi (non essendo allora dalla Chiesa approvata ancora la vendita delle annue rendite), e caduto in infermità corporale, nel 1603 risolse portarsi in Ferrara sua patria.

Onde, per fare questo viaggio, dimandò ai Capitoli di S. Maria, dell’Annunziata e di S. Croce un abbondante sussidio caritativo. Perciò, sotto il dì 10 Settembre di detto anno, si trova convocato nella chiesa di S. Maria un secondo Capitolo generale dei Capitoli di Piedimonte, Vallata e Castello (giacché il primo fu quello della transazione dello spoglio, nell’anno 1587), con l’intervento di dieci canonici della prima, sei della seconda e altri sei della terza.

Per S. Maria: D. Torquato Saccente, dott. D. Leonardo Paterno, D. Giovanni Angelo delle Nozze, dottore, D. Solone Iannucci, D. Marco Andrea de Parrillis, D. Vincenzo Genovese, D. Gio. Angelo Confreda, D. Leonardo Paterno (bis), D. Gio. Antonio Costantini, e il chierico Geronimo de Amico.

Per l’Annunciata: D. Nicola de Grazia, D. Ovidio di Lello, D. Francesco Paterno, D. Annibale Brando, D. Daniele Scaramuccia e D. Vincenzo Caicchia.

Per S. Croce: D. Biagio di Giovannantonio, D. Biagio della Zazzera, D. Luigi Natalizio, D. Ferdinando Ferrazza, D. Fabio de Lello e D. Tiberio Palumbo.

Essi Canonici (intervenienti anche a nome di tutto il Clero di Piedimonte, della Vallata e di Castello) asserirono aver disposto donare, siccome donarono per loro mera liberalità e benevolenza al Rev.mo Fr. Modesto Guazzetto, Vescovo di Alife, che coll’aiuto di Dio intendeva andare fra breve alla sua città di Ferrara, la terza parte della rata a ciascuno di essi canonici beneficiati ed altri del clero spettante per la mercede e paga da farsi a ciascuno di loro dall’Università di detta Terra, in vigore della transazione fatta con la stessa Università. Ita ut più facilmente la detta loro deliberazione e donazione si deducesse ad effetto, costituirono procuratori ad esigere dette rate: D. Gian Vincenzo Genovese, Canonico della Chiesa di S. Maria; D. Ferdinando Ferrazza, Canonico della Chiesa di S. Croce; e un Canonico della Chiesa dell’Annunziata della Vallata, per darle e consegnarle al predetto Rev.mo Signor Vescovo.

Noto qui come i Canonici di Piedimonte furono perfetti osservatori del Divino Precetto che dice: “Benefacite his qui oderunt vos”, qual si fu Monsignor Gavazio; ma noto ancora che da questa loro liberalità incominciò l’uso di pretendersi da ogni nuovo Vescovo un simile contributo, a cui non spetterebbe, stante che la Mensa vescovile di Alife non è più nelle antiche miserie, e raccoglie per i terreni posti a cultura annualmente più di scudi duemila. Con tutta però questa liberalità che il Clero di Piedimonte usò col Gavazio, fu nella necessità, nel 1608, di ricorrere di nuovo alla S. Congregazione dei Vescovi e Regolari perché gli facesse osservare i decreti del 1601, che gli confermò addì 10 Ottobre di esso anno. In esso prelato se ne passò all’altro mondo.

Capitolo V

Delle brighe coll’Arciprete e Canonici di S. Maria Maggiore di Piedimonte per le preminenze

L’altro disordine, nel principio di questo secolo (1618), nella Collegiata Chiesa di S. Maria Maggiore di Piedimonte, fu la focosa lite accesasi tra il dottor D. Giovan Angelo delle Nozze, Arciprete di essa, e fra gli altri Canonici suoi compagni. Questi ultimi, appoggiati agli ordinamenti III e IX del Vescovo Angelo, che stabilivano che il cantarsi le Messe nei dì festivi spettasse al Canonico Ebdomadario (eccetto i giorni solenni, nei quali spettava all’Arciprete in quanto Dignità, secondo l’uso delle chiese dell’Orbe cattolico), ricusavano di cedergli il luogo quando loro spettava l’ebdomada.

Non si poté questo litigio smorzare dall’Ordinario, che allora era fra Valerio Seta da Verona, dell’Ordine dei Servi, il quale, con molta insistenza, indusse ambedue le parti a far compromesso nella persona di Monsignor D. Marco Antonio Genovese, Vescovo di Isernia, napoletano ma nato in Piedimonte e battezzato proprio nella Chiesa di S. Maria. Costui, che fortunatamente si trovava a Piedimonte, ascoltate le parti e visionate le Scritture, pubblicò il 18 dicembre 1618 un Laudo.

Disse, in sostanza, di procedere come Arbitro, Arbitratore ed Amicabile Compositore, con potestà di decidere de jure et de facto, e come Vicegerente dell’Ill.mo e Rev.mo Vescovo di Alife. Sentenziò che il Rev.mo D. Gio. Angelo delle Nozze, Canonico ed Arciprete, dovesse preferirsi a tutti i Canonici di S. Maria Maggiore e a tutto il Clero di Piedimonte e dei suoi Casali, nello stallo, nel Coro, nella voce in Capitolo, nel camminare, nel sedere, nel votare, nel sottoscrivere e in ogni altro atto capitolare ed extra capitolo. A lui spettava il canto dei Vespri e delle Messe nei giorni solenni del SS. Natale, di Pasqua di Risurrezione, di Pentecoste e del SS. Corpo di Cristo, la delazione del SS. Sacramento, la benedizione delle Candele, delle Ceneri, delle Palme, del Sabato Santo, e l’intonazione della prima Antifona in Coro. Tutto ciò, per decoro e splendore della Chiesa, e a vantaggio della devozione dei fedeli.

Per gli altri giorni dell’anno si doveva osservare la consuetudine della Chiesa, e gli atti spettavano all’Ebdomadario o ad altri, come da uso consolidato. Inoltre, il Vescovo Genovese pronunciò che l’Officio dell’Arcipretato dovesse essere unito e annesso al Canonicato, ovvero alla Prebenda del più antico Canonico, il quale avesse più a lungo servito la Chiesa, con riserva dell’assenso pontificio, se necessario. Stabilì anche che l’Arciprete, per godere i frutti e le distribuzioni in Coro, dovesse intervenire con l’abito canonicale, con cotta sopra il rocchetto o anche senza rocchetto; mentre fuori dal Coro doveva usare il rocchetto coperto dal pallio o dalla mantelletta. Il Laudo fu letto e pubblicato il giorno seguente, 19 dicembre.

Malgrado ciò, i Canonici si appellarono alla Sacra Congregazione dei Riti, che il 16 gennaio 1620, su relazione del Cardinale Crescenzio, decretò che il Laudo proferito dal Vescovo di Isernia a favore dell’Arciprete dovesse essere osservato, imponendo ai Canonici della Chiesa di S. Maria Maggiore il perpetuo silenzio. Il decreto, accompagnato da una lettera del Cardinale del Monte del 13 marzo 1620, fu trasmesso al Vescovo Seta, perché ne curasse l’esecuzione. Da allora, la determinazione è stata sempre osservata. Non è vero, come alcuni affermano, che Monsignor Genovese abbia ecceduto i limiti del compromesso con l’unione perpetua dell’Arcipretato al più antico Canonico della Collegiata, perché non agì come Arbitro, ma come Vicegerente dell’Ordinario, con autorità comunicatagli e riservando l’assenso del Sommo Pontefice. Tale assenso, ove necessario, si ritiene concesso tramite la S. Congregazione, che rappresenta il Papa. Se, in alcuni casi, l’Apostolica Dataria non osservò tale disposizione (in caso di rinuncia ad favorem), agì secondo il principio “Papa est Dominus omnium beneficiorum etiam de jure patronatus”.

Nota del trascrittore: «Ad onta di quanto si è detto, fatto, e deciso nei secoli vetusti, oggi (prima del 1841) quel grosso gigante del tanto decantato Laudo è stato imbrigliato un poco prima dall’Augusto Re di Napoli, e poi dallo stesso Sommo Pontefice: cioè l’anzianità ridicola non è più riconosciuta, dovendosi solo avere in considerazione non già la longevità di Canonicato, ma solo merito e virtù. Per conseguenza il grande Arcipretato è di libera collazione della S. Sede Apostolica, e ciò in virtù dell’ultimo Concordato tra Napoli e Roma. Ciò posto, finalmente abbiano i furiosi ed irragionevoli piatitori anch’essi un po’ di pazienza per secoli eterni. E silenzio e cristiana ubbidienza, perché “qui potestati resistit, Dei ordinationi resistit”. Già ognuno capisce, e quatto quatto si mette il punto in bocca.»

Capitolo VI

Delle brighe con la Chiesa di S. Rocco

Avendo una tale buona donna, chiamata Maria di Trutto, vedova di Onorato di Contenta, nel principio del secolo XVI edificato nel proprio suolo la chiesa di S. Rocco in Piedimonte (si crede in occasione della peste che nel 1505, unita a un fiero terremoto e a una carestia non dissimile, afflisse tutta l’Italia, secondo quanto riferisce Muratori negli Annali), fondò nella medesima una Cappellania per una messa settimanale. Donando poi sia la chiesa che la cappellania a S. Maria Occorrevole, chiesa di patronato laicale dell’Università di Piedimonte, volle che il cappellano fosse stabilito dagli Economi di quella, e che, in mancanza di nomina da parte loro, fosse lecito alla stessa Maria e ai suoi successori porre un cappellano a spese della chiesa donataria. Questa condizione fu accettata nel 1528 dai Giudici e Sindaci dell’Università di Piedimonte, come padroni di S. Maria Occorrevole, come risulta dall’istrumento stipulato da Notar Angelo de Rinaldis di Rocca-Romana.

Nell’anno 1611, quando si intraprese la fondazione di un Monte dei Morti nella chiesa di S. Rocco, insorse lite tra gli eredi dei coniugi di Trutto e Contenta e gli Economi e Giudici di Piedimonte. Tuttavia, in presenza di Monsignor F. Valerio Seta, Vescovo di Alife, ogni controversia fu composta, come attestato da un istrumento pubblico redatto da Notar Gian Michele Perrotti di Piedimonte nel 1611.

Da questa composizione nacque una confraternita di laici con sede in detta chiesa, incaricata dell’opera pia e caritatevole di seppellire i morti. A essa fu concesso l’uso della chiesa con vari patti e condizioni, principalmente che, in riconoscimento del diretto dominio della medesima, la confraternita dovesse ogni anno, nel martedì di Pentecoste, recarsi in processione alla chiesa di S. Maria Occorrevole per presentare una libbra di cera lavorata alla Beata Vergine.

Cresciuta però in facoltà grazie alla devozione e all’elevato numero di confratelli, la confraternita – governata da un Economo e un Segretario Esattore della mensuale dei confratelli e assistita da numerosi sacerdoti con titolo di cappellani – diede motivo di lamentela, nel 1632, al Curato di S. Maria Maggiore, chiesa parrocchiale e matrice nel cui distretto si trova edificata la chiesa di S. Rocco.

Il Curato, nel 1632, si vide dunque costretto a ricorrere alla S. Congregazione dei Riti. Espose che da tempo immemorabile, quando un parrocchiano o non parrocchiano della sua Collegiata e Parrocchiale Chiesa di S. Maria Maggiore sceglieva la sepoltura nella chiesa di S. Rocco, grancia di S. Maria Occorrevole, egli era in possesso pacifico di intimare la processione funeraria, indossare la stola nera, iniziare l’antifona Subvenite Sancti Dei e celebrare l’ufficio dei defunti dentro la chiesa stessa, appropriandosi di tutte le candele (o torce) disposte attorno al cadavere, ad eccezione di quelle tenute in mano dai confratelli.

Poiché, talvolta, i confratelli e il loro sacerdote tentavano di ostacolare questo diritto, in danno del diritto parrocchiale, il Curato chiese alla Congregazione che vietasse loro ogni futura molestia, imponendo loro il silenzio perpetuo. La Congregazione dei Riti, su relazione dell’Em.mo e Rev.mo Cardinale Giorgio, emanò il seguente decreto:

Aliphana. Pedemontis. S. Rit. Congregatio ad relationem E.mi et R.mi D. Cardinalis Georgii censuit, Archipresbyterum seu Curatum Collegiatae, Matricis Ecclesiae S. Mariae Majoris de Terra Pedemontis, Alliphanae Diocesis esse manutennendum in Possessione sopradicta munia exercendi, et peragendi etiam in Ecclesia S. Rochi, quando cadavera Defunctorum deferantur in casu et ibi tumulari debeant prout omnino manuteneri mandatus. Die 21 Augusti 1632. E E. Episcopus Portuensis Card. Pius Rospigliosus Segratarius. Adest sigillum impressum.

E così fu definitivamente conclusa la controversia.

Capitolo VI Delle brighe con la Chiesa di S. Rocco

Delle brighe con la Chiesa di S. Rocco

Avendo una tale buona donna, chiamata Maria di Trutto, vedova di Onorato di Contenta, nel principio del secolo XVI edificato nel proprio suolo la chiesa di S. Rocco in Piedimonte (si crede in occasione della peste che nel 1505, unita a un fiero terremoto e a una carestia non dissimile, afflisse tutta l’Italia, secondo quanto riferisce Muratori negli Annali), fondò nella medesima una Cappellania per una messa settimanale. Donando poi sia la chiesa che la cappellania a S. Maria Occorrevole, chiesa di patronato laicale dell’Università di Piedimonte, volle che il cappellano fosse stabilito dagli Economi di quella, e che, in mancanza di nomina da parte loro, fosse lecito alla stessa Maria e ai suoi successori porre un cappellano a spese della chiesa donataria. Questa condizione fu accettata nel 1528 dai Giudici e Sindaci dell’Università di Piedimonte, come padroni di S. Maria Occorrevole, come risulta dall’istrumento stipulato da Notar Angelo de Rinaldis di Rocca-Romana.

Nell’anno 1611, quando si intraprese la fondazione di un Monte dei Morti nella chiesa di S. Rocco, insorse lite tra gli eredi dei coniugi di Trutto e Contenta e gli Economi e Giudici di Piedimonte. Tuttavia, in presenza di Monsignor F. Valerio Seta, Vescovo di Alife, ogni controversia fu composta, come attestato da un istrumento pubblico redatto da Notar Gian Michele Perrotti di Piedimonte nel 1611.

Da questa composizione nacque una confraternita di laici con sede in detta chiesa, incaricata dell’opera pia e caritatevole di seppellire i morti. A essa fu concesso l’uso della chiesa con vari patti e condizioni, principalmente che, in riconoscimento del diretto dominio della medesima, la confraternita dovesse ogni anno, nel martedì di Pentecoste, recarsi in processione alla chiesa di S. Maria Occorrevole per presentare una libbra di cera lavorata alla Beata Vergine. Cresciuta però in facoltà grazie alla devozione e all’elevato numero di confratelli, la confraternita – governata da un Economo e un Segretario Esattore della mensuale dei confratelli e assistita da numerosi sacerdoti con titolo di cappellani – diede motivo di lamentela, nel 1632, al Curato di S. Maria Maggiore, chiesa parrocchiale e matrice nel cui distretto si trova edificata la chiesa di S. Rocco. Il Curato, nel 1632, si vide dunque costretto a ricorrere alla S. Congregazione dei Riti. Espose che da tempo immemorabile, quando un parrocchiano o non parrocchiano della sua Collegiata e Parrocchiale Chiesa di S. Maria Maggiore sceglieva la sepoltura nella chiesa di S. Rocco, grancia di S. Maria Occorrevole, egli era in possesso pacifico di intimare la processione funeraria, indossare la stola nera, iniziare l’antifona Subvenite Sancti Dei e celebrare l’ufficio dei defunti dentro la chiesa stessa, appropriandosi di tutte le candele (o torce) disposte attorno al cadavere, ad eccezione di quelle tenute in mano dai confratelli.

Poiché, talvolta, i confratelli e il loro sacerdote tentavano di ostacolare questo diritto, in danno del diritto parrocchiale, il Curato chiese alla Congregazione che vietasse loro ogni futura molestia, imponendo loro il silenzio perpetuo. La Congregazione dei Riti, su relazione dell’Em.mo e Rev.mo Cardinale Giorgio, emanò il seguente decreto:

Aliphana. Pedemontis. S. Rit. Congregatio ad relationem E.mi et R.mi D. Cardinalis Georgii censuit, Archipresbyterum seu Curatum Collegiatae, Matricis Ecclesiae S. Mariae Majoris de Terra Pedemontis, Alliphanae Diocesis esse manutennendum in Possessione sopradicta munia exercendi, et peragendi etiam in Ecclesia S. Rochi, quando cadavera Defunctorum deferantur in casu et ibi tumulari debeant prout omnino manuteneri mandatus. Die 21 Augusti 1632. E E. Episcopus Portuensis Card. Pius Rospigliosus Segratarius. Adest sigillum impressum.

E così fu definitivamente conclusa la controversia.

Gianfrancesco Trutta

CRONACA DI QUATTRO SECOLI

Seconda parte

Della Insignità Di S. Maria Maggiore Ottenuta Dalla S. Sede Apostolica, Quanto Invidiata, e contrastata Dagli Emuli…!!

[216] Nell’anno appunto milleseicentosessanta (1660), che si introdusse nella S. Congregazione de’ Vescovi e Regolari la causa fra la collegiata Chiesa di S. Maria Maggiore di Piedimonte e la collegiata dell’Annunciata di Vallata per la Chiesa del Carmine, vertiva un’altra causa nella S. Congregazione dei Riti fra la medesima collegiata di S. Maria di Piedimonte da una parte, e quelle dell’Annunciata della Vallata e di S. Croce del Castello, dall’altra, per un decreto di Insignità, che alla prima era stato accordato dalla stessa S. Congregazione dei Riti fin dal 9 luglio 1650, che così canta: “Collegiatam Ecclesiam S. Mariae Majoris Oppidi Pedemontis ad omnes Juris effectus INSIGNEM ESSE, atque ideo honoribus, praerogativis, praeminentis, et privilegiis Collegiatorum Insignium frui [217] posse, et debere.”

Questo fu quello che dir volle il Vescovo Dossena, quando, perché non si accendesse foco maggiore, rescrisse che, stante la pendenza della lite delle controversie supra le precedenze, che vertiva nella Curia Romana fra le due chiese, si astenessero gli avversari dal volere andare alla Visita della Chiesa del Carmine. Avevano però, avverso questo decreto del 1650, le Collegiate dell’Annunciata e di S. Croce fatto ricorso alla Santità di Papa Innocenzo X l’anno seguente, 1651, ed ottenuto particolare Rescritto nella segnatura di Grazia a dì 13 marzo di detto anno che diceva che, citata la Chiesa di S. Maria, la S. Congregazione dei Riti di nuovo sentisse le parti sopra l’articolo della Insignità, ma, caso si dubitasse della collegialità, si rimettesse la causa alla Datarìa. Con tutto questo rescritto, non vollero essi indirizzarsi alla S. Congregazione dei Riti, ma andarono a dirittura al cardinal Cecchini, Pro-Datario, cui avendo esposto che i Canonici della collegiata di S. Giovanni in numero di cinque si erano uniti a quelli di S. Maria in numero di sette senza apostolico assenso, veniva detta unione ad esser nulla, e però fecero istanza perché venisse disciolta. Ma il Cecchini, con tutto che assai propenso a favorirli, non poté fare a meno di scriverne *pro relatione* all’Ordinario, dopo che ne avesse preso diligentissimo informo. Era questi monsignor Pietro Paolo Medici, che niente potendo provare di detta [218] sognata unione con iscritture né con testimoni — poiché già da un secolo e mezzo addietro si trovavano esser dodici Canonici in S. Maria, e non vi era chi si ricordasse, o si potesse ricordare del contrario — intraprese di volerne cacciare qualche cosa dall’esame degli stessi Canonici di lei (ignorando la massima che *non sunt petenda arma de domo rei*) e perciò giudizialmente gli esaminò tutti dodici sopra la loro qualità, che risposero essere Canonici di S. Maria, dimostrandone ciascuno la propria bolla, dove si vedevano nominarsi ancora i loro antecessori; ed interrogati sopra i Canonici di S. Giovanni, dissero di niente saperne. Dispiacque ciò non poco agli avversari e, pensando a far dare altri interrogatori, gli fecero di nuovo chiamare in giudizio, ma i Canonici di S. Maria, ridendosi di tale informazione, non vi vollero più comparire, onde il buon vescovo altro non poté farli che dichiararli contumaci per non avere alla citazione della sua Curia ubbidito.

Intanto le cose presero qualche tregua, perché i Canonici di S. Maria temevano il Pro-Datario, che aveva fra i suoi domestici il Canonico Baffi di Castello, e lo amava tanto, che era giunto a promettere di farlo cardinale se giungesse egli ad essere papa, avendogli di sua mano posto più volte in testa la sua rossa berretta, con dirgli che ci pareva molto bello.

I Canonici dell’Annunciata ancor essi temevano di andare alla Congregazione dei Riti, che ben sapevano avrebbe sostenuto il decreto di Insignità accordato ai loro emuli; monsignor Medici poi faceva da paciere ed esortava gli uni e gli altri a fuggire i litigi. Intanto eccoti sopravvenire l’anno dell’universale contagio (1656) e lasciarvi la vita il vescovo, e gli uni e gli altri canonici disperdersi, chi di qua, chi di là. Ecco morto in Roma il Cecchini, e passato all’altro mondo Innocenzo X, ed eletto pontefice Alessandro VII, da cui nel 1660, in data dei 3 di giugno, i Canonici di S. Maria impetrarono un breve in data di Roma, sotto l’Anello del Pescatore, che confermando l’accennato decreto della S. Congregazione dei Riti del 9 luglio 1651, di apostolica autorità dichiarava e decretava che tali sue lettere fossero sempre ferme, valide ed efficaci… e che dovessero osservarsi da qualsivoglia giudici ordinari e delegati, anche auditori del palazzo apostolico, ed a tenore di esse doversi decretare, e definire, e dichiararsi nullo e di niun momento tutto ciò che fosse attentato in contrario… Anno sesto del suo pontificato. Ugolino.

Ottenuto tal Breve, fu immediatamente presentato all’ordinario in Piedimonte, che fecevi l’osservatoria seguente: “Die 26 mensis Iunii 1660 Pedemontii in Episcopali Palatio praesentatum fuit retroscriptum Breve apostolicum et supra caput receptum omni, qua decet, reverentia, [220] et dictum, quod debite, Executioni demandetur juxta eius seriem, tenorem, et continentiam – Sebastianus Dossena Episcopus Allifanus.” Antecipatamente però a questo rescritto, i Canonici avversari, avendo avuto notizia di tal breve, avevano già dato supplica al nuovo Cardinale Pro-Datario, perché avocasse la causa della S. Congregazione e l’istituisse nella Dataria Apostolica, a tale effetto trasmettendogli il menzionato processo fabbricato dal fu monsignor Medici, facendo gran fondamento sopra la dichiarazione di contumacia da lui fatta contro i Canonici di S. Maria e la sognata unione del loro Capitolo a quello di S. Giovanni. Sopra di che ne avanzarono la supplica che segue, per avocare la causa dalla S. Congregazione e portarla alla Dataria.

Eminentissimo, e R.mo Signore – Li Canonici e Capitolo della Collegiata Chiesa della SS.ma Annunciata di Piedimonte, in contrada della Vallata, Diocesi di Alife – divotissimi oratori della Eminenza Vostra, umilmente l’espongono:

(1) Sin dall’anno 1474 dall’Arcivescovo di Benevento, in vigore di lettere apostoliche a lui dirette dalla felice memoria di Sisto IV, furono (2) erette nello stesso tempo e dalla stessa natura nella Terra di Piedimonte quattro Collegate, con assegnarle il numero dei Canonici per ciascuna Collegiata, cioè nella Chiesa di S. Maria (3) Canonici sei – nella Chiesa di S. Giovanni Canonici sei – e nella Chiesa della SS.ma Annunciata Canonici sei.

E perché [221] i Canonici di S. Giovanni si sono (4) uniti a quelli di S. Maria, e l’espedizione dei canonicati che vacano di S. Giovanni non più sotto nome di S. Giovanni ma bensì sotto nome di S. Maria si spediscono – la quale unione non essendo stata fatta con beneplacito apostolico, come si ricava – pertanto fu ricorso, dall’anno 1651, alla beata memoria del Signor Cardinale Cecchino, allora Prodatario, ed esposta detta unione esser nulla, mentre non vi era intervenuto beneplacito apostolico. Dove se ne ottenne una lettera, diretta a Monsignor Medici, che pigliasse informazione di tutto; in virtù della quale fu fatto processo ed esaminati i testimoni, gli stessi Canonici di S. Maria, in conformità del processo in pubblica forma che si dà a Vostra Eminenza, dove (5) consta esser stata fatta detta unione absque beneplacito apostolico, in grave pregiudizio del culto divino.

Pertanto gli Oratori, ricorrendo alla benignità di Vostra Eminenza, umilmente supplicano di pigliare quei rimedii opportuni per la dissoluzione di detta unione, mentre è stata nullamente fatta, e pretendendo per detta unione precedere ai Canonici delle altre Collegiate.

Si può dare memoriale più inetto, e colmo di false assertive?

I. Assertiva – La asserta bolla, anzi falsa, dell’Arcivescovo di Benevento non è del 1474 ma del 1481.
II. Non fu erezione di Collegiata, ma conferma dei Regolamenti di un Vescovo. Si legga.
III. Dice sette, e non sei. Cecaggine…!
IV. Assertiva fatta gratis, non provandosi con veruno documento.
V. Il beneplacito apostolico non poteva cadere sopra cosa non fatta.

Ricevuto dunque il Cardinale Prodatario il processo, pieno di inutili esami ed inezie, nientemeno della sciocchissima supplica, sprezzato quello come inetto, ne scrisse solamente a monsignor Dossena perché si informasse e riferisse, la lettera che segue:

Ill.mo etc. Invio a V. S. Ill.ma il congiunto memoriale per ordine di Nostro Signore, acciocché Ella si contenti di informarsi esattamente di quello che si è veramente osservato, e da quanto tempo in qua in materia della precedenza delle Collegiate di S. Maria e di S. Giovanni unite, e l’altre della SS.ma Annunciata e di S. Croce della Terra di Piedimonte, luogo di cotesta Diocesi, perché nel processo esibito qui non consta della detta consuetudine, nemmeno se sia stata universale in qualunque atto, loco e tempo particolare, e se sia stata pacifica: però desiderando Sua Santità di avere di questo notizia certa, ne attenderò coll’istesso memoriale la relazione da V. S. Ill.ma quanto prima, in conformità della santa mente di Sua Beatitudine, che Le significo colla presente. E confirmandole etc.

Roma, 16 giugno 1660. Il Cardinale Prodatario.

Relazione di Monsignor Dossena al Cardinale Prodatario (1660)

[223] Non tardò Monsignor Dossena a ubbidire a quanto gli veniva dal Prodatario comandato in nome del Papa e, fatta ogni diligenza dovuta nell’informarsi del tutto, riferì all’istesso Eminentissimo scrivendo:

Eminentissimo, e R.mo etc. Corrispondo gli ossequii più dovuti dall’animo colla sincerità della penna. – Non mi porta la propria debolezza in riconoscimento del Sommo Onore compartitomi dalla singolare umanità di Vostra Eminenza, con incaricarmi di ordine di N. S. la relazione sopra la verità dell’esposto per parte dei Canonici della SS.ma Annunciata della Vallata sul memoriale, che si manda qui ingiunto, e con aver fatto sopra di esso matura considerazione, non posso non confermare a V. E. la realtà del fatto, e della assertiva circa la primitiva (1) erezione delle quattro Collegiate in Piedimonte, Terra di questa mia Diocesi, sin dall’anno 1474, come quella che apparisce dalla Bolla medesima, che ne fu spedita in quel tempo, con uno svario solo circa il numero dei Canonici, che dove nella Collegiata di S. Maria Maggiore di Piedimonte se ne asseriscono nel Memoriale assegnati sei, in effetto furono sette, siccome dalla Bolla suddetta; uno dei quali fu costituito in Dignità col titolo di Arciprete, che ancor di presente si continua. Devo di più confermare a V. Eminenza la verità dell’esposto circa (2) l’unione seguita fra la detta Collegiata di S. Maria con quella di S. Giovanni, che nella sua origine fu dotata di cinque Canonici, in qual riguardo sono al presente quelli di S. Maria non più sette ma dodici. Questa però non è unione di tempo prossimo, ma bensì di tempo (3) immemorabile, a segno che non ci è memoria di uomo in contrario. Così si ricava chiaramente da diverse scritture antiche, ed in particolare da due Bolle, spedite dal medesimo Capitolo della Collegiata di S. Maria sopra la collazione che Egli fece in virtù di costituzione apostolica, e di antica consuetudine, di due Canonicati, uno vacante per libera rassegna dell’anno 1534 e un altro per morte nell’anno 1535, a quale effetto congregati i Canonici a suono di campanello al numero di nove si asserirono costituire la maggior parte del loro Capitolo. Che se dette Collegiate non fossero state (4) unite fin dall’anno 1534 non avrebbe potuto darsi questo numero. Così anche si conferma da un processo, che si conserva nell’Archivio della mia Corte, fabbricato nel 1609, in occasione che i Sacerdoti delle Collegiate di Castello e della Vallata pretesero di recedere dallo antico solito di cantare la prima Messa in quella di S. Maria Maggiore, nel quale per prova di detto solito e della preminenza di detta Collegiata di S. Maria alle due altre, trovo esaminati tre testimoni: uno di età di anni sessanta, e due altri di ottanta per ciascheduno, che tutti concordemente [225] depongono, per quanto possono ricordarsi, essere stati sempre dodici Canonici nella Collegiata di S. Maria, e fra essi in ogni tempo alcuni graduati, o in Teologia, o in Legge. Ed in questa conformità non trovo Bolla alcuna spedita da cotesta Datarìa, o da miei antichissimi predecessori, di canonicato veruno sotto il titolo di S. Giovanni, ma bensì tutti indifferentemente sotto il titolo di S. Maria Maggiore, la quale nella onorevolezza dei requisiti porta veramente qualche maggioranza seco alle altre due Collegiate, benché erette nello stesso tempo, mentre che mi vien supposto sia stata in possesso precederli nelle funzioni dei Sinodi, e delle benedizioni degli Olii Santi, come anche perché nella Bolla dell’Erezione (5) viene prima nominata la Collegiata di S. Maria Maggiore delle altre, e per trovarsi questa numerosa di dodici Canonici, tra i quali uno costituito in dignità con titolo di Arciprete, dove nelle altre sono solamente sei, senza alcuna dignità, ed anche per ritrovarsi situata nel corpo della Terra, dove fanno residenza i Vescovi, i Padroni Temporali, e i Governatori. Ben è vero che sette anni sono, in occasione di morte di una Duchessa Padrona, che lasciò il suo cadavere nella Chiesa di un Monastero di Monache da lei fondato, dentro i limiti della Parrocchia della Vallata, concorse al funerale così la Cattedrale, come le altre Collegiate, e i Canonici di esse Collegiate camminarono tra di loro per via di anzianità, caso non più succeduto né [226] avanti né dopo, per quella notizia che ne ho potuto avere; e mi vien supposto che intanto che i Canonici di S. Maria condiscesero a questo partito, in quanto che quelli dell’Annunciata gli cedettero l’ingresso dentro la loro Parrocchia ed in segno della maggioranza precedette l’Arciprete di S. Maria a tutte le Collegiate.Questo è quanto con ogni sincerità posso riferire a V. E. con aggiungere, che trovandosi la Collegiata di S. Maria Maggiore dotata degli  accennati, ed altri requisiti, ugualmente onorevoli, l’esposto ________ prima come mi han supposto alla S. Congregazione de’ Riti, e successivamente alla Santità di N. S. ed avendoli stimato Sua Beatitudine meritevoli della grazia della Insignità, si è degnata di prossimo concederla per Breve, dichiarando il suo Capitolo Insigne. – Del resto, ambizioso di ogni maggior esaltazione dovuta etc. – Piedimonte, 10 luglio 1660 – Di V. Eminenza – Um.mo – Sebastiano Dossena, Vescovo di Alife.

Osservazioni del Trutta

Prima di passare oltre alla narrativa dei fatti, devo notare che anche Monsignor Dossena stava:

I. Nel falso supposto che la Bolla del 1474 fosse Bolla di erezione di Collegiata. – Dio buono, leggete, leggete Monsignor mio, di grazia, e vedrete che è Bolla di conferma dei Regolamenti [227] del Vescovo Angelo; e sebbene in essa si tassa il numero dei Preti che dovevano servire le Quattro Chiese, ciò si fa per escluderne i Preti non beneficiati, che vi erano inclusi da detto Vescovo Angelo, non per erigerle in Collegiate – E dove si legga in detta Bolla questo vocabolo di “erezione”? O questo altro di “collegiata”? Vi si legge solo: “Qui presbyteri canonici vocantur” – ma tali voci servono solo per burlare il prossimo con un titolo sine re, non per costituire Collegiati e Capitoli.

II. Stava ancora Monsignor Dossena nell’altro falso supposto dell’unione seguita con la Collegiata di S. Giovanni, che mai fu eretta tale, e mai ebbe Canonici, se non quei cinque nuncupativi – effimeri – aerei – fantastici – non insigniti – non bullati – e non esistenti altrove che nel concavo della luna, dove M. Ludovico Ariosto pose (Furioso Cant. XXIV):

“L’inutil tempo, che si perde in gioco,
e l’ozio lungo d’uomini ignoranti,
vani disegni, che non han mai loco…”

III. Che unione di tempo prossimo o tempo immemorabile? I dodici Canonici di S. Maria furono sempre di S. Maria, avendo noi mostrato chiaramente che dai primi anni del secolo XVI erano in questo numero i Canonici di lei, e nell’antecedente secolo non vi furono Canonici né in S. Maria, [228] né in S. Giovanni, né in altra Chiesa di Piedimonte.

IV. E pur là coll’unite? I Canonici di S. Maria erano ab initio dodici, e perciò non gli fu d’uopo unirsi con altri.

V. Non solo in questa Bolla, ma nello Istrumento, molto più antico dei Regolamenti del Vescovo Angelo, sempre S. Maria è nominata la prima, e così in tutte le scritture antecedenti e seguenti, dove occorre che sia nominata con le altre.

Proseguimento della causa (1661)

Ma ritorniamo ai fatti. – Per tale relazione, fatta dal Vescovo Dossena al Cardinale Prodatario, e per il poco conto in cui si tenne il processo del Medici, disperando gli avversari di S. Maria di riuscire in Dataria a cosa di buono, fecero istanza in Sacra Congregazione, che la causa si rimettesse alla Rota nel 1661, ma da essa Sacra Congregazione fu detto:

“Aliphana 1° Octobris 1661 – Petentibus Canonicis SS.mae Annunciatae remitti causam ad Rotam, Eminentissimo Cardinali Azzolino referente, eadem sacra congregatio mandavit, ut videatur super bono jure in Sacra Congregatione”.

Restata così la causa in S. Congregazione, frattanto che gli avvocati di ambe le parti scrivevano con tutto impegno per i loro rispettivi clienti (come fece per S. Maria Maggiore il celebre Cardinale De Luca con quel suo bellissimo discorso, inserito poi nelle sue opere De praeminentis, Tom. 8), i Canonici di S. Maria impetrarono da Monsignor Dossena (dimorando Egli in Frascati) l’attestato che segue, e che esso De Luca pare abbia intrapreso, in detto discorso, a commentare.

Attestato di Monsignor Dossena e decreti finali della controversia sull’Insignità di S. Maria Maggiore

[229]Omnibus, et singulis, praesentes inspecturis – visuris – et audituris, Fidem facimus, et testimonio Veritatis testamur; Terram Pedemontis, Nostrae Aliphanae Dioecesis, in qua semper habitat Dominus Temporalis, Dominus Dux Laurentiani, constare ex Septingentis Focularis circiter, ibidem Nostra Residentiam, ex Apostolico Indutto, facere Functiones omnes Ecclesiasticas in Collegiata Ecclesia Sanctae Mariae Majoris dictae Terrae explere, exceptis Functionibus Olei Sancti, et Synodi; ac ibidem Verbum Dei in Quadragesima per Praedicatores dici. – Insuper, dictam Ecclesiam Collegiatam constare ab imemorabili Duodecim Canonicis, ac Archipresbytero, qui est Caput Capituli – Arcam, Sigillum commune, a chorum, et Stallum, singulis convenientem habere, ac demum, Canonicos dictae Collegiatae in functionibus omnibus Ecclesiastis, Canonicos aliarum, Collegiatarum, nostrae Dioecesis, antecedere, et praecedentiam habere, prout haec omnia Nobis plane, et legitime constant. In quorum Fidem etc.

Datum Tusculi, 26 Octobris 1661 – Sebastianus Dossena, Episcopus Allifanus

Esaminatosi quindi il buon diritto che credevano di avere i Canonici dell’Annunciata della Vallata e di S. Croce del Castello di Piedimonte, e trovatosi da essa S. Congregazione dei Riti che non ne avevano alcuno, ne ebbero il 21 gennaio 1662 il seguente decreto contrario:

Aliphana – Sacra Rituum Congregatio ad relationem E.mi, et R.mi Cardinalis Azzolini, partibus auditis, declaravit: constare de Insignitate Collegiatae S. Mariae Majoris Terrae Pedemontis, Allifanae Dioecesis, eique deberi praecedentiam super Collegiatas SS.mae Annunciatae del Vallata, et S. Crucis del Castro eiusdem Dioecesis, ac super huius modi perpetuum silentium imponi mandavit. Die 21 Ianuarii 1662.

Ma con tutto questo espresso comando di tacere perpetuamente, vollero parlare, dando supplica al Papa perché di nuovo rimettesse la causa alla sua Dataria, dicendo:

Supplica al Papa (1662)

Beatissimo Padre – I Canonici di S. Croce di Castello, e SS.ma Annunciata della Vallata, Diocesi di Alife, espongono che i Canonici di S. Maria Maggiore di Piedimonte della medesima Diocesi di Alife hanno usurpato il nome di Collegiata Insigne, in pregiudizio delle chiese oratrici, e sopra ciò hanno estorto decreto dalla Sacra Congregazione dei Riti, non citate, non sentite le chiese oratrici. Ricorsero alla santa memoria di Innocenzo X, ed ottennero particolare rescritto nella Segnatura di Grazia il 13 marzo 1651, in cui si ordinava che, citata la chiesa di S. Maria, la Sacra Congregazione dei Riti di nuovo sentisse le parti sull’articolo dell’Insignità, ma che caso si dubitasse della collegialità, si rimettesse la causa alla Dataria.

E così, passati dieci anni, senza ritornare più alla Congregazione dei Riti, la detta chiesa di S. Maria di Piedimonte espose alla Santità Vostra il primo decreto, estorto a suo favore dalla Congregazione dei Riti, e tacendo il rescritto della santa memoria di Innocenzo X impetrò surrettiziamente il Breve confirmatorio del primo decreto, sostenendo che la chiesa di S. Maria fosse collegiata. – Perciò, supplicano la Santità Vostra a degnarsi commettere al Sig. Cardinal Prodatario di avocare questa causa dalla Congregazione dei Riti alla Dataria, sentite le parti, procedere per giustizia, e intanto inibire l’uso del Breve, né innovare cosa alcuna.

Conobbe però il Papa che la domanda degli oratori di rimettere la causa alla Dataria (dove era andata due altre volte senza ricavarne nulla) era un modo per non volerla finire. Perciò rescrisse sotto la supplica: Alla Congregazione dei Riti.

Decreto del 4 marzo 1662

Aliphana – Ad Sanctissimum confugerunt Canonici S. Crucis de Castro, et SS.mae Annunciatae de Vallata, Aliphanae Dioecesis, ut Canonicos S. Mariae Pedemontis, eiusdem Dioecesis, super Collegialitate eiusdem Ecclesiae, a Sacra Rituum Congregatione avocari, et Cardinali Datario perpendendam, ac terminandam committi. At Supplici eorum libello per Sanctitatem Suam ad Congregationem Sacrorum Rituum simpliciter remisso; Eminentissimi Patres, eidem Sacrae Congregationi Praepositi, ex quo eiusmodi controversiae mature discussae, impositum sit Perpetuum Silentium, die 21 Ianuarii proxime praeteriti, rescribi mandaverunt: Lectus.

Dopo tanti decreti contrari e dopo un lectus così vergognoso, non restava altro agli avversari se non cercare di impedirne l’esecuzione, come si adoperarono a tutta possa.

Perciò i Canonici di S. Maria ebbero di nuovo ricorso alla Sacra Congregazione, chiedendo provvedimento, e l’ebbero con l’ordine che se ne scrivesse all’Ordinario:

Aliphana – Cum alias Sacra Rituum Congregatio declaravit, constare de Insignitate Collegiatae S. Mariae Majoris Terrae Pedemontis, eique deberi Praecedentiam super Collegiatas SS.mae Annunciationis de Vallata, et S. Crucis de Castro eiusdem Dioecesis, et Decreta praedicta adhuc debito eare effectu, denunciatum fuerit: Sacra eadem Congregatio, Ordinario scribi mandavit pro Executione Decreti praedicti.

Si scrisse quindi all’Ordinario, che era ancora il Vescovo Dossena, il quale non mancò di dare tutti gli ordini opportuni per la detta osservanza. Ma volle Dio che questo buon Prelato, a dì 21 dicembre dello stesso anno 1662, fosse dalla morte rapito, come sta registrato nel libro Necrologico della stessa S. Maria Maggiore, dove fu seppellito a Cornu Epistolae dell’Altare del Venerabile. Non già nel 1664, come erroneamente notò il continuatore dell’Ughelli, Italia Sacra, Tomo VI.

Il Vescovo Caracciolo e l’esecuzione dei Decreti a favore di S. Maria Maggiore

[234] Successe al buon Dossena nel vescovado di Alife, nell’anno 1664, Monsignor Domenico Caracciolo, prete di Gaeta, che malconsigliatamente si dichiarò a favore del partito degli avversari della Collegiata di S. Maria. Non curò di far eseguire i decreti emanati a suo favore dalla Sacra Congregazione dei Riti, per cui i canonici di S. Maria ricorsero nuovamente, esponendo la disobbedienza da parte delle due collegiate avversarie. N’ebbero quindi questo nuovo provvedimento, in data 21 marzo 1665:

Aliphana – Exponentibus Canonicis, et Capitulo Insignis Collegiatae S. Mariae Majoris Terrae Pedemontis, Canonicos Collegiatae SS.mae Annunciationis de Vallata, et S. Crucis de Castro renuere parere Decretis S. Congregationis, edita super Insignitate Collegiatae eiusdem; eadem Sacra Congregatio iterum scribi jussit Episcopo qui curet servari Decreta – 1665

Segue quindi la lettera scritta a Monsignor Caracciolo, a nome della Sacra Congregazione, dal Cardinale Ginetto:

Eminentissimo uti Frater – Aliis Decretis, et literis Sacrae Congregationis Amplitudini Tuae, declaravit, constare De Insignitate Collegiatae S. Maria Majoris, Terrae Pedemontis, Aliphanae Dioecesis, eique deberi Praecedentiam supra Collegiatas SS.mae Annunciationis de Vallata, et S. Crucis de Castro, ejusdem Dioecesis. At quia ad aures Eminentissimi Cardinalis pervenit, quod Canonici ejusdem SS.mae Annunciationis, et S. Crucis, in Spretum Sacrae Congregationis non obediant dictis Decretis, et literis, imo non desistant se nominare, et inscribere titulo Matricis Majoris Ecclesiae, propterea eadem Sacra Rituum Congregatio mandat Amplitudini Tuae, ut executionem Decretorum adamussim implere faciat, et inobedientes compellat, etiam sub Censuris, auctoritate ipsius Congregationis, ad hoc ut perpetuum super hoc silentium imponatur.
Et quia superveniunt functiones hebdomadae sanctae, praecipue Iovis in constructione Olei Sancti, et Sabbathi in pulsandis campanis, eadem Sacra Rituum Congregatio praecipit, ut ipsi Canonici SS.mae Annunciationis, et S. Crucis hisce temporibus exordiantur obedientiam, et Amplitudo Tua statim significet, quod contigerit.

Alla quale lettera Monsignor Caracciolo, accecato da passione non castigata, rispose nei termini seguenti:

E.me, et R.me Domine – Paucis ab hinc diebus traditae mihi fuerunt literae ex parte Canonicorum Collegiatae S. Mariae Majoris Terrae hujus Pedemontis, Aliphanae Dioecesis, de mandato Sacrae Congregationis continentes, et praecedentiam deberi super Collegiatas SS.mae Annunciationis de Vallata, et S. Crucis de Castro ejusdem Terrae; nec non quod Canonici dictarum duarum Collegiatarum non obediant Decretis, et literis Sacrae Congregationis in eorum spretum, et non desistant se ipsos nominare, et inscribere titulo Matricis Majoris Ecclesiae. Quapropter mandat Sacra Congregatio, ut implere faciam executionem ejus Decretorum, et inobedientes censuris affligam. Et licet mihi nullo modo sit notum, sicut nullus instat, quidquid ex supradictis ad aures EE. DD. Cardinalium pervenit; attamen parendo, ut debeo, praeceptis illorum, non desistam omni qua decet diligentia inquirere in inobedientes, si qui fuerint. Quod ad functiones Iovis Sancti in constructione Olei Sancti, refero Eminentiae Vestrae quod per edictum vocavi necessarios assistentes in dicta constructione, scilicet duodecim sacerdotes, septem diaconos, et totidem subdiaconos, et ex his sacerdotibus duos canonicos nominavi pro qualibet Collegiata, qui duo de Collegiata S. Mariae non interfuerunt, ex eo quia unus petiit licentiam per interpositionem Ducissae Laurentiani, alter vero finxit cecidisse ab equo (cum consensu aliorum Canonicorum) in quo equitabat versus Cathedralem, locum destinatum pro dicta functione.
Ad cuius actum deveniendo, feci omnes nominatim vocare per actuarium, destinatos ad eundem actum, inter quos inveni quemdam Canonicum supradictae Collegiatae S. Mariae, nomine Franciscum Battiloro, non vocatum neque destinatum ad talem actum. Et quia ego iam destinaveram alios duos sacerdotes ob deficientiam dictorum duorum Canonicorum, ideo eum dimisi. Quibus stantibus comparuit alius Canonicus eiusdem Collegiatae S. Mariae, nomine Ioseph Gambella, qui impediens et perturbans functionem tanti valoris clamando, irreverenter dicebat, quod protestabatur contra me tamquam inobedientem Decretis Sacrae Congregationis, ex eo quia dimiseram illum Canonicum Battiloro, ut supra, non vocatum.
Ad quod respondi ut taceret, et ne veritatem occultarem, quia Canonicus ille fuit dimissus tamquam non vocatus neque destinatus, tanto magis, quod in illo tunc primus omnium vocatus, et nominatus fuit Canonicus ille S. Mariae, qui ficte cecidit ab equo, licet non interesset; et tamen alii Canonici duarum Collegiatarum SS.mae Annunciationis, et S. Crucis nullum verbum contradictionis dixerunt ad talem vocationem primo loco factam.
Quod vero ad Sabbathum Sanctum, supplico Eminentiae Vestrae me celebrasse Missam in Ecclesia S. Antonii de Padua, de jure Patronatus, ne quis praesumeret pulsare campanas ante dictae Ecclesiae campanae sonum; quod aegre tulerunt Canonici S. Mariae, protestantes se, tacientes multos actus pubblicos, Masanellorum more, cum magna personarum multitudine, nulla habita reverentia, non dico meae personae, sed dignitatis Episcopalis, qua licet indignus fungor. In quibus dicebant me conferre debere Aliphiam in Ecclesiam Cathedralem pro celebratione Missae huius, aut eorum Ecclesiam Collegiatam, subjungentes, quod dum recusabam ire ad alteram harum Ecclesiarum, non observabam Decreta Sacrae Congregationis, ad quod respondi, quod Sacra Congregatio non mandat, quod ego vadam neque ad illam, neque ad istam Ecclesiam, sed ut vobis sit Praecedentia super Collegiatas SS.mae Annunciationis, et S. Crucis, quam vobis libenter in casibus ad vos pertingentibus concedam. Et dum hoc sit, quod possum, cum omni reverentia qua decet, referre Sacrae Congregationi humillimas Eminentiae Vestrae ago reverentias.
Pedemontii hac die 6 mensis Aprilis 1665 – Dominicus Episcopus Allifanus.

La definitiva esecuzione dei Decreti e la tragica fine del Vescovo Caracciolo

[239] Credeva Monsignor Caracciolo, con tale lettera, occultare la sua cabala e la sua dipendenza indecorosa verso gli avversari di S. Maria; ma la Sacra Congregazione comprese subito che l’avvenimento della consacrazione dell’olio santo in Alife era stato da lui procurato affinché i Canonici di S. Maria non avessero la precedenza dovuta sopra quelli dell’Annunziata e di S. Croce. E l’aver egli voluto celebrare nel sabato santo nella chiesetta di S. Antonio fu perché le campane della Vallata non si dicesse avessero suonato dopo quelle di S. Maria Maggiore di Piedimonte, il che equivaleva a deludere apertamente gli ordini della Sacra Congregazione, che, su istanza dei canonici, annullò tutti gli atti del vescovo, così decretando:

Aliphana – Capitulum, et Canonici Insignis Collegiatae S. Mariae Majoris Terrae Pedemontis contra Collegiales SS.mae Annunciationis Vallatae, et S. Crucis Castri pro revocatione Actorum ob non paritionem Decretis Sacrae Congregationis, illorumque omnimoda observantia, et executione Decretorum, et interim Scribatur Episcopo Allifano juxta mentem. Die 21 Iulii 1665.

Ed ecco la mente della Sacra Congregazione, spiegata nella seguente lettera al Caracciolo:

R.me D.ne uti Frater – Adeo admirati sunt, atque acriter EE.mi Sac. Congregationis Rituum Praepositi exceperunt, quod Amplitudo Tua, ea qua decet sollicitudine, et diligentia executioni non demandaverit sua decreta, debitaque reverentia non paruerit suis literis… juxta forma decretorum alias editorum… Proinde mandatum est Illustrissimo Nuntio Neapolitano praedictorum decretorum executionem… Romae hac die 20 Iunii 1665 – Cardinalis Ginettus – B. Casalius S.R.C. Secretarius.

Ricevuta tale commissione, il Nunzio Pontificio di Napoli delegò il suo commissario D. Ferrante Giannuzzi, e poi D. Giuliano Gaudio, con piena facoltà per l’esecuzione e l’osservanza dei decreti, per inquirere contro i disubbidienti e contumaci, avvalendosi del braccio secolare e delle censure ecclesiastiche. Fu quindi intimato monitorio ai canonici dell’Annunziata e di S. Croce, sotto pena di scomunica, e ne fu affisso avviso sulle porte delle loro chiese. Quello della Vallata fu trovato lacerato di notte, ma si fece informazione esatta, e un canonico, indiziato dell’atto, fu costretto per lungo tempo a fuggire.mDa quel tempo sino ai giorni nostri – scrive Trutta – cioè per oltre centosedici anni, le campane di S. Maria Maggiore suonarono sempre per prime il sabato santo, e i suoi canonici precedettero quelli delle altre collegiati. Sebbene nella consacrazione dell’olio santo non si sia più intervenuti con canonici, ma con semplici preti, secondo l’uso introdotto da Caracciolo.
Quanto al medesimo Caracciolo, sebbene mortificato dalla lettera della Sacra Congregazione e dall’esecuzione fatta in suo dispetto dalla Nunziatura, non si ravvide. Nel sinodo diocesano del 1667 dichiarò protettore di Piedimonte S. Sisto I Papa e Martire, escludendo S. Marcellino, che la Sacra Congregazione aveva invece approvato con decreti del 1645 e del 1646. Per questo, con decreto del 28 gennaio 1668, la Sacra Congregazione dichiarò che il popolo e il clero di Piedimonte non erano tenuti a osservare di precetto la festa di S. Sisto, nonostante il decreto sinodale del vescovo.

L’università e gli uomini di Piedimonte ricorsero allora all’Auditore della Camera Apostolica, lamentando che gli abitanti della Vallata e del Castello e i loro ecclesiastici rifiutavano di osservare la festa di S. Marcellino e celebrarne l’ufficio. Fu quindi loro ingiunto di ubbidire ai decreti, sotto pena canonica. Roma, 22 maggio 1669. I Vallatani e i Castellani, fidandosi della protezione del vescovo Caracciolo, non cedettero, e la causa fu proseguita. Il 16 settembre 1669 la Sacra Congregazione decretò:

Aliphana – Universitas Terrae Pedemontis, Aliphanae Dioecesis adversus habitatores Vicorum Vallatae, et Castelli dictae Terrae super celebratione Festi de Praecepto S. Marcellini Martyris, unici, et principalis Patroni dicti loci, legitime electi, et approbati a Sacra Congregatione quae omnino mandat, juxta posita; et petita, omnibus Parochis, et Clericis dictorum Vicorum Vallatae, et Castelli, ut in posterum se conforment cum tota Universitate.

Dopo questo decreto, contro la sua aspettativa, Monsignor Domenico Caracciolo, ormai indispettito contro i canonici di S. Maria e l’università di Piedimonte, trasferì la sua residenza da Piedimonte a S. Angelo Raviscanina. Ma questa scelta infelice lo condusse alla rovina: nel 1675 trovò infatti una morte tragica e violenta, colpito alla testa da un colpo di fucile nella sua abitazione data alle fiamme da ignoti malviventi. Il suo canonico confidente, che nella tragedia aveva fatto la “parte seconda”, finì i suoi giorni annegandosi nel fiume Torano, presso la Vallata.

Della Messa Conventuale

Nell’anno 1669, lo stesso in cui il vescovo Domenico Caracciolo si appartò da Piedimonte, fu istituita presso l’Insigne Collegiata di S. Maria Maggiore la Messa Conventuale quotidiana, grazie alla munificenza della Duchessa di Laurenzano, D. Diana di Capoa (o Capoua). Al canonico celebrante fu concessa la facoltà di applicarla secondo altri obblighi o per sua personale devozione. Successivamente, nell’anno 1682, con strumento rogato dal notaio Carlo Ciccarelli, si stabilì che la detta Messa fosse applicata nei giorni feriali per l’anima di D. Carlo Gaetano e di altri benefattori, mentre nei giorni festivi di precetto si doveva celebrare *pro populo*.

Altro Breve per l’Insignità di S. Maria Maggiore

Sebbene non fosse necessario, data l’ormai consolidata preminenza e insignità della Collegiata di S. Maria Maggiore di Piedimonte rispetto alle chiese rivali, nel 1692 fu comunque richiesto e ottenuto da Papa Innocenzo XII un ulteriore *Breve* di conferma del Decreto favorevole emesso dalla Sacra Congregazione dei Riti nel 1662, come già precedentemente riportato.

Dello Smembramento di Sepicciano da S. Maria Maggiore

Così come l’inizio del XVII secolo fu segnato dallo smembramento della Chiesa e del popolo di S. Potito dalla giurisdizione di S. Maria Maggiore, l’ultimo avvenimento di rilievo del medesimo secolo fu l’erezione in parrocchia della Chiesa di S. Marcello, situata nel Casale di Sepicciano. La differenza tra i due casi è notevole: mentre S. Potito era già chiesa battesimale prima di essere unita a S. Maria Maggiore dal vescovo Angelo, S. Marcello non fu mai altro che una piccola chiesa officiata da due o tre preti nel piccolo casale, eppure ottenne l’inaspettato privilegio di essere elevata a parrocchia.

Osservazioni e Smembramento di Sepicciano da S. Maria Maggiore

Nel 1695, su richiesta del popolo di Sepicciano e con il preventivo consenso del Vescovo, la Sacra Congregazione del Concilio concesse il seguente rescritto per la creazione di una nuova parrocchia nel casale:

Populus Sepiciani ex quatuor centum Animabus constitutus, attentis notabili unius Millearii distantia, et asperitate itineris a collegiata Parochiali Terrae Pedemontis, supplicat indulgen Episcopo, ut eis Prochum deputet proprium, qui resideat in eodem Casali, et Ecclesia S. Marcelli, dum tam ipse, quam Baro loci congruam pro Eo necessariam subministrabunt.

Die 28 Maji 1695 – Sacra Congregatio Eminentissimorum S. R. Ecclesiae Cardinalium, Concilii Tridentini Interpretum – Attenta Relatione Episcopi Aliphani, benigne commisit Eidem, ut veris existentibus narratis, super expositis, utatur facultate sibi tributa a Sac: Congregatione Concilio Tridentino Cap: IV Tess. XXI de Refor. – Cardinalis Mariscottus Pro-Praefectus – L. Pallavicinus Secretarius.

Della Messa Conventuale e delle condizioni del Capitolo di S. Maria

Di non restar gravati, ed interessati di contribuire al nuovo Parroco somma alcuna, né perpetua, né ad tempus; e restare immuni da qualunque peso, ancorché fosse de Natura Rei.

II. Di dovere detto Parroco ogni Anno nella Festa della Vergine Assunta venire in S. Maria, in forma Parochi, e presentare ai di Lei Canonici una libbra di Cera Lavorata, in ricognizione del diretto Ius, che hanno sopra detta Parrocchia.

III. Che volendo qualsisia di detti Canonici portarsi in detta Parrocchia ad amministrarvi il Battesimo a qualunque Infante, il Parroco non ce lo possa impedire.

IV. Che accadendo ad Essi Canonici di passare per qualunque luogo del distretto di essa Parrocchia, o siano tutti, o la maggior Parte, ed anche uno solo con croce, e stola, non possa esso Parroco impedirli di passare, e ripassare a loro Arbitrio. [249]

V. Che nemmeno impedire possa il Parroco di S. Potito, quando passi processionalmente per lo distretto di Sepicciano nella Festa di S. Marcellino, o nelle Feste di Pasqua, ed in altre circostanze, volendo andare in S. Maria Maggiore, o in S. Maria Occorrevole, o altrove, del pari con croce, e stola, anche nella stessa Collegiata di S. Maria, e ciò per dritto antico, che vanta la Chiesa di S. Potito.

VI. Che nel Sabbato Santo non possa suonare le Campane di detta Parrocchia prima, che suonino quelle di S. Maria Maggiore di Piedimonte.

VII. Che se mai si dimettesse detta Parrocchia avigenda restino intatti, ed illesi i dritti, ragioni, ed azioni, che dessi Canonici vi hanno – Al che siegue la sottoscrizione dell’Arciprete, Prima dignità, e di tutti gl’altri undici Insigni Capitulari di S. Maria Maggiore di Piedimonte.

Quindi essendo stati ammoniti sotto il dì 4 marzo 1697 di portasi a dì 6 del detto mese in detto Casale, per assistere alla designazione dei Confini di essa Parrocchia, o pure di mandarvi altre persone ad assistervi per Essi – Il medesimo giorno fu fatta la detta designazione coll’intervento del vicario Generale della Curia Alifana, ed il Cancelliere di essa, non meno che con quella dei Signori Canonici di S. Maria D. Pasquale Giorgi, e D. Carlo Raucci, in nome, e parte di tutto il di lei Capitulo in presenza di testimonii in numero opportuno, [250] e ne fu stipulato Istrumento da D. Francesco Canonico Pezza, Notaio Apostolico.

Ultimamente, essendo preceduto assegnamento, fatto dagli Economi della Cappella del SS.mo di Piedimonte, di alcuni Capitali di annua rendita di ducati sette, ed un Tarì, sotto il dì 10 mar: 1697 per gli atti di Notar Tommaso Ciccarelli – E preceduta in data del giorno seguente la monizione ad sententiam definitivam, fu questa proferita il dì 14 dello stesso mese, ed anno dalla vescovile Curia di Alife, e con essa la Chiesa di S. Marcello di Sepicciano fu eretta e fondata in Parrocchiale, e Curata – L’elezione a deputazione del Parroco pro tempre riservata all’ordinario, ed alla S. Sede apostolica; libera da ogni Giuspadronato, fuorché dai dritti riservatisi dal Capitulo di S. Maria Maggiore di Piedimonte; con in facoltà di esigere le decime dagli abitanti di detto Casale. E questa è la Congrua? – Finocchi.

Ed ecco una Parrocchia fata di nuovo, che oggi altro non ha, che le decime, avvegnaché l’assegnamento di duc: 52 dalla Casa di Laurenzana è mancato, e non è stato Capiente nel Patrimonio del dotante, di cui si è fatto concorso nel S.R.C.

Il frutto di quei pochi Capitali appena basta per l’olio della lampada, che arde innanzi il venerabile.

Si era offerto il popolo di mantenere la Chiesa provvista di Cere, ma in fractione panis nessuno ne dava. – Bisognò, che si proponesse il [251] bisogno nel Pubblico Parlamento di Piedimonte, da cui a dì 20 Marzo, cioè Sei giorni dopo la sentenza di Erezione, fu determinato, che durante il bisogno, si dassero per detta Causa annui ducati Otto. Oh miseria! – Ognuna sa, che non si debbono fare le nozze coi Funghi, e pure qui furono fatte!

Gianfrancesco Trutta

CRONACA DI QUATTRO SECOLI

Terza parte

· Secolo XVIII

[252] Se negli antecedenti Secoli Della Insigne Collegiata di S. Maria Maggiore di Piedimonte abbiamo procurato di meritarci indubitata Fede, e Credenza tra le tante Scritture, che abbiamo prodotto in compruova di ciò, che abbiamo fedelmente narrato di quanto a detta Chiesa è avvenuto: maggiore Fede crediamo di meritare nella Istoria, che ci accingiamo a rapportare di questo corrente Secolo XVIII, narrando cose, non solamente da Noi lette, e sentite dire, ma cogli Occhi proprii vedute, potendo dire con Enèa presso Virgilio: Eneide Lib: 2° – “…Quaeque ipsa miserrima Vidi, / Et quorum Pars magna fui…”.

Delle Brighe Per Le Candele Delle Esequie

Sino dal 1695, allora che reggeva la Chiesa Alifana Monsignor D. Giuseppe de Lazara, ricorsi essendo da lui i Sacerdoti, e Chierici della Città di Piedimonte, esposero, che venivano forzati a consegnare le Candele, che gli erano date a portare in mano dai Parenti delli Defunti nelle Esequie di Questi; da Canonici, e Curati delle Chiese di S. Maria [253] Maggiore, della Annunciata, e di S. Croce, a loro stessi, sul pretesto, che tutte le Cere delle Esequie Spettino al Parroco; quandoché in Piedimonte non vi era consuetudine di lasciarle, ma ritenerle per Se, a titolo di Limosina, come si praticava nella Città di Alife, ed in tutta l’Alifana Diocesi; onde si degnasse ordinare, che non venissero per tale causa più molestati . – Se ne ordinò l’Informo; e D. Biagio Sanzio, D. Benedetto Valente, e D. Pietro Caicchia, Canonici della Cattedrale di Alife, testimonii prodotti dai medesimi Preti, dissero, che in Alife si praticava, che Ciascuno del Clero si riteneva quella Candela, che gli si dava a portare accesa nella Processione del Funerale; e così ancora avevano veduto praticare in Piedimonte, quante volte insieme col di loro Capitolo, erano intervenuti alle Esequie dei Vescovi, e dei Baroni del luogo. – In quanto poi alle altre Esequie, sapevano, essere state sempre Brighe, Contrasti, e Dissidii fra detti Preti, che ricusavano dare le loro Candele ai Curati, e Canonici di dette Collegiate, e fra essi, che le Dimandavano. –

Si interpose il buon Prelato per vedere di Quietare nel miglior modo le Parti altercanti, ma queste si trovavano troppo accanite, perché in ogni Esequie di Persona benestante, dove oltre il Capitolo, era invitato ad intervenire il Clero, vi accadeva una guerra Civile, anche fra laici [254] qual tenendo le parti dei Canonici, quale dei Preti e dei Chierici, che allora erano molti, tanto che in Piedimonte si contavano Quarantadue (XLII) Preti, detti extra-partem, e Venti (XX) Chierici, oltre Dodici (XII) Seminaristi, che allora per Abuso intervenivano anche Essi nei Funerali, Onde fu espediente lasciali ricorrere alla Sacra Congregazione dei Vescovi, e Regolari, dalla quale a 25 Maggio del 1703 fu Decretato. –

Aliphana Funerum, seu Candelarum inter Parochos et Canonicos Collegiatae Terre Pedemontis, et Prebyteros extra partem, et alios.

Constare De Sufficienti Consuetudine Reliquendi Candelam In Casu, De Quo Agitur. –

Presentato quindi esso Decreto nella Vescovile Curia di Alife, a dì 30 Giugno dell’anno medesimo, (1703) si ottenne da Monsignor Angela Maria Porfirio, da Camerino, (città nell’Umbria) che sino dai 5 Marzo di esso anno governava la Chiesa di Alife, un mandato contro i Sacerdoti, e Chierici di Piedimonte, e della Vallata, acciocché, sotto pena di ducati Venticinque per ciascheduno, ed in sussidio della Scomunica, nell’associare, che facevano i Defunti, dovessero eseguire il Soprascritto Decreto juxta Sui Seriem Continentiam etc. –

Qual Decreto venne ancora intimato a dì 9 del seguente Mese di Luglio ai medesimi Preti, che ai Dieci del Mese istesso ne appellarono formalmente alla Apostolica Sede. [255] Ma perché l’Appellazione non fu proseguita inter legitima tempora, e restò la causa deserta, Furono sempre astretti a lasciare le dette Candele.
Avendo però da quel tempo i Benestanti incominciato ad eligersi la Sepoltura nelle Chiese dei Regolari; ed essendosi andato sempre a diminuire il numero dei Preti, e dei Chierici; e così ancora lagnandosi i Cittadini, che per tali Brighe erano proibiti di invitare tutto il Clero alle Esequie dei loro Defunti, i Signori Canonici hanno da un pezzo incominciato a dissimulare, e tacitamente consentire, che detto Clero si approprii le sue particolari Candele, e sonosi tolte le Scandalose bajate.

Congregazione, Monte dei Morti del Santissimo.

Monsignor Fra Girolamo Zambeccari nell’anno 1625; che fu il primo Anno del suo Vescovado di Alife, venuto in Piedimonte, eresse dentro S. Maria Maggiore una Congregazione, o sia Monte de’ Morti del SS.mo Sagramento, aggregandovi quanti Fratelli vi si avessero voluto ascrivere, col solo peso di pagare due grani, e mezzo il Mese, e col godere il suffragio di tre Messe il giorno da celebrarsi per detto Monte, ed in morte di ciascuno Fratello, o Sorella, Messe Quaranta basse, di una Cantata, oltre il dritto delle Esequie, da soddisfarsi ai Signori Canonici, che associati gli avrebbero.

Fra queste ed altre Regole, che il detto Prelato formò [256] vi fu quella, che dessa Congregazione, o Monte, dovesse governarsi da un Rettore, Canonico della Collegiata, e da un Segretario, Prete estraparte, che dovesse attendere alla Esazione, e registrarla nel libro, e soddisfare i pesi, colla subordinazione al Rettore.

Quindi per anni ottanta regolatasi la Congregazione medesima, in modo che ciascun fratello n’era contento, e la medesima era cresciuta in dovizie, poi che tutto quello, che era sopravanzato dalla Esazione dei Fratelli, dalla soddisfazione delle Messe, Esequie ed altro, erasi posto in Capitale, e compratene annue rendite a quella buona ragione che allora correva; – Venne in testa a Monsignor Porfirio nel 1706 di creare Esso in ciascuno Anno il Rettore, e Segretario della Congregazione anzidetta, e toglierne l’elezione ai Signori Canonici, che da 80 anni erano in possesso di farla, onde volerla nel fine di detto anno 1726 proibire ai Canonici, e farla Egli, a cui credeva, che appartenesse per le massime della Curia Romana, dalla quale egli veniva. – Ma i Signori Canonici di S. Maria avvertiti di ciò, ricorsero in tempo all’Auditore dell’Apostolica Camera in Roma, e a dì 4 Sett: del medesimo anno ne ottennero ampio Monitorio contro il promotore della Sua Curia, a cui lo fecero intimare giuridicamente; – Ma il Vescovo allora considerato il Possesso inveterato, che di far tale elezione aveva il Capitolo, e conosciuto, che Ella in pieno dritto a lui spettava, come quello, ch’era composto dei principali Fratelli, riserbandosi solo l’elezione dei Razionali per vedere i Conti [257] di detti Uffiziali, cessò dalla sua Prensione, e chetossi, anzi col pretesto del miglior Regolamento di esso Monte, rivedere ne volle le Regole, e ve ne aggiunse, e postillò, e sghinizzò a suo talento.

Pretesa Separazione Della Arcipretura

Era già nell’anno 1706 molto invecchiato il Dottor di legge D. Giov: Angelo delle Nozze, Canonico, ed Arciprete della Insigne Collegiata Chiesa di S. Maria Maggiore, quando veniva continuamente importunato dal Chierico Nicola Potenza, suo Nipote ex Sorore, perché prima che morisse, gli rinunciasse ad favorem il suo Canonicato, e la sua Dignità. – Il buon vecchio, che amava il Nipote, ma amava più se stesso, avrebbe voluto compiacerlo, ma non si risolveva a spogliarsi di quell’Onore, che lo aveva fatto rispettabile per tanti anni, e li diceva: – Io vorrei, Nicola mio, consolarti, ma non vorrei sconsolarmi, perché dopo la Rinuncia, restando un Semplice Prete, vecchio, e cadente, sarò il Peripsema di Tutti. – Replicava il giovinetto – Almeno, Caro Zio Arciprete, rinunciatemi il Canonicato, che può dare Sussistenza, e ritenetevi l’Arcipretura, che vi farà rispettabile sino alla fine dei Giorni vostri. – Questo gli diceva ancora il Padre e la Madre del giovine, cognato, e Sorella dell’Arciprete. – [258] Stà, se si può fare, se la Cosa ha il suo Cammino, soggiungeva il buon vecchio – Si conchiuse prenderne il parere dei Savii; ma Questi prevenuti da quelli ai Quali importava la Effettuazione dell’affare, e che travedevano per la passione, consigliarono l’Affermativa, aggiungendo soltanto, che si doveva usare Segretezza. – Onde Segretissimamente si stipulò la rinuncia del Canonicato all’uno, e la riserva della Arcipretura all’Altro; e si mandò in Datarìa, colla Ratifica, e col Contante. – Onde in un tratto furono spedite le Bolle, che venute in Piedimonte, fecero, che il Nicola Potenza ex abrupto si mise del Canonicato in Possesso. –

Restarono Storditi a tale accidente gli altri Capitolari di S. Maria, ed altro in quel Frangente far non poterono, che dire di Nullità di quell’Atto, con protestarsi, ed appellarne Ad Sanctissimum – Ed infatti se ne introdusse la lite nella Segnatura di Giustizia, dove furono presentati dai Signori Canonici i Documenti contro il Dismembramento dell’Arcipretura dal Canonicato, fra quali forse, e senza forse andò la Fondazione in Collegiata di S. Maria, e della Arcipretura in Dignità della medesima, che ora si è perciò disgraziatamente perduta, se non si era prima perduta negli incendii dell’Archivio Alifano del 1565, e del 1675. –

[259] Presentaronvi ancora il delle Nozze, e ‘l Potenza le loro mendicate Scritture, che credevano, che facessero a prò di detta separazione, ed allora saltò fuori quella miserabilissima, e falsissima Bolla, attribuita a Monsignor D. Giambattista Santorio del 1582 di cui si è fatta da Noi parola nella Appendice, posta nel fine del Secolo XVI, su della quale, credendola Scrittura Leale, mi ricordo, che faceva gran fondamento l’Avvocato D. Domenico di Tomaso (natio di Piedimonte, ma che in Napoli aveva acquistato gran fama) in una allegazione, che scrisse a favore di essi delle Nozze, e Potenza, dicendo, che perché Monsignor Santorio aveva nullamente unito l’Arcipretura di Piedimonte al Canonicato di un tal D. Vincenzo Paterno in S. Maria, usurpandosi una facoltà, che dopo il Concilio di Trento è del Sommo Pontefice, quindi dovendosi tale unione avere per non fatta, era stato libero al delle Nozze rinunciare al Canonicato, e ritenersi l’Arcipretura. – Era Sottile l’Argomento, ma laborabat in Falso Supposito, come dicono i logici.

Si agitò dunque la Causa in detta Segnatura di Giustizia, che odorata la Falsità della Bolla Santoriana, e veduto, che l’Arcipretura era stata sempre unita al Canonicato, a 23 Dic: 1706 decretò che si circoscrivessero i possessi dei Beneficii, e sopra i loro frutti si mettesse il sequestro. –

[260] Qual Rescritto fu confermato dal Cardinal Spada, Prefetto di detta Segnatura di Giustizia colla Formola – Pareto literis arbitrio Rotae, circumscripta possessione, et apposito Sequestro – come apparisce dal mandato di esso Prefetto delli 17 Febbrajo 1707, o sia dall’Istrumento originale di detto Decreto, che fu presentato nella vescovile Curia Alifana a dì 12 Marzo dell’anno medesimo, e nello stesso giorno, dal Cursore Ordinario di lei intimato, e notificato a detto R.do D. Gio: Angelo delle Nozze, ed al Chierico Nicola Potenza in casa propria, relicta Copia Authentica in potere di esso D. Gio: Angelo, e chierico Nicola – quali si accorarono tanto della perdita di tal causa, che fra breve ambedue se ne morirono. – E la Dataria Apostolica ad ad altri, l’uno e l’altro Beneficio provvide.

Lite Per l’Applicazione Della Messa Conventuale

I Preti Beneficiati delle Sei Chiese Battesimali di Piedimonte non ebbero mai obbligo di cantare la Messa Conventuale Quotidie, ma solo nelle Domeniche, nelle Festività del Signore, e della Beatissima Vergine, e degli altri Santi Doppî, cioè Feste di Precetto, [261] onde si radunavano in S. Maria, ed ivi cantavano Messa Solenne, e l’applicavano pro Populo, come appare dai Regolamenti del Vescovo Angelo. Num: IV –

Unite poi dette Sei Chiese a S. Maria, seguitò ivi a non celebrarsi, né cantarsi nei giorni Feriali detta Messa Conventuale, e neppure vi si celebrò mai sollevata ad esser Collegiata, ed avere un Capitolo di XII Canonici coll’Arciprete, che fu nei principii del XVI Secolo, per la ragione, che detta Messa Cantata dovendosi applicare pro Benefactoribus, di questi in tempo di sua Fondazione non ne aveva avuto alcuno, e crederono, che come non erano obbligati alla Recita delle Ore Canoniche Cotidianamente, così non avessero assunto altro obbligo, che quello di Parrocchie, e di Beneficii, de quali solamente possedevano le Rendite. –

Nell’anno poi 1591, essendosi dal Capitolo di S. Maria, ai 5 Aprile, per Istrumento, rogato da Notar Cesare Loffreda, ricevuto un Annuo Assegnamento per la celebrazione di una Messa il giorno per D. Cassandra di Capua, alla Elevazione della Quale dovessero chiamarsi alcuni Tocchi della Campana grande, cominciò detta Messa a chiamarsi Conventuale, e così seguitò a dirsi sino al 1597, in cui essendo cessato l’Assegnamento di detta Signora, pure seguitò a celebrarsi detta Messa cotidianamente con Tocchi della Campana grande, ma con applicarsi ad arbitrio del Canonico Celebrante, come deposero i Testimonii, esaminati nel Processo della Riduzione Novenale di Messe dell’Anno 1667. –

[262] E D. Diana di Capua, Duchessa di Laurenzano, appunto Sette anni dopo, che S. Maria Maggiore vinse la lite della Insignità nella Congregazione de’ Sacri Riti, cioè nel mille seicento sessantanove (1669) fatto un pingue legato a favore di Essa Chiesa, le impose, tra gli altri Pesi, di doversi Recitare Cotidianamente le Ore Canoniche in Coro, e con Esse cantarsi la Messa Conventuale Quotidie, senza obbligo però di applicarla per alcuno, e lasciò al Canonico, che la cantava, la libertà di applicarla così per altro obbligo, come per propria divozione. – Ed aggiunse, che il Capitolo potesse in avvenire ricevere, ed accettare altre somme, promesse, e da promettersi da altri Benefattori per l’applicazione di detta Messa Conventuale, della quale avesse a partecipare tanto Essa D. Diana, quando ognun altro. –

Ed infatti, sotto il Dì 4 Marzo del 1682 – D. Carlo Gaetano, figlio di essa D. Diana, con istrumento rogato per Notar Carlo Ciccarelli, fatto un legato di Ducati Mille a favore del Capitolo, gl’impose l’obbligo di applicare per la sua Anima la detta Messa Conventuale nei giorni non Festivi di Precetto (giacché nei giorni Festivi di Precetto deve cantarsi, ed applicarsi pro Populo) ed in quelli, citra praejudicium di Deta D. Diana, e di altro Benefattore anteriore, che mai stato vi fusse. –

Praticossi così per 24 anni, nel 1706 saltò in testa a Monsignor Porfirio, nella visita di essa [263] Insigne Collegiata ordinare, che, oltre la Messa Conventuale, che vi si cantava, applicandosi per D. Carlo Gaetano, D. Diana di Capua, ed altri, se ne dovesse cantare un’altra pro Benefactoribus in genere: – né ci fu verso, né via per capacitarlo facendoli vedere, che tal peso non aveva dalla sua Fondazione la Chiesa, e che mai portato lo aveva da Secoli, e non vi era Fondo, su del quale imposto si trovasse. –

Bisognò dunque ricorrere alla Sacra Congregazione de’ Vescovi, ed affidarsi al Patrocinio del celebre Francesco Monacelli, Autore del Formulario Legale Pratico del Foro Ecclesiastico, il quale nel mese di Settembre 1707 scrisse a favore di S. Maria, una ben ragionata Allegazione, che va stampata nella Edizione del Baglioni di Vinezia, o Venezia. Tom: 1 Addit: pag: 33. – Quale Allegazione ebbe la Sorte di capacitare la DURA TESTA del Porfirio; tanto che da indi in poi teneva sempre sul Tavolino l’Opera del Monacelli, e non se appartava una Iola. –

Lite per la Cura delle Anime

È così antico il Dritto dei Canonici di Piedimonte di eligere in ciascuno anno Due delli loro capitulari ad amministrare per un anno, la Cura delle anime, che conta la sua Origine da poco meno di Quattro Secoli. –

[264] Dal 1417 che furono fatti i celebri Regolamenti del Vescovo Angelo per S. Maria Maggiore, e per le altre cinque Chiese beneficiali, sue Compagne, e Figlie, incorporandole egli quelle (N.I.) dopo che fussero mancati, o per Morte, o per Dimissione, i Rettori delle Medesime, disse, che per l’Amministrazione della Cura delle Anime si fossero eletti due o tre Preti, dei più probi, e dei più ben visti dal Popolo, e questi, anno per anno amministrassero i Sacramenti sotto nome di PATINI (vocabolo proprio di Piedimonte, che danno i Battezzati al Curato, ed il Curato ai Battezzati da lui) – Questa Elezione fu fatta senza Querela da Preti per tutto il Secolo XV – e per tutto il Secolo XVI da Canonici; Se non che nell’ultimo Anno di esso Secolo, cioè nel 1600 procurò Inficiarla il Vescovo Fra Modesto, con volerla trasferire nell’Arciprete. – Ma li Signori Canonici ne appellarono alla S. Sede Apostolica nelle debite forme, dove fata la Causa a dì 20 Feb: del 1601 fra gli altri Decreti, da Noi registrati nel principio del Secolo XVII ne riportarono piena vittoria con quello, registrato al Num: IV, che dice: – che i Canonici in ogni principio di anno debbano deputare Due di loro, che amministrino la Cura per un anno, da approvarsi però dal Prelato. – E detto Decreto nel 1608 venne confermato con gli altri dalla stessa Sacra Congregazione, che ne scrisse al Vicario Capitolare di allora, facendoli premura di fare osservare i suoi [265] Decreti del 1601, dei quali ne gli acchiuse autentica copia. –

Nel 1648 – nondimeno si mosse nuovamente questa Pedina da Monsignor Pietro Paolo de’ Medici – il quale nella visita a’ Sacri limini asserì, che sarebbe stato spediente erigere le Cure di S. Maria, della Annunciata, e di S. Croce in perpetue Vicarìe, e la Congregazione del Concilio acconsentì a tale inchiesta. – ma poi, a ricorso dei Canonici, gli ordinò che Niente avesse innovato, ed egli stesso nel medesimo anno approvò la Elezione da farsi dai Capitoli, ordinando solo, che si facesse per Voti Segreti. –

Venne poi Vescovo di Alife Monsignor D. Domenico Caracciolo, e perché voleva far novità, i Canonici gli presentarono la seguente lettera del Segretario della Sac: Congregazione, il Cardinale Ginetti del 25 Agosto 1665. –

Per la Istanza, fatta dal Clero, ed Università di Piedimonte – Questi miei Eminentissimi Signori mi han comandato, di scrivere a lei, che si contenti osservare i Decreti, emanati dalla Sac: Congregazione.

Finalmente questo dritto sì antico diede negli occhi di Monsignor Porfirio, il quale su i principii del 1708 fece relazione alla stessa Sacra Congregazione contro la Cura Abituale dei Tre Nostri Capitoli, e disse: – Essere un abuso, che cagionava grave Detrimento alle Anime, il perché con lettera del Cardinal Carpegna, che gliene dava l’ordine, prefisse agli anzidetti Nostri Capitolari [266] il termine di giorni Quaranta a dedurre in Roma le proprie ragioni – Nulla però di manco Io trovo, che si fosse per allora proseguita la Causa. –

Essendone però nascoso sotto la Cenere il Foco per Diciassette anni, egli tornò a divampare nel 1725 per una frivolissima Causa. – Avevano nell’ultimo giorno del 1724 uniti in Capitolo i Canonici di S. Maria eletto per Curati dell’entrante anno 1725 D. Casimiro de Benedictis, e D. Nicola di Stefano – E ‘l Benedictis essendosi immediatamente presentato al Vescovo, fu ammesso; ma non così il de Stefano, che per legittimo impedimento d’infermità trattene a farlo qualche giorno; ma in quello dei 3 di Gennajo, ad istanza del Fisco, dichiarò esso Vescovo, che il dritto di eligere il Curato MANCANTE a lui spettava – E per ciò deputava per uno dei Curati del corrente Anno 1725 il R.do Arciprete D. Michele Angiolo Pagano, già tale negli anni passati, con tutte le facoltà etc. E fece tale Dichiarazione intimare. –

Non se la tenne il de Stefano per non essere stato compatito per un giorno; né se la tennero i Canonici, che stimarono loro affronto il non essersi ammessa in tutto la loro Elezione – Ed anche perché il Vescovo aveva eletto l’Arciprete, da cui altre volte, che lo avevano eletto, avevano ANTECEDENTEMENTE ESATTO UNA DICHIARAZIONE DI ESERCITAR LA CURA, NON COME ARCIPRETE, ma COME CANONICO, DA ESSI ELETTO E [267] DESIGNATO – Sicché appellarono al Metropolitano di Benevento dal decreto del vescovo, e ne ottennero la sentenza, che segue. –

In Causa – Die 20 Februarii 1725 – RR.mus Dominus P. vicarius Generalis Archiepiscopalis, et Iudex Metropolitanus – Visis – Decrevit; – Male fuisse, et isse judicatum per dictam Curiam Episcopalem Aliphanam, et bene Appellatum per dictos canonicos, et D. Nicolaum de Stephano, et decretum latum pro electione Domini Archipresbyteri in locum dicti Canonici de Stephano fore, et esse Revocandum – prout revocavit – Eudemque Canonicum de Stephano pro Exercitio Curae dictae collegiatae electum a dictis canonicis Manutendum fore, et esse – prout manuteneri mandavit in possessione exercendi curam in Ecclesia praedicta, et mandatum necessarium etc. relaxavit – Ita pronunciavi Ego (Archipresbyter Macerone P. vicarius Generalis, et Iudex Metropolitanis) –

Ognuno può figurasi, quanto si tenne offeso da tal sentenza il Porfirio, che fatto ricorso all’Eminentissimo Pro-auditore del Papa, per la remissione della Causa nella Sacra Congregazione del Concilio, ed ottenutala, fece intimare i signor Canonici, coi quali si concordarono i seguenti dubii, da disputarsi in detta Sac: Congregazione.

Primum – An ad Cononicos Ecclesiae S. Mariae Majoris Pedemontis, ejusque Capitulum Spectet Cura habitualis ejusdem Ecclesia in Casu – Et quatenus affirmative – Riporto, per tenere sotto occhio la risposta… etc.

[268] Primum Dubium – An ad Cononicos Ecclesiae S. Mariae Majoris Pedemontis, ejusque Capitulum Spectet Cura habitualis ejusdem Ecclesia in Casu – Et quatenus affirmative. –

R. – Ad primum affirmative. –

D. II – An iidem Canonici possint in fine cujus libet Anni devenire ad electionem Duorum Canonicorum pro exercenda cura actuali – Vel debeant eligere Sacerdotes extra gremium Capituli in casu etc. Et quatenus affirmative. –

R. – Ad secundum affirmativa, quod primam Dubii partem; et ad Secundam Negative.

D. III – An dicta Electio sit approbanda ab Episcopo in Casu…

R. – Ad tertium Affirmative, et amplius. –

Non ostante però questo Amplius così specchiato, che vietava di più proporsi tal causa : Quei, che facevano in Roma le parti del Vescovo, ebbero l’audacia di dimandare la Nuova Udienza. –

Trovarono, però il LAMBERTINO, che ricevé il loro Memoriale, e sebbene gliene fu dato un altro per li Canonici, acciocché detta nuova udienza negasse, pure gliela volle accordare. Ma che…? Presero Essi per Avvocato aggiunto il famoso Domenico Ursaja, onde ajutati prima dalla Ragione, che gli assisteva, e poi dalla Penna, e dalla lingua di Esso; [269] nel medesimo anno 1726 vinsero di nuovo Rotondamente la Causa; a cui fu imposto Perpetuo, ed inviolabile silenzio. –

Da quel tempo tutti i Vescovi che sono venuti dopo il Porfirio, non si sono mai più ingeriti nella Elezione dei Curati, ma solo si han mantenuto il dritto di approvarli, coll’esame, se non erano Confessori, ed anche senza, quanto erao tali; e non gli ostava alcuna mancanza. E se ma gli Eletti han portato legittima scusa d’infermità, di avanzata vecchiaia, e di altro impedimento Canonico per cui non poteva esercitare la Cura, hanno rescritto: – Fiat nova Electio, per quos spectat. –

Brighe per le processioni co’ Domenicani

Facevano i Frati Predicatori del Convento di S. Tommaso di Aquino di Piedimonte in ogni Prima, e Seconda Domenica di ciascun Mese Due Processioncelle, cioè quella della B. V. del Rosario, e quella del Bambino Gesù, uscendo da detta chiesa, e girando per la Piazza di S. Domenico, e rientrando in Essa; quando, come ognuno sa, eletto Sommo Pontefice F. Vincenzo Cardinale Orsini, Arcivescovo di Benevento, col Nome di Benedetto XIII volle gratificare il suo Ordine, dando fuori la Bolla, Pretiosus con cui rinnovò, ampliò, e di nuovo concesse a quello più e più Privilegi. – Invaniti i Frati suddetti [270] portarono di fatto la Processione della Vergine del Rosario sino alla Piazza del Mercato di Piedimonte, il che fu nella Prima Domenica di Gen: 1728.
Poteva la cosa dissimularsi, e non farne alcuno Caso, perché in realtà né aggiungeva Splendore all’ordine de’ Predicatori, né toglieva alcun vantaggio all’Insigne Collegiata di S. Maria. – I Canonici però di lei, in quel tempo stimarono, che fosse un attentato di grave loro Pregiudizio, ricorrendo al Vescovo Porfirio, acciò vi dasse riparo, e Questi ordinò che si procedesse, Servatis servandis, A interim nihil innovari. – Arsero i Frati, allorché gli fu notificata tale Provvidenza, di Sdegno, ed allegarono l’Incompetenza del Giudice; ma poi con loro supplica, allegando la suddetta Bolla Pretiosus interpellarono il Vescovo a pubblicare la medesima, raffrenando con Censure l’audacia dei loro Avversari, acciò potessero fare tutte le Processioni, al loro Ordine promesse, alzare la Croce, portare la Stola, amministrare Sagramenti… ed aggiunsero, che in caso contrario ne appellavano al Vicegerente di Benevento, a Monsignor Nunzio Apostolico in Napoli et usque ad pedes SS.mi in Roma – Ammise il Vescovo l’Appellazione si, et in quantum, ma pendente la stessa ordinò: Nihil innovari sub paenis attentatorum, e replicò lo stesso Decreto di Nihil innovari all’istanza, che gli ferono i Canonici, acciò impedisse la Processione, che vantavano di voler fare essi Frati nel giorno undecimo dello stesso mese, per tutto il Distretto della loro Parrocchia. –

[271] Intanto in Benevento non dormiva il Procuratore dei Frati, onde essendo comparso a loro nome in quella Curia Metropolitana, ne ottenne a 15 del mese istesso le lettere Inibitoriali in forma contro la Vescovile Curia Alifana, quali furono intimate alla medesima, ed ai Canonici nelle solite forme, e si fece ordine al Cancelliere di dar copia degli Atti etc. ed a tutti d costituire i loro Procuratori in quella Città. –

Ma i Canonici ne vollero TROPPO, perché avendo la Curia Metropolitana decretato; spettare a’ Frati l’ampliazione del Passaggio delle controverse Processioni e nel tempo stesso rimesso al Vescovo il determinare sin dove esse dovessero estendersi, con tutto ciò ne interposero l’appellazione, e fecero istanza, che il Vescovo non procedesse a detta determinazione, con protestarsene. Così fanno coloro che possono finire una Briga, e la vogliono tirare avanti sino all’infinito. –

Ciò però non ostante, il Vescovo lo stesso giorno spedì la solita Requisitoria,che voleva procedere all’Ampliazione del Transito delle Processioni accennate indi a due giorni, cioè nel Dì 8 di Marzo; come fece decretando, che in avvenire le Processioni del SS.mo Rosario, e del SS.mo Nome di Gesù, solite farsi in ogni prima, e seconda Domenica di ciascun mese, allungando l’antico cammino, si dovessero stendere sino alle case dei Magnifici fratelli d’Agnese, ed alla Chiesa del SS.mo Salvatore delle RR.de Monache, esclusive.

Niente però furono contenti i Frati di questa miserabile ampliazione, onde proseguendo la Causa nella Curia Metropolitana, impetrarono l’accesso di essa sulla faccia del luogo, che fu fatto con Agrimensori, e Tavolarii, con le loro Funi, [272] e catene, e con disegnatori, che fecero la Mappa Topografica della Piazza di S. Domenico sino a tutto il Mercato di Piedimonte. – Quasi tra Canonici, e Frati si contendessero del Dominio Temporale di esse Piazze, e Città. – In far che, essendosi consumati presso a due mesi, finalmente a dì 29 Maggio agitatasi la Causa in detta Curia Metropolitana, vi fu profferito un Decreto, manifestissimamente parziale ai Frati – adulatorio al Pontefice – ingiurioso alla Autorità Vescovile – ed ingiusto alla Collegiata, e diceva in sostanza:

Che stante il mensuale Transito delle Processioni del SS.mo Nome di Gesù, e del SS.mo Rosario, designato per la Curia Vescovile di Alife, e ‘l di lei Ill.mo, e R.mo Vescovo, era del tutto inetto, e scandaloso, il vicegerente di essa curia metropolitana aveva detto, e decretato, essersi bene appellato da Frati del convento di S. Tommaso d’Aquino, e malamente giudicato dalla detta vescovile curia, e perciò la designazione da lei fatta doversi circoscrivere, come la circoscrisse, e volle, e comandò, che si avesse per circoscritta. E che in appresso in Transito delle predette mensuali Processioni si dovessero dirigere, ampliare dal detto V. Convento di S. Tommaso di Aquino per la pubblica Piazza, che porta al piano del Mercato, e compito il circuito di detto Mercato, per la piazza medesima tornando al detto Convento, a tenore della Mappa Topografica, esibita negli Atti – E ciò sotto le pene comminate nell’Apostolico Indulto etc.

Questo TRIONFO de’ Frati però, come un lampo, che apparve e disparve – perché, essendo morto indi a poco Papa Benedetto XIII il di lui Successore Clemente XII ridusse ad tramites Juris tutte le Esorbitanti Bolle di lui, e le cose tornarono ad Pristinum.

[273] Brighe per li Funerali dei Canonici Cattedralisti.

Seguita la morte di D. Francesco Meola, Primicerio della Cattedrale di Alife a 26 del mese di ottobre del 1734 nella città di Piedimonte, nella di lui propria casa, sita nella Parrocchia della Insigne Collegiata di S. Maria Maggiore, i di lei Canonici, dal proprio di lui Fratello, ed Eredi furono chiamati ad associare il cadavere alla vicina chiesa dei PP. Cappuccini, dove vivente si aveva eletto la Sepoltura. – Ed eccoti svegliata pretensione del Capitolo Alifano di associare Esso il Defunto, col pretesto, che era Egli una delle di lui Dignità, benché non invitato, anzi contro la Voglia dell’Erede, e Domestici del Defunto. E nel mesedimo tempo eccoti rilasciata un’inibizione dalla Vescovile Curia Alifana, per mezzo del Pro Cancelliere di Essa, a voce fatta a Due del Capitolo di S. Maria, acciò non si fosse dal di loro Capitolo fatta l’Esequie, e ciò contro il Jus Naturale, delle Genti, e Civile, anzi contro i Decreti della S. Congregazione, che definiscono non potere i Parochi  essere impediti di associare i cadaveri dei loro Parrocchiani alla Sepoltura.

Si gravarono dunque i Signori Canonici di S. Maria di detto irragionevole Mandato, con fare istanza, che si circonscrivesse detta Inibizione etc. ma cantarono ai Sordi; poiché il dì seguente, 27 dello stesso mese, prope meridiem, gli fu notificato il seguente Decreto di essa Curia Vescovile.

[274] Per Curiam – ejusque substitutum – Visa – fuit provisum, et decretum, quod omnia – intimentur R.dis Canonicis Cathedralis Ecclesiae, et interim, citra praejudicium ambarum Paritium ; RR.di Curati Collegiatae Ecclesiae S. Mariae Majoris huius Civitatis statim accedant ad associandum Cadaver quondam D. Francisci Meola, alias licitum siet fieri associatio supradicti CAdaveris per Reverendos Canonicos Capitulares Tantum – Et ita per hoc Suum, A intimetur – Ioseph Canonicus Battiloro Pro-Vicarius Generalis Pasquale R. Canonicus.

Del qual Decreto ne fu dai Signori Canonici di S. Maria immediatamente interposta l’Appellazione ad SS.mumquale fu ammessa secondo lo stile “Si, et quantum et quod actum devolutivum, et non suspensivum” – Ma vaglia l’onor del vero, in procedere troppo precipitosamente, non volendo pregiudicarsi, si pregiudicarono oltremodo, perché tanto l’Esequie si fecero senza di Essi, e quello che fu peggio senza che i loro Curati avessero fatto la Benedizione del Cadavere in Casa prima di asportarsi alla chiesa, nella quale Benedizione consiste principalmente il Dritto Parrocchiale, e non già nell’associarlo per Via. – Dippiù si sbilanciarono imprudentemente in intraprendere un litigio, di cui era certissimo il Danno, ed il Dispendio, e la Vittoria difficile – Dovevano dunque Mandare un Curato a fare detta Benedizione del cadavere, e per chi si sia mandare a Scusarsi con la Parte; che non stavano comodi di venirla Servendo in quell’ora.

[275] Così avrebbero sfuggito la Simultà, che contrasseso col Vescovo Monsignor D. Pietro Abbundio Battiloro, natio di Arpino, ma oriundo di Piedimonte, trasferito dalla Cattedra di Guardia Alfesia alla Chiesa di Alife a dì 19 Dic: 1733, Uomo Colerico, e che perciò non visse, se non che fino alli 15 Ottobre 1735. – Questi, fattosi trasportare dal suo Naturale Bilioso, Spiccò Ordine quella mattina, che si suonassero a Duolo le Campane di S. Maria, con tutto che il Cadavere non si tumulasse in detta Chiesa – Potevano i Canonici Darli questa Soddisfazione almeno per Riguardo della Casa del Morto. Oibò! Replicarono di avere Capitolare Conclusione, che le loro Campane si dovessero suonare solo per uso della loro Chiesa, e non per altrui. – Il Prelato la voleva vinta, e mandò Due Malandrini perché le suonassero – I Canonici gli discacciarono, avendo prima fatto togliere dalla Campana Grande il Battocchio, e chiudere la Porta del Campanile col Catenaccio. – tornarono i Malandrini, e vollero abbatterla, urtandola con una Scala di legno, trovata ivi vicino, come se fosse una Macchina da Guerra: (il Tasso)

“Catapulta – Monton – Patto – o Balista”

Ma perché sentirono dire, che si erano mandati a chiamare i Birri per carcerarli, come disturbatori dei Divini Officii, che in quell’Ora appunto [276] si celebravano, atterriti si partirono – Ma incontrando per via un Cursore assunto col Collare di Prete (di cui era stato provveduto dal Vescovo) chiamato l’Arcisasso, accompagnato da una manica di altri Ribaldoni cum armis, et fustibus, e coll’Onirifico Titolo di Scoppettelli, e col Pro-Cancelliere della R.ma Curia, che mi vergogno di nominare, perché era Canonico della Cattedrale, tornarono di nuovo, minacciando di mandare a terra la medesima Porta coi Picconi di Ferro, e Martelli – Quel Ribaldo però col Collare Illustrissimo, pensando meglio Disse: “Alto, lasciate fare a Me”; e presa la Scala suddetta, con essa Salì sopra il Palco dell’Organo, da cui vi era al Campanile il Passaggio, e fattivi salire altri parecchi dei più Bravi Furfantoni, andò con essi alle Campane, ma trovatele senza Battocchi, le incominciarono Spietatamente a Percuotere con quei Martelli, che portato avevano per Isfasciare la Porta – Pensate che Tumulto ..! ..! ..! Accorsero i Sindaci, e Giudici della Università, gridando, che le Campane erano del Pubblico, e che si venivano a rompere, battendosi così alla Peggio, – Ma non erano sentiti, né alcuno si arrischiava andarsi a cimentare là sopra con quei Birboni, che della Torre Campanaria eransi [277] impossessati, e minacciavano gittar Sassi sopra quelli, che vi stavano attorno, se non rifossero partiti. – La cosa terminò, come Dio Volle, e la Campana Grande a capo a pochi Mesi, perduto il Suono, Si trovò Spaccata, che bisognò fondarla di nuovo. –

Per la quale Discordia col Vescovo, i Canonici della SS.ma Annunziata crederono essere Tempo Opportuno per loro, il far rinascere dalle Ceneri la lite Preminenziale, agitata nel Secolo antecedente nella S. Congregazione de’ Riti, di cui si è colà parlato da Noi, del quale Rinnovamento si parlerà dopo della Causa Funeraria, che abbiamo al presente sotto la Penna. –

Per effetto dunque dell’Appellazione, interposta in Roma nella S. Congregazione de’ Riti, fu della causa destinato Ponente l’E.mo Gotti, ed in presenza di lui si accordarono i Dubbii seguenti nel principio dell’Anno 1735 –

  1. An Canonicis Cathedralis Ecclesiae Civitatis Allifarum non invitatis liceat associare cadavera Canonicorum dictae Cathedralis, defunctorum intra Fines Insignis Ecclesiae Collegiatae S. Mariae Majoris, Civitatis Pedemontii, et quatenus affermative. –
  2. An intervenientibus Canonicis dictae Ecclesiae S. Mariae Majoris cum suo proprio Parocho, ipsi teneantur accedere sub Cruce dictae Cathedralis vel potius sub propria Cruce in Casu. –

[278] Furono dibattuti questi Dubbii in S. Congregazione – E scrisse su di essi in Facto, et Jure Pietro Marcellino di Luccia, che veder fece – spettare all’Erede del defunto ordinare l’esequie di Esso a suo beneplacito, né potere in esse esequie intervenire chiunque non sia da esso invitato, come è stato determinato anche da Real Dispaccio di poi. – Mostro, che nelle Conclusioni dell’Alifano Capitolo fra le altre vi era questa particella nel Numero 7 “Se poi morisse in Piedimonte, (qualche nostro Canonico) se non vorrà essere associato Capitolarmente con Cotta, e Mozzetta nel luogo dove si lascia, siano tenuti (gli altri Canonici) almeno assisterli appresso il Feretro con gli abiti lunghi”. – Dunque, diceva, che vogliono questi Signori Canonici, quando l’Erede non gli Chiama…? – E se dicessero di aver fatto altra Conclusione di andare a dette Esequie, e che perciò erano obbligati di andarvi Egli soggiungeva, che essendovi il Pregiudizio del Terzo, la Conclusione era Illecita, e Nulla. –

Scrisse ancora a favore di S. Maria in Jure, l’avvocato Domenico Ursaja, ed oltre le Patenti Ragioni, che apportò in favore di Lei, Strapazzò, come si meritava, l’Operato, e la Relazione dell’Ordinario, chiamando con la RUOTA – “Inanem, et nullo Juris fultam Praesidio”, la pretensione del Capitolo Cattedrale di intervenire Collegialmente in detti Funerali. Siccome la detta Relazione, non Relazione, ma scritto a favore, e lui non Giudice ma avvocato [279] parzialissimo; perché la di lui Curia aveva proceduto More Belli (come si può dire con ogni proprietà di parlare) e nella proibizione di non farsi l’Esequie del proprio Parroco, e nel comandarli poi di andarvi a suo Dispetto, e commettere tutte le avarie, che si sono riferite, e quella dippiù, di avere fatto carcerare malamente il Sacristano, Chierico di Ordini Minori, e tenerlo da Otto giorni in Ceppi, perché non aveva voluto manifestare il Canonico, che gli aveva dato l’ordine di togliere dalle Campane i battocchi, e serrare a Catenaccio del Campanile e la Porta. – In quanto al Malandrino col Collare, che non sapeva che – Qui scendit aliunde, ille Fur est, et Latro, via via – Ma non può mandarsi buona a un Prelato, che non si ricordi, che sono Essi – non quasi Dominantes in Cleris, sed Forma facti Gregis ex Animo. – I Banditi, gridava il Popolo scandalizzato, sono più dabbene della Nostra Corte Ecclesiastica, perché assalgono i Campanili per non fare toccare ad arme le Campane, ma QUESTA lo fa per fare venire una Rivoluzione. –

Ma che fine (sento dirmi) ebbe poi la causa Funeraria in Roma? Rispondo che non ne ho trovato Documenti nell’Archivio Capitolare: ma da una Risoluzione, presa dai Signori Canonici di S. Maria Maggiore di Piedimonte, e della Annunziata della Vallata, argomento, che si sia ad ambi i [280] Dubbii risposto affirmativamente: perché i Canonici della Cattedrale hanno seguitato a venire all’esequie di loro Confratelli, tanto in Piedimonte, quanto in Vallata: ma nell’uno, e nell’altro Quartiere si sono fatte trovare serrate le Porte delle loro Chiese, e dei loro Campanili, di modo che è lor bisognato portare i Defunti in altre Chiese; e così associarono dalle loro case, site nella Vallata, i cadaveri delli Canonici Pascale, e Paterno, nella Chiesa dei Celestini l’uno, ed in quella dei Domenicani l’altro. – E così nella medesima Chiesa dei Domenicani, dalle loro Case, dove erano morti in Piedimonte, il Cadavere del Canonico de Marco, e quello del Primicerio de Benedictis; ma dopo esserci andato preventivamente il Curato di S. Maria a benedire i cadaveri. – E questa Risoluzione è stata molto prudente, essendosi così sfuggito il caso del Secondo Dubbio, di andare sotto la Croce della Cattedrale.

(Osservazione)

Io mi ricordo – Morì in Vallata dopo il 1800 il Can.co Renzo, e fu sepolto nella Collegiata A.G.P. – però i Canonici di Vallata si fecero trovare solo avanti la porta della loro Chiesa, quindi gl’Alifani volendovi entrare, il Can.co Caso D. Domenico gli levò la croce da sopra l’asta, e la fece nascondere per poco dal Can.co Montanaro. Molti furono per questo i clamori degli Alifani. etc.

Il Teologo Lombardi D. Giovanni, morì, e fu sepolto ivi. etc.

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